di Francesco Schettino*
In diversi articoli già pubblicati anche su questo sito [1] [2] si è più volte affrontato il tema del quantitative easing nella sua forma generale, questione propedeutica all’effettiva comprensione dei fatti più recenti, come la promozione del cosiddetto superQE annunciato dalla Bce e dal suo governatore agli inizi di Marzo 2016.
Come dovrebbe esser ovvio, la questione del cosiddetto quantitative easing (in italiano sarebbe più corretto definirlo come “facilitazione creditizia”) è assolutamente legato alla crisi esplosa violentemente tra il 2007 ed il 2008 i cui nefasti prodotti sono drammaticamente visibili a tutti. La linea narrativa degli agenti della borghesia – siano essi economisti, burocrati o opinionisti – sinteticamente può essere descritta in pochi passaggi: la crisi agisce sulle aziende, impedendole di poter vendere la merce prodotta e dunque fare profitto, principalmente a causa di una deficienza di domanda pagante. Quindi, non avendo liquidità, le aziende non possono investire nuovamente e riducono le proprie prospettive di produzione (al limite, falliscono). I “consumatori” perdendo il lavoro oppure ottenendo posti di lavoro contrattualizzati in maniera sempre più precaria non hanno soldi da spendere e, anche quando si rivolgono agli istituti di credito per aver prestiti (per merci di consumo o anche per l’acquisto di casa), vengono respinti poiché non forniscono adeguate garanzie di restituzione o pure perché i tassi di interesse sono troppo elevati e dunque il costo connesso al prestito è eccessivamente alto. Dunque, ci si troverebbe dinanzi ad una presunta condizione di “stretta creditizia” (credit crunch) che, secondo molti economisti o sedicenti tali, rappresenterebbe la causa della persistente condizione di sofferenza e di sostanziale stagnazione dell’economia mondiale (o almeno di quella occidentale). L’unica arma, secondo costoro, in grado di riequilibrare le cose è l’iniezione di liquidità che, legata ad una riduzione dei tassi di interesse (anche in campo negativo), renderebbe del tutto sconveniente, in particolare per le banche, non usare il denaro per prestiti. In altri termini con una sovrabbondanza di denaro a costo zero (se non negativa) imprese e consumatori non sarebbero più strozzati e, dunque, secondo la lettura corrente, una facilitazione quantitativa andrebbe a riempire le tasche di imprese e “consumatori” di quei denari necessari alla ripresa che è ormai divenuta una chimera, per molti il vero sogno proibito del nuovo millennio.
Come si è notato, in questa affascinante e suggestiva rappresentazione, mancano però gli elementi che sostanziano l’attuale modo di produzione capitalistico. Il capitale (nella sua conflittualità con il lavoro e nella sua molteplicità contraddittoria); la produzione di valore e plusvalore, il profitto e una lettura della crisi esplosa nel 2007-2008 ma originatasi quasi quaranta anni prima.
Prima di tutto è importante rimarcare come la crisi di sovrapproduzione generi una pletora di capitale monetaria, a causa dell’impossibilità dello stesso di autovalorizzarsi. In altri termini, giacché il capitale non trova convenienza nel produrre merce, poiché il mercato è saturo, e dunque non può giungere al profitto attraverso la produzione di valore, si trova a dover gestire una quantità di capitale monetario che non è tale se non riesce (attraverso la produzione di merce o la speculazione) a generare profitto. Pertanto, qualora si osservi una strozzatura del mercato è costretto a gettarsi nel giuoco di borsa con lo scopo di rapinare ai capitali concorrenti quote di profitto. Dunque, al contrario di quello che sostengono molti economisti o operatori di mercato, non ci si trova dinanzi ad un generale credit crunch perché c’è poca liquidità: viene interrotto il canale di prestiti da istituti bancari ad aziende o a singoli lavoratori poiché in una fase di crisi come quella attuali gli uni non offrono garanzie di restituire; gli altri, molto più semplicemente, poiché non possono garantire, vista la progressiva precarizzazione del lavoro. In questo caso si potrebbe forse dire che di capitale monetario liquido ce ne è fin troppo, ma le condizioni di mercato (ossia quelle dettate in questa fase dalla perdurante crisi del capitale) ne impediscono una ripartizione più adeguata.
Alcuni dei nuovi strumenti messi a disposizione dalla Bce, per alcuni versi, sembrano voler forzare l’idea di una “semplice” inondazione di mercato, per lo più indiscriminata come avvenuta nel passato non solamente in Europa, ma anche e soprattutto negli Usa, in Giappone e Cina. Sono stati rafforzati alcuni strumenti (Tltro Targeted long term rifinancing operation in primis) che avrebbero lo scopo principale di ovviare ai problemi già evidenziati: tuttavia, degli 80 mrd € settimanali (sino a marzo 2017) solo una parte sarà a loro dedicata; poi, sarà sempre discrezione delle banche concedere prestiti; non è detto che le somme così ottenute vengano investite “produttivamente” e non in operazioni fittizie, proprio perché la scarsità di domanda pagante rimane irrisolta e dunque produrre merce in questo periodo è poco raccomandabile: molto meglio speculare, specie se il denaro a prestito non si paga (tassi di interesse prossimi allo zero).
Volendo guardare alle esperienze del passato, ciò che emerge con sufficiente nitidezza è che, nonostante in sette anni siano stati pompati nel sistema mondiale dalle sole Bce, Fed e Banca Giapponese una quantità di moneta non troppo lontana dai 7.500 mrd $ (che, per capirci, è una cifra prossima al doppio del Pil annuale tedesco), il capitale mondiale è da una parte in fase di sostanziale stallo. In generale, dunque, i qe non si sono rivelati così efficaci nell’agire sull’accumulazione di capitale (cosa di fatto affermata da una recente ricerca della Commerzialbank sull’efficacia di quello europeo), bensì, di fatto, sono stati in grado di creare una bolla straordinaria la cui pericolosità e dinanzi agli occhi di tutti, agenti del capitale in primis. Pertanto, da questo punto di vista, non si comprende perché questo nuovo qe dovrebbe far eccezione: del resto la fredda reazione delle borse il giorno stesso della sua promulgazione, potrebbe essere in questo senso indicativo.
Pertanto, se è vero che alla testa di queste organizzazioni ci siano agenti del capitale che conoscono effettivamente il funzionamento del sistema del capitale, viene da chiedersi per quale ragione ciò sia stato promulgato:
- Per la conflittualità tra capitali, in generale: innanzitutto dal nome con cui vengono a volte denominati gli strumenti di politica monetaria suggeriti dalla Bce (bazooka) si dovrebbe intendere che il capitale legato all’euro, trovandosi all’interno di un periodo di forte conflittualità, ha dovuto trovare il modo di difendersi evitando la mortale débâcle del 2010. La catastrofe procurata dalla cosiddetta “crisi del debito” dei paesi del sud dell’Europa non fu intatti altro che frutto di una battaglia campale vinta dal capitale legato al dollaro che utilizzò anche la liquidità messa a disposizione dalla Federal reserve con il primo qe del 2009 (1.700 mrd $). Speculando al ribasso e sul rischio default del tallone d’Achille dell’area euro (che di per sé ha un peso risibile, avendo un Pil più basso di quello della regione Lombardia), la Grecia, di fatto riuscì nel capolavoro di ribaltare gran parte degli effetti della crisi sulle popolazioni europee inguaiando in maniera definitiva il fratello nemico legato alla valuta ostile, l’euro. Per quanto la frittata sia ormai stata fatta, e il Ttip in parte stia a dimostrare la ormai evidente sudditanza al capitale d’oltreoceano, un po’ di precauzioni non possono mai esser di troppo, anche perché il capitale asiatico (Giappone e Cina) ha anch’esso, recentemente, messo in atto politiche molto simili, proponendo anche in quella parte del mondo una pioggia di liquidità che presumibilmente sarà gestita dal capitale fittizio, rigonfiando così l’immensa bolla globale. Per questo, il fattore tempo, assume una funzione di straordinaria importanza: se tutti agissero allo stesso momento iniettando il sistema dello stesso quantitativo di liquidità, il risultato sarebbe neutro ma la capacità di spiazzare i concorrenti diviene in questo momento cruciale.
- Per l’inflazione: per chi è debitore, ovviamente, l’inflazione è una manna dal cielo. Così come per chi paga il salario. Chi invece è percettore di busta paga (classe lavoratrice) più sale il livello generale dei prezzi, peggio è (perché si riduce il numero di merci che può acquistare). Dunque, trovandosi oggi in una condizione di sostanziale deflazione in molti paesi dell’Europa, una politica monetaria espansiva potrebbe aver un effetto positivo in tale senso, favorendo cioè classe dominante e debitori: da questo punto di vista va sottolineato come quella della espansione monetaria non sia stata una scelta o una grande intuizione di Draghi o del suo entourage, bensì un dovere, visto e considerato che l’architrave teorico istitutivo della Bce è l’inflation targeting. In altri termini, la Bce è di fatto obbligata a espandere l’offerta di moneta in maniera da tentare di far convergere l’inflazione al 2%.
- Per la conflittualità valutaria: un tentativo di spingere l’inflazione verso l’alto avrebbe lo scopo di generare in maniera indotta una svalutazione competitiva. Tralasciando per ora le presunte virtù salvifiche di una questione del genere, che ha una rilevanza meramente contabile e come tale andrebbe trattata, è invece più importante valutare la cosa dal punto di vista competitivo nei confronti della Cina. Come è noto, infatti, già dalla metà del 2015 si sono susseguite diverse svalutazioni dello yuan che hanno permesso alle merci asiatiche di divenire rapidamente più convenienti sul mercato europeo. Una contromossa, necessaria per attutire tale emorragia era obbligata ed il qe, su questo, rivestirà sicuramente tale ruolo.
15 marzo 2016
* Ricercatore universitario
Seconda Università di Napoli
Dipartimento di Giurisprudenza