La cultura capitalista, che si può semplificare con il titolo del film “prendi i soldi e scappa“, sta dando il peggio di sé con la storia dei taxi.
Infatti, trapelano alcune indiscrezioni sullo stato di salute della società Uber (vicenda che dovrebbe far riflettere su tutti coloro che si sono prodigati ad “aiutare” a riempire un buco di diversi milioni di $ a favore di quella multinazionale), la stiamo soppesando con alcuni dati alla mano.
Fare un facile guadagno con i soldi degli altri ha solo un nome: speculazione.
Diceva il comico Totò “Eppoi, dicono che uno si butta a sinistra!“… Sì, però, lo diceva quando c’era il P.C.I (con i puntini) di Gramsci, Togliatti, Longo e Berlinguer.
MOWA
I veri conti di Uber: nel 2016 la perdita stimata è 2,8 miliardi di dollari
Valerio Mariani
Non pare un buon momento per Uber. Dalla scintilla scaturita dalla lite del Ceo Trevis Kalanick con un autista Uber sembra si stia propagando un incendio sull’azienda icona della sharing economy. Dipendenti e manager della sede centrale che iniziano a guardarsi intorno secondo il Financial Times, il consiglio di amministrazione che rumoreggia attorno al fondatore Kalanick secondo il Wall Street Journal, e il continuo ostruzionismo di tassisti e governi oltre a non giovare all’immagine dell’azienda rischia di minarne seriamente gli affari.
Affari che, è bene ricordarlo, non sono così rosei come si potrebbe immaginare, anche se il patrimonio e i ricavi permettono di mantenere ancora un certo ottimismo, ma fino a quando?
L’azienda, di cui si vociferava una quotazione in Borsa entro quest’anno, non ha bilanci pubblici ma dovrebbe valere quasi 70 miliardi di dollari diventando l’azienda privata più valutata del mondo. Per intenderci, SnapChat il giorno della sua quotazione ha raggiunto un valore di 24 miliardi di dollari, inferiore solo a Alphabet (Google, 27,2 miliardi di dollari), Facebook e Alibaba.
Come detto, Kalanick non rende pubblici i bilanci ma qualcosa è comunque trapelata dal consiglio di amministrazione ed è stata pubblicata da Amir Efrati nel sito a pagamento The Information. Il dato base è una presunta perdita di 800 milioni di dollari nel terzo trimestre del 2016 che si aggiunge a quanto dichiarò Bloomberg, ovvero che l’azienda avrebbe perso almeno 1,27 miliardi di dollari nei primi sei mesi del 2016, 520 milioni nei primi tre e 750 negli altri tre.
Il totale delle perdite per il 2016, sempre secondo i calcoli di The Information, potrebbe essere di circa 2,8 miliardi di dollari, più della metà del fatturato previsto. Potrebbe essere positivo, prosegue l’indagine, il fatto che le perdite nel terzo trimestre siano il 25% in più rispetto allo stesso periodo del 2015, mentre tra il secondo trimestre del 2015 e quello del 2016 ci fu un +35%. Ma c’è una spiegazione: in agosto 2016 Uber ha venduto Uber China a Didi Chuxing in cambio del 17,7% delle azioni di Didi Chuxing, dopo aver preso atto che la filiale orientale perdeva un miliardo all’anno, dunque l’entrata ha ridotto il netto delle perdite.
Ma non si tratta di un crollo limitato all’ultimo anno fiscale. Sempre le elaborazioni di The Information affermano che Uber perse quasi 700 milioni di dollari nel 2014 e solo nella prima metà del 2015 quasi un miliardo di dollari. A fronte di queste perdite, il fatturato netto fu di circa 500 milioni di dollari nel 2014 – con quasi 700 milioni di spese operative – e 1,5 miliardi nel 2015. Infine, la crescita del fatturato nei primi due trimestri si è praticamente dimezzata dal 2015 al 2016 (circa dal 30% al 15%) anche se continua a salire e Uber Usa e Canada sono in attivo.
Perdite di Uber in percentuale sul fatturato
- Le date sono in bianco dove i dati non erano disponibili. BI
Sempre secondo il documento – analizzato nei dettagli qui, le transazioni via app iniziano a calare lentamente. Questo confermerebbe la prima vera falla della sharing economy: non appena creato il primo contatto via app tra cliente e fornitore si passerebbe a un dialogo diretto, conviene a entrambi e Uber non ci guadagna più.
Certo, c’erano i 4 miliardi di dollari di cassa nel 2014 e i 12 miliardi di investimenti racimolati in 15 round, ma a questo ritmo le riserve si potrebbero esaurire più in fretta e i 77 gruppi di investitori che hanno creduto all’icona della sharing economy potrebbero iniziare a ripensarci.
13/3/2017