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Alla fine i numeri parlano chiaro e non consentono troppi giri di parole, con chi la tira di qui e chi la tira di là in un eterno fumogeno che nasconde e confonde tutto. E i numeri delle primarie Pd sono chiarissimi. Vediamoli.
1. L’affluenza è diminuita sensibilmente. Pensiamo che nel 2005, alle primarie per il candidato premier vinte da Prodi, andarono a votare 4 milioni 300 mila persone, ieri (forse) 1 milione 800 mila. Nel 2013 alle primarie vinte da Renzi votarono 2 milioni 800 mila. È evidente che il calo c’è stato anche prima. Ma mentre dal 2005 al 2013 (otto anni) si sono persi 1 milione e 500 mila voti, dal 2013 a ieri (3 anni e mezzo) se ne è perso 1 milione. Vorrà dire qualcosa o no?
2. La vittoria di Renzi è indubitabile. Ma siamo sicuri che sia un trionfo come si legge sui giornali e i siti e come dichiarano con entusiasmo ai quattro venti i seguaci del neo-vecchio segretario? Anche qui, vediamo. Nel 2013 Renzi ottenne, con il 67, 5%, 1 milione 895 mila voti. Ieri, con il 70%, 1 milione 250 mila. Cioè quasi 650 mila voti in meno. In tre anni e mezzo 650 mila persone hanno deciso di non fare il bis e di non dare fiducia all’ex premier. E tenete conto che in questi tre anni e mezzo Renzi ha dominato la scena facendo il capo del governo e del partito.
3. Che si dica che 1 milione e 800 mila persone che si mettono in fila per votare sono meglio di 50 clic su un blog è una ovvia banalità. Ma non si può sempre minimizzare sostenendo che va tutto a meraviglia. Renzi e i renziani dovrebbero chiedersi perché, da quando il Pd è nelle loro mani, si sono persi in media 300 mila elettori delle primarie all’anno, circa 40 mila iscritti (sempre all’anno), città come Roma e Torino (senza contare Comuni più piccoli), regioni come la Liguria e un referendum considerato strategico. Vorrà dire qualcosa o no?
4. Conclusione: inutile cullarsi nelle illusioni di una storia che si ripete e di un trionfo che fa bis. La parabola di Renzi è in fase discendente e le elezioni (a meno di sorprendenti sorprese) lo dimostreranno perché l’uomo, con la storia di divisioni e rotture che ha alle spalle, non è in grado di unire e favorire nuove alleanze. Diciamo che la sua scontata vittoria alle primarie di ieri rinvierà soltanto di qualche mese il momento del big bang.
1 maggio 2017