L’arte della guerra
di Manlio Dinucci
La cancelliera tedesca Merkel – scrive Alberto Negri (il manifesto, 23 luglio) – ha resistito alle pressioni di tre amministrazioni Usa – Obama, Trump e Biden – perché cancellasse il North Stream 2, il gasdotto che affianca il North Stream inaugurato dieci anni fa, raddoppiando la fornitura di gas russo alla Germania. È invece «fallito il South Stream, il gasdotto di Eni-Gazprom». Conclude giustamente Negri che la Merkel «ha vinto la partita che noi abbiamo perso». Sorge spontanea la domanda: perché la Germania ha vinto e l’Italia ha perso?
Significativo il titolo del Washington Post: «Usa e Germania raggiungono un accordo sulla pipeline del gas russo, ponendo fine alla disputa tra alleati». L’accordo, stipulato dal presidente Biden con la cancelliera Merkel, è stato ed è fortemente osteggiato da uno schieramento bipartisan del Congresso, capeggiato dal senatore repubblicano J. Risch che propone una legge contro «il maligno progetto russo». Quindi l’accordo è in effetti una «tregua» (come la definisce Negri).
La ragione per cui l’amministrazione Biden ha deciso di stipularlo è mettere fine alla «disputa» che incrinava i rapporti con la Germania, importante alleato Nato. Questa ha dovuto però pagare il «pizzo» al boss Usa, impegnandosi– come ha richiesto la sottosegretaria di Stato Victoria Nuland – a «proteggere l’Ucraina» (di fatto già nella Nato) con un fondo di investimento di 1 miliardo di dollari che la risarcisca per i diminuiti introiti, dato che i due gasdotti gemelli North Stream passano dal Mar Baltico aggirando il suo territorio.
Come contropartita la Germania ha, almeno per ora, il permesso Usa a importare dalla Russia 55 miliardi di metri cubi annui di gas naturale. Il gasdotto è gestito dal consorzio internazionale Nord Stream AG, costituito da 5 società: la russa Gazprom, le tedesche Wintershall e Pegi/E.On, l’olandese Nederland’s Gasunie e la francese Engie. La Germania diviene così l’hub energetico per lo smistamento del gas russo nella rete europea.
Lo stesso ruolo avrebbe potuto assumere l’Italia con il gasdotto South Stream. Il progetto era nato nel 2006, durante il governo Prodi Il, con l’accordo stipulato da Eni e Gazprom. Il gasdotto avrebbe attraversato il Mar Nero (in acque territoriali russe, bulgare e turche) proseguendo via terra attraverso Bulgaria, Serbia, Ungheria, Slovenia e Italia fino a Tarvisio (Udine). Da qui il gas sarebbe stato smistato nella rete europea. La costruzione della pipeline era iniziata nel 2012. Nel marzo 2014 la Saipem (Eni) si aggiudicava un primo contratto da 2 miliardi di euro per la costruzione del tratto sottomarino.
Nel frattempo però, mentre con il putsch di Piazza Maidan precipitava la crisi ucraina, l’amministrazione Obama, di concerto con la Commissione Europea, si muoveva per affossare il South Stream. Nel giugno 2014 arrivava a Sofia una delegazione del Senato Usa, capeggiata da John McCain, che trasmetteva al governo bulgaro gli ordini di Washington. Subito questo annunciava il blocco dei lavori del South Stream, in cui la Gazprom aveva già investito 4,5 miliardi di dollari.
In tal modo l’Italia perdeva non solo contratti per miliardi di euro, ma la possibilità di avere sul proprio territorio l’hub di smistamento del gas russo in Europa, da cui sarebbero derivati forti introiti e incremento di posti di lavoro.
Perché l’Italia ha perso tutto questo? Perché il governo Renzi (in carica dal 2014 al 2016) e il Parlamento hanno accettato a testa china l’imposizione di Washington. La Germania della Merkel, al contrario, si è opposta. Ha quindi aperto la «disputa tra alleati» che ha costretto Washington ad accettare il raddoppio del North Stream, pur mantenendo gli Usa la pretesa di decidere da quali paesi l’Europa può importare o no gas naturale.
Un governo italiano oserebbe aprire una disputa con Washington per difendere un nostro interesse nazionale? Il fatto è che l’Italia ha perso non solo il gasdotto, ma la propria sovranità.
27 luglio 2021