Alessia Candito
Fatta luce sugli organigrammi dei clan di Rosarno
Dalla guardiania sui terreni al condizionamento delle elezioni comunali di Rosarno nel giugno 2016. Dal traffico di droga, con fiumi di cocaina che inondavano anche Basilicata e Campania, alla gestione di veri e propri arsenali clandestini.
Fa luce su organigrammi e affari dei clan Pisano, i “Diavoli” di Rosarno, e Longo di Polistena l’inchiesta Faust della distrettuale antimafia reggina, diretta da Giovanni Bombardieri, che questa mattina all’alba ha fatto scattare le manette per 49 capi, luogotenenti e gregari delle due famiglie mafiose della Piana di Gioia Tauro. Fra gli arrestati, ci sono anche i politici che i Pisano si erano messi in tasca in cambio di appoggio e sostegno alle comunali del giugno 2016. Si tratta dell’attuale sindaco, Giuseppe Idà, dell’Udc e del consigliere comunale di maggioranza Domenico Scriva, entrambi finiti ai domiciliari.
“La cosca – ha detto il procuratore capo della Dda reggina, Giovanni Bombardieri – si è occupata delle elezioni comunali svolte nel 2016 a Rosarno. Il boss Francesco Pisano si è posto come stratega delle elezioni. Nelle elezioni comunali abbiamo assistito all’ingerenza dei ‘diavoli’ nella predisposizione della lista, del simbolo della lista e addirittura del programma elettorale”. Insomma, quella di Idà – emerge dalle indagini – era una candidatura curata dal clan fin dai suoi primi passi. “l’appoggio criminale non solo viene accettato, ma nasce prima”. Per il procuratore aggiunto Gaetano Paci, che insieme alle pm Sabrina Fornaro e Adriana Sciglio ha coordinato le indagini “la prima uscita pubblica del candidato sindaco poi eletto è stata concordata prima con i referenti della cosca anche nei suoi dettagli grammaticali. C’è una compenetrazione strettissima del rapporto sia dalle origini”. E tanto a Idà come a Scriva era ben nota la caratura criminale dei loro sponsor elettorali, che a entrambi hanno chiesto impegni precisi una volta entrati in Comune.
“Non stiamo parlando di promesse generiche – dice Paci – ma di promesse determinate”. Una riguardava direttamente Idà, considerato da Pisano ‘uno dei nostri’. In cambio dei voti necessari per stravincere le elezioni, il neo sindaco avrebbe dovuto garantire ai ‘Diavoli’ la nomina di Scriva in Giunta e concordare con loro la scelta del vicesindaco, oltre ad una serie di affari e favori, dal cambio di destinazione d’uso dei terreni di famiglia, alla scelta di uno degli immobili dei Pisano per il nuovo centro vaccinale. Ma una volta eletto la loro ombra era diventata così ingombrante da convincere Idà a simulare un allontanamento e ritagliarsi un’immagine da paladino della legalità anche a colpi di note di plauso agli investigatori, come quella diramata in occasione dell’arresto del latitante Marcello Pesce. “Questa cosa non era stata gradita per niente. Dalle intercettazioni emergono le reazioni negative di un esponente della cosca Pesce che rivelava quello che era stato l’atteggiamento accondiscendente dell’allora candidato sindaco verso il sostegno elettorale che gli veniva dalla cosca di ‘ndrangheta”. E per questo Carmine Pesce minacciava “Se inizio io su facebook a dire che lui è venuto a cercare anche i miei voti lo faccio cadere subito”.
Ma gli addentellati politici sono solo una delle “attività di famiglia” dei Pisano su cui l’inchiesta Faust, coordinata dal procuratore aggiunto Gaetano Paci, ha fatto luce. Al centro dell’inchiesta c’è anche la ramificata organizzazione che ai “Diavoli” permetteva di smerciare carichi su carichi di cocaina. Un business fiorente per il clan, che era anche riuscito a mettere in piedi due basi logistiche fisse a Policoro, in Basilicata, e a Battipaglia, in Campania, da cui inondava di coca entrambe le regioni. Ma i rosarnesi avevano buoni rapporti anche con la Sacra Corona Unita pugliese. Il gancio era Teodoro Montenegro, figlio del boss della sacra corona unita Fernando “Paparone”, ex latitante oggi al 41bis per i reati di associazione mafiosa, omicidi, traffico di droga e altri reati. Fuori, il figlio ha proseguito “l’attività di famiglia” e con i calabresi – documenta l’indagine – da tempo era in rapporti per acquistare o vendere droga. Del resto, ricorda Giuseppe Pace, che con lui viene pizzicato a parlare i rapporti sono storici e strutturati. “Qua a Lecce – dice intercettato – il mio paesano l’ha fondata.. non è… Umberto Bellocco ha fondato Lecce? L’ha fatta Umberto Bellocco… In Italia sono tutti calabresi che hanno fondato la Società, la ‘ndrina”.