Quando leggerete questo post collegatelo alle varie dichiarazioni pubbliche fatte dai diversi politici che sono stati intervistati o passati in televisione e, poi, vi sarà facile capire chi sta con i proletari e chi con i padroni.
Infatti, scoprirete che i vari Cazzola, Brunetta, Berlusconi, Damiano, Dini, Cofferati, Salvini, Renzi, Poletti, Fini, Prodi, Bonino, Di Maio, Di Battista… chiamandola “detassazione dalla buste paga” dei lavoratori, in realtà, non vogliono ripristinare correttivi migliorativi alle attuali leggi pensionistiche o applicare quelle esistenti dagli anni ’80 di separazione tra la previdenza e l’assistenza (evidenziando, così, la parte in attivo della prima, nonostante il calo della platea produttiva) ma, concordemente, andare a togliere quote economiche dei contributi previdenziali e inserirli nelle buste paga mensili facendo, in questo modo, un grosso danno sia alla funzione regolatrice del meccanismo di salvaguardia post lavorativo (INPS) che quello inflazionistico.
L’inflazione che si genera, anche, per effetto della quantità esagerata della massa monetaria in circolazione, comporta, per contro, una diminuzione del potere d’acquisto della moneta stessa come successe in Turchia anni addietro che videro un’impennata del prezzo dei generi di prima necessità. E, dulcis in fundo scoprire che senza contributi versati (o con la diminuzione) si obbligano le persone a lavorare sine die per poter vivere dignitosamente.
Le parole sono come pietre e molto rivelatrici.
MOWA
di Daniele Chicca
NEW YORK (WSI) – Con il progresso, l’innovazione e le nuove tecnologie l’umanità dovrebbe ambire a lavorare meno ma con maggiore produttività ed efficienza. Il risultato più probabile, invece, è che per via dell’invecchiamento della popolazione e delle scelte avventate di governi come quello di David Cameron nel Regno Unito, non andremo in pensione prima degli 81 anni.
I percorsi professionali come gli conosciamo ora non saranno più gli stessi. L’alternativa all’accumulo di risparmi per riuscire ad avere un assegno pensionistico decente è solo una: quella di “rimandare l’appuntamento con la pensione, possibilmente in maniera indefinita”.
È il messaggio a dir poco allarmante lanciato da un report sul sistema previdenziale britannico pubblicato la settimana scorsa da un gruppo indipendente e commissionato dal Partito Labourista al fine di rivelare le anomalie e falle della riforma delle pensioni decisa dal partito conservatore al governo.
La riforma concede ai lavoratori la libertà di gestire i contributi pensionistici a piacimento, come una sorta di trattamento di fine rapporto potenziato. Al compimento del 55esimo anno di età si potranno recuperare tutti i contributi versati per la pensione. Il problema di un sistema flessibile di questo tipo è che dando liquidità direttamente in mano ai cittadini così presto, sono più i rischi di perdere quei soldi in investimenti o acquisti sbagliati, piuttosto che i potenziali benefici recati all’economia. Tanti cittadini non hanno le conoscenze e capacità per gestire correttamente i risparmi di una vita e indirizzare al meglio – in maniera efficiente e diversificata – gli investimenti.
Molte persone nel mondo, anche per via della crisi del mercato occupazionale e instabilità degli impieghi e collaborazioni effettuate, non stanno mettendo da parte soldi a sufficienza per poter arrivare alla fine del mese con un assegno pensionistico che li è dovuto dallo Stato. Rischiano, insomma, di dover lavorare fino agli ultimi giorni della loro vita. La media dell’età pensionabile nel Regno Unito per i giovani della nuova generazione sarà di 81 anni secondo il report.
Michael Skapinker ha provato a immaginare sul Financial Times cinque scenari possibili in una società che in futuro non riuscirà più a garantire una pensione decente a tutti prima dei 65 anni:
- i datori di lavoro decidono che non è un loro problema, ma dei dipendenti, che dovranno pertanto cercare un modo di risparmiare per conto proprio, investendo in fondi privati parte dei loro salari. È probabilmente lo scenario peggiore, più rischioso e meno sostenibile: con l’invecchiamento della popolazione più si andrà avanti e meno saranno i giovani dipendenti in grado di prendere i posti dei freschi pensionati.
- Aziende e lavoratori capiscono che la gente non può più lavorare fino ai 60-65 anni e quindi che le loro carriere professionali dureranno di più. La scalata nella gerarchia sarà più lenta e graduale e lo stesso sarà per il cambiamento generazionale. L’ultima promozione potrebbe arrivare a cavallo tra i 50 e i 60 anni. Questo complicherebbe però l’inserimento nel mondo del lavoro dei più giovani.
- Un’età pensionistica più avanzata introdurrà un’era d’oro per le donne. Nel Regno Unito il divario salariale tra uomini e donne con meno di 30 anni è stato quasi azzerato. Si amplia quando le donne hanno figli e rimarrà alto finché gli uomini continuano a dominare nei ruoli meglio pagati, come quello di manager e dirigente d’impresa.
- Le società seguono l’esempio di Carlos Slim. Nel 2014 il magnate messicano delle telecomunicazioni ha detto che anziché andare in pensione, i dipendenti più anziani avrebbero dovuto gradualmente ridurre il numero di ore lavorate, passando a tre giorni lavorativi a settimana.
- Le aziende insistono nel mandare in pensione i dipendenti più anziani, che finiranno per dover cercare e trovarsi da soli un ruolo nella società. Anziché opporsi, i pensionati si inventeranno un lavoretto in proprio, offrendo servizi a chiunque sia disposto a pagarli per le loro esperienze e capacità.
10 marzo 2016