Lavoro precario, salari bassi e prezzi proibitivi per casa e istruzione. Così tra Marx, Bernie Sanders e proteste anti-Trump i socialisti sono sempre di più. Negli Stati Uniti d’America…
Matteo Pucciarelli
NEW YORK. Una ragazza bionda, infreddolita aspetta fuori dall’ingresso del grattacielo. Poco lontano si intravede il luccichio di Broadway all’incrocio con Times Square, con le insegne sgargianti dei grandi marchi ovunque: «Hi Comrade, ciao compagno, per la riunione degli insegnanti socialisti sedicesimo piano». Il sindacato Uaw (United Automobile Workers) ha concesso il salone per l’incontro, arrivano una sessantina di persone, sono soprattutto giovani sui trent’anni, bianchi. Da quando Donald Trump è diventato presidente degli Stati Uniti, a New York il partito dei Socialisti democratici d’America (Dsa) ha quadruplicato il numero dei propri iscritti: da 800 a oltre 3 mila. E non solo. A inizio novembre ha sfiorato il miracolo, ovvero eleggere il primo consigliere dichiaratamente socialista della città. È successo a Brooklyn, dove a Jabari Brisport non è bastato il 29 per cento – al suo posto è passata la Democratica Laurie Cumbo.
Nella sala della Uaw viene distribuito l’invito per il festone pre-natalizio, sul volantino c’è il faccione di Karl agghindato con il cappello da Santa Claus: eccoli qui i socialisti-pop della Grande Mela, e solo accostare le due cose – i pugni chiusi e New York, città volto luminoso del capitalismo mondiale – fa venire il mal di testa. «Vero» racconta Mark, studente di 23 anni, cappellino rosso in testa col logo del partito, «questa città è il cuore del FIRE (acronimo che indica il sistema della finanza, assicurazioni e proprietà immobiliari, ndr) americano. Con risorse quasi illimitate questa classe dirigente ottiene ciò che vuole dalla stessa politica. Qualsiasi lotta per le politiche socialiste qui, in definitiva, è una lotta contro l’establishment mondiale». Da Chicago è arrivata una militante di origine asiatica, si chiama Annie Tan, negli ultimi anni ha coordinato il movimento sindacale della scuola pubblica nella città di Barack Obama; racconta la sua esperienza, condita anche da un licenziamento: «Troppa attività politica a scuola «e finisci subito nel mirino della direzione».
Ma insomma, chi sono questi socialisti? E cosa vogliono? Soprattutto, «possono diventare il futuro della sinistra americana» come si chiedeva sull’Huffington Post il professor Nathan Newman? Una premessa da fare è il risultato di una ricerca fatta un anno fa a Harvard: il 51 per cento dei millennial americani si dice non soddisfatto di vivere all’interno di un sistema capitalistico. I motivi? Il lavoro precario, i salari bassi, i prezzi proibitivi per la casa e l’istruzione, i costi esorbitanti della sanità privata e contemporaneamente, dall’altra parte, una maggiore propensione alla condivisione grazie anche alla sharing economy. Ciò spiega anche il fenomeno Bernie Sanders, il senatore del Vermont che l’anno scorso contro ogni pronostico per poco non riuscì a battere Hillary Clinton alle primarie Democratiche vincendo in 22 Stati, in tutto tre milioni di voti. L’unico politico americano di livello dichiaratamente socialista…
(Continua Pugni chiusi a Manhattan da il Venerdì 29 12 2017 pdf)