di Luigi Grimaldi – Luciano Scalettari
«Il Sismi del generale Pollari era tutto a nostra disposizione e fu di importante ausilio nell’opera della Commissione di inchiesta». Parola di Carlo Taormina. «Facemmo delle indagini incredibili», si è pavoneggiato l’ex presidente col giornalista Stefano Becciolini, che un anno fa ha registrato tutto e postato la conversazione sul sito web Radio F912. Oggi, grazie a una inchiesta della Commissione Parlamentare sul ciclo dei rifiuti, sappiamo che quella di Taormina non è stata una stravagante vanteria. Infatti, se da un lato di tutto ciò non vi è traccia nei documenti dei Servizi Segreti resi pubblici dal Parlamento (alla faccia della trasparenza), dall’altro è emerso che Giancarlo Marocchino, mentre “collaborava” con Carlo Taormina alla confezione della “verità” sul caso Alpi (per loro i due giornalisti erano «in vacanza»), sosteneva di avere le «spalle coperte dai servizi segreti».
Quindi, se così è, il presidente dell’organismo parlamentare, all’insaputa di tutti, si è avvalso dell’intelligence (prassi vietatissima) per indagare sul caso Alpi-Hrovatin. Possibile? Secondo le norme no: «Una Commissione completamente al di fuori della norma, segreta e senza controllo», risponde secco Raffaello De Brasi, allora vicepresidente. «Escludo che si potesse attivare una collaborazione formale tra il Sismi e la Commissione sul delitto Alpi-Hrovatin». «Mai la Commissione, e quindi il Parlamento, è stata informata sul ruolo svolto dal servizio segreto militare», sottolinea De Brasi. Secondo il regolamento (articolo 22) potevano collaborare alle indagini solo consulenti ed esperti, nominati con deliberazione dell’Ufficio di Presidenza. E invece nessuna comunicazione, relativa a personale del Sismi, è mai stata fatta. Non è tutto. «Fu il Sismi», ha detto ancora Taormina, «a darci il contributo determinante per fare un viaggio (…) da parte del consulente Di Marco (poi passato al Sismi, ndr), che con un aereo del Servizio segreto militare si recò a Mogadiscio dove (…) riuscì a trovare l’auto sulla quale fu uccisa Ilaria Alpi».
Il problema è che la“versione” fornita da Taormina è del tutto diversa da quella ufficiale: l’auto ‒ secondo quanto risulta agli atti ‒ fu recuperata da Giancarlo Marocchino (il discusso imprenditore italiano attivo in Somalia dal 1984, definito dallo stesso Taormina «fondamentale collaboratore per la ricerca della verità elaborata dalla Commissione») con l’aiuto del suo ex socio Ahmed Duale. Un recupero su cui si è giocato uno duro scontro istituzionale. Taormina impedì accertamenti congiunti di polizia sottraendo il reperto alle indagini giudiziarie. Un abuso sancito nel 2008 da una sentenza della Corte di Cassazione. Ma c’è ben di peggio: gli accertamenti di polizia scientifica sul Dna delle tracce di sangue ritrovate nell’auto, che Taormina si rifiutò di eseguire e che furono invece realizzati un paio d’anni dopo dalla Procura di Roma, hanno provato che quella macchina non era affatto quella utilizzata da Ilaria Alpi e Miran Hrovatin al momento dell’omicidio, dato che il sangue rinvenuto a bordo non è quello della giornalista. Una patacca insomma, che ha consentito però a Taormina di costruirci sopra l’inutile e fuorviante castello di carte della sua relazione finale.
Fatti gravissimi perché lo scorso 17 dicembre l’attuale Commissione Parlamentare sul Ciclo dei Rifiuti, guidata da Alessandro Bratti, ha desecretato (dopo un lavoro “diplomatico” durato un anno) una serie di indagini svolte nel 2005 dalla stessa Commissione, presieduta all’epoca da Paolo Russo. Chi erano i soggetti di queste indagini, svolte dai carabinieri del Noe? Giancarlo Marocchino e un’organizzazione di trasporti di tossico nocivi. Quando? Nel periodo in cui Marocchino, a Roma, frequentava con disinvoltura il palazzo, sede di entrambe le commissioni, come «fondamentale collaboratore» di Carlo Taormina. E mentre “collabora”, Marocchino viene seguito dai carabinieri che registrano una telefonata in cui rivolto al figlio afferma: “…qui sono in una botte di ferro perché di fianco a me c’ho i servizi, puoi capire…”. Giancarlo Marocchino è il primo ad arrivare sul luogo dell’omicidio, l’unico italiano presente. Il taccuino e gli altri oggetti di Ilaria Alpi che si vedono nelle sue mani in una ripresa televisiva appena dopo l’assassinio non sono mai arrivati in Italia. Indagato in diverse procure per traffico d’armi e di rifiuti tossici, Marocchino ne è sempre uscito senza conseguenze penali. Persino quando fu espulso dalla Somalia, nel settembre 1993, dal comando Usa dell’operazione Restore Hope con l’accusa di traffico d’armi. Su questa vicenda esiste ancora un ricco dossier sotto segreto. Che andrebbe reso pubblico, dato che dai documenti consultabili risulta che l’italiano ricevette un “aiutino” determinante per uscirne indenne, e tornare in Somalia, proprio nel gennaio 1994. Un segreto, quindi, che dev’essere rimosso.
20 marzo 2016