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Piero Orteca *
Alla Casa Bianca si parla continuamente di Ucraina e di Russia, ma il chiodo fisso resta la Cina. E la patata bollente di Taiwan. Ieri, il “South China Morning Post” di Hong Kong, ha pubblicato due articoli che collegano, in qualche modo, la guerra in Europa e lo sviluppo della pericolosa macro-area di crisi nel Sud-est asiatico.
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Una guerra tira l’altra e assieme si ammaestrano
È incredibile notare non solo come i due eventi si influenzino reciprocamente, ma anche come stiano velocemente cambiando gli equilibri geopolitici del pianeta. Nel primo resoconto, viene messo in risalto l’intervento del comandante in capo della 7ª flotta americana, l’ammiraglio Samuel Paparo. Il quale, durante una conferenza stampa, non si è fatto pregare due volte per esprimere un concetto chiaro, che rappresenta la nuova strategia di “containment” degli Stati Uniti nei confronti di Pechino: “Molti fattori complessi giocheranno nella decisione della Cina di cercare di prendere Taiwan con la forza”, ha detto l’ammiraglio. Che poi ha proseguito sottolineando come questi fattori “includono anche l’invasione russa dell’Ucraina”.
Settima flotta sul fronte cinese
E qui bisogna fare una riflessione, secondo gli analisti di Hong Kong. Perché, la presa di posizione di Paparo non giunge a caso, ma sembra “mirata”. Quasi un messaggio trasversale lanciato a Pechino, insomma, forse per mettere le mani avanti, dopo che l’anno scorso un altro ammiraglio, Philip Davidson (comandante dell’Indo-Pacifico), aveva espresso la convinzione che la Cina si sarebbe decisa a invadere Taiwan, entro un arco di sei anni. Ma ora le cose sono cambiate (e pure le previsioni) ha detto Paparo, parlando con i giornalisti a Washington. “La finestra temporale di una potenziale unificazione di Taiwan con la forza – ha aggiunto il comandante della 7ª flotta – per adesso sembra altamente imprevedibile”.
‘Lezione Ucraina’ a scoraggiare Pechino?
Che tradotto dal politichese (o “militarese”) significa solo una cosa: dopo il carnaio che si è scatenato in Ucraina, e la pesantissima risposta “sanzionatoria” contro la Russia, i cinesi ci penseranno cento volte prima di aggredire l’isola contesa. Anche perché Washington non si farà distrarre dalla guerra in Ucraina, e continuerà a perseguire i suoi disegni strategici nell’Indo-Pacifico. Paparo ha poi voluto rimarcare l’importanza dell’intesa militare col Giappone, “con cui non si è mai vista una maggiore convergenza. Tutto questo per arginare potenziali aggressioni nella regione, dove la Cina è diventata sempre più assertiva”.
Sanguinoso campo sperimentale
Che l’Ucraina, purtroppo, sia diventata, suo malgrado, una specie di sanguinoso campo sperimentale, dove gli americani “testano” come rispondere a un’invasione di Taiwan, è testimoniato dalle esercitazioni di qualche giorno fa. La 66° brigata dei Marines, di stanza nei pressi di Taipei, ha impiegato missili anticarro “Javelin”, contro tank di fabbricazione russa. Che armano le divisioni corazzate cinesi. Si tratta degli stessi micidiali “ammazzacarri”, che hanno permesso agli ucraini di fare strage dei blindati di Putin. Taiwan ne possiede circa mille e ne ha ordinati, di gran corsa, altri 400. Contemporaneamente, proprio osservando anche l’efficacia mostrata da un’ altra arma, cioè i lanciatori di missili antiaerei “a spalla”, “Stinger” (sempre di fabbricazione americana), Taipei ne ha comprati 250 esemplari.
La resistenza ucraina come monito
Lawrence Chung (analista del “South China Morning Post”) chiarisce, poi, quanto l’incredibile resistenza ucraina sia diventata, addirittura, oggetto di studio, da parte dello Stato Maggiore di Taiwan. Il Ministro della Difesa, Chiu-Kuocheng, esprimendo ammirazione per i combattenti di Kiev ha detto: “La lezione che possiamo trarre è che, nonostante i suoi svantaggi militari, l’Ucraina è ancora in grado di sfruttare l’unicità del suo campo di battaglia interno e le capacità asimmetriche per resistere a un nemico gigantesco come la Russia”. Anche la Cina è grande, per questo Taiwan si è messa a “studiare”.
6 Aprile 2022
* Piero Orteca, giornalista, analista e studioso di politica estera, già visiting researcher dell’Università di Varsavia, borsista al St. Antony’s College di Oxford, ricercatore all’università di Maribor, Slovenia. Notista della Gazzetta del Sud responsabile di Osservatorio Internazionale