di Gianni Barbacetto
Ci stanno facendo l’imbroglio del secolo e tutti – politici, amministratori, società civile milanese, libera stampa – fanno finta di niente. Sì, torniamo sul tema del grande parco promesso sull’area Expo. Il presidente del Consiglio è tornato nei giorni scorsi a Milano per celebrare (per la terza volta) il progetto Human Technopole, il centro di ricerca su genoma e big data che dovrebbe sorgere sui terreni su cui si è svolta l’esposizione universale. Non una parola sul parco che era stato annunciato come il lascito verde di Expo: dopo l’esposizione, si è sempre detto, metà dell’immensa area (di più di 1 milione di metri quadri) resterà ai cittadini come un polmone verde urbano, il più grande parco della città.
Ce l’hanno ripetuto per anni, anche per rassicurare chi temeva l’arrivo di una colata di cemento su un’area che fino alla decisione di farci sopra l’Expo era agricola. Ora scopriamo che il parco non c’è più. Zitti zitti, hanno cambiato le carte in tavola e smentito anni di promesse e impegni. La metà dell’area resterà sì a verde – dicono adesso gli sviluppatori immobiliari di Arexpo – ma sarà un verde “diffuso”, cioè spalmato tra gli edifici che saranno costruiti. Giardinetti condominiali, dunque. È chiaro che l’impatto sarà ben diverso: pensate che cosa sarebbe Central Park, a New York, se la sua grande superficie verde fosse spalmata qua e là tra i grattacieli di Manhattan. “È evidente che un verde spezzettato è diverso da un unico parco”, ha ammesso l’architetto Stefano Boeri, “questo lo sanno anche i ragazzi del primo anno di Architettura”.
La scomparsa del parco è la truffa del secolo. Oltre 500 mila metri quadri – dicono quelli di Arexpo – resteranno a verde, rispettando fedelmente gli impegni presi. Ma così la scelta, oltre che una truffa, è anche una presa in giro col botto, perché fatta sostenendo che non cambia niente e che le promesse saranno mantenute. Per questo gioco delle tre carte non possiamo prendercela però solo con i vertici di Arexpo, che con questi trucchetti cercano, poverini, di far quadrare conti che non tornano e tentano di lavare il “peccato originale” di Expo, costruito su terreni privati (agricoli) comprati a caro prezzo con soldi pubblici (valevano 15 euro al metro quadro, li abbiamo pagati 150).
Arexpo, il proprietario delle aree diventato sviluppatore immobiliare, è controllato dal Comune di Milano e dalla Regione Lombardia (in attesa che entri in partita anche il governo). Dunque ci rivolgiamo al sindaco Giuseppe Sala (che delle promesse di Expo qualcosa sa) e al presidente Roberto Maroni: davvero credete che per i cittadini siano la stessa cosa un grande parco di oltre 500 mila metri quadri e un po’ di verde spalmato tra i palazzi che farete costruire? Non ritenete di dover mantenere l’impegno preso solennemente davanti ai cittadini dalle istituzioni che pro tempore rappresentate? Oltretutto, sappiamo che i 500 mila metri quadri di verde, oltre che frantumati in cento pezzi, saranno anche ridimensionati nel totale, perché una bella fetta sarà di “servizi”, cioè parcheggi e altre cementificazioni che non siano proprio edifici.
Era il 1 maggio 2016 – non proprio un secolo fa – quando il predecessore di Sala, Giuliano Pisapia, dichiarava a Repubblica: “Qualche volta poi si dimentica che il 54 per cento dell’area sarà a verde, uno spazio verde grandissimo, il secondo parco d’Europa, anche grazie a un accordo di programma votato dalla nostra amministrazione”. Pisapia, dopo aver sbagliato tutto nella fase della sua uscita da Palazzo Marino, ha ora la possibilità almeno di chiedere che sia mantenuta la promessa che ha fatto ai milanesi. Ha dato la sua parola e sappiamo che è uomo d’onore.
Il Fatto quotidiano, 30 settembre 2016