Il 70° anniversario della liberazione del lager di Auschwitz si presenta con delle premesse piuttosto negative. Oltre all’assurda ed offensiva decisione del comitato delle celebrazioni ufficiali per la liberazione del campo di non avere invitato il presidente russo Putin (che, a prescindere da certe sue posizioni politiche, rappresenta comunque la continuità di quel Paese che nella lotta contro il nazifascismo ha subito 23 milioni di morti ed il cui esercito ha liberato Auschwitz), invitando peraltro il leader golpista ucraino Poroshenko (il cui governo si appoggia su movimenti neonazisti le cui milizie sono state elevate a paramilitari governativi per la repressione della popolazione russofonda del Donbass), ricordiamo che in novembre, quando l’assemblea delle Nazioni unite ha messo al voto una mozione (proposta dalla Russia) di condanna dei “tentativi di glorificazione dell’ideologia nazista e la conseguente negazione dei crimini di guerra nazisti, compreso l’Olocausto”, su 115 voti favorevoli e 3 contrari (USA, Canada e Ucraina), si sono visti 55 astenuti, che erano i Paesi dell’Unione europea.
Dunque la comunità europea di cui facciamo parte non ritiene che vi sia un pericolo neonazista in Europa, e del resto ciò è dimostrato dall’appoggio dato ai golpisti di Poroshenko, che un anno fa hanno deposto il legittimo presidente (che sarà anche stato corrotto, ma la soluzione democratica sta nelle elezioni e non nei colpi di stato), con la collaborazione dei neonazisti di Pravy Sektor, nostalgici del collaborazionista e criminale di guerra Bandera, che esibiscono svastiche e ritratti di Hitler, e le cui formazioni paramilitari sono state inquadrate nell’esercito ucraino per essere inviate a reprimere la resistenza sorta nella regione orientale, russofona, del Donbass.
In un anno di aggressione interna il governo “filo-occidentale” di Poroshenko ha fatto più di 4.000 morti nella popolazione orientale, e ricordiamo anche l’orribile strage di Odessa, dove le squadracce neonaziste hanno massacrato un centinaio di militanti comunisti nella sede dei sindacati, dando poi fuoco all’edificio. Crimine senza precedenti, nell’Europa del dopoguerra, che non ha però evidentemente preoccupato i governi dell’UE, che non solo continuano ad appoggiare Poroshenko, ma hanno invece deciso sanzioni nei confronti della Russia di Putin che nel contesto si sta semplicemente limitando a mandare aiuti umanitari alle popolazioni del Donbass che stanno subendo una guerra di aggressione e la distruzione delle loro infrastrutture per rappresaglia da parte del governo che nega loro i diritti civili.
La presenza di Poroshenko ad Auschwitz è quindi, a parere nostro, un’offesa alle migliaia di vittime di quel campo, oltre a rappresentare l’ennesimo esempio di revisionismo storico, quello inteso in senso negativo, ovviamente.
Revisionismo storico che ha molte facce e passa anche attraverso canali di cultura “nazionalpopolare”, cinema, televisione, riviste; film e canzonette. Come dimenticare l’orribile interpretazione del duo Celentano-Mori che dopo l’autunno caldo che vide le lotte operaie per un contratto decente e si concluse con la strage di piazza Fontana, vinse il festival di San Remo con la forcaiola canzone “Chi non lavora non fa l’amore”, a dimostrazione che non si deve scioperare, pena la castità obbligata?
In tempi più lontani ricordiamo anche un altro San Remo, quando Nilla Pizzi interpretò “Vola colomba” che era un inno della campagna politica per Trieste italiana?
A fronte di interpretazioni che è difficile definire artistiche, troviamo anche cose più subdole, creazioni di persone considerate, da pubblico e critica “artisti”, e che riescono, sotto una facciata “culturale” a far passare cose indegne.
Così il (a parere nostro) sopravvalutato film di Benigni “La vita è bella”, che, oltre a dare un’immagine completamente distorta di quella che era la condizione dei deportati nei campi di sterminio nazista, inserisce una scena che è una falsificazione storica tout court: il carro armato con le insegne dell’esercito USA che entra ad Auschwitz.
Scena che probabilmente è servita a far vincere l’Oscar a Benigni, in quanto cancellava dall’immaginario comune la realtà storica che erano stati i sovietici a liberare il campo di Auschwitz, il 27 gennaio 1945, data che poi è stata scelta come Giornata della Memoria, per ricordare le vittime dei crimini nazifascisti.
È da più di vent’anni (dal cosiddetto “crollo del comunismo”, negli anni ’90) che stiamo assistendo alla progressiva distruzione della memoria storica di tutto quanto di positivo avevano fatto i paesi socialisti, soprattutto nella lotta contro il nazifascismo (va ribadito che in termini di perdite umane l’URSS e la Jugoslavia furono i Paesi che percentualmente ebbero più morti durante la Seconda guerra mondiale).
E mentre nulla viene perdonato al comportamento dell’Unione sovietica e dei movimenti di liberazione comunisti (per rimanere nel nostro piccolo parliamo della questione delle “foibe” al confine orientale, e delle esecuzioni sommarie di fascisti e collaborazionisti alla fine della guerra), si tende a “dimenticare” sia i bombardamenti britannici al fosforo su Dresda, sia che gli Stati Uniti conclusero la propria guerra mondiale con le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki.
Perché, una volta dato per assodato da anni che il nazismo era stata una cosa cattiva (anche se si decise fin dall’inizio della Repubblica che il fascismo italiano non era stato tanto negativo, con le non-epurazioni ed il riciclaggio dei “vecchi arnesi” del regime in nuovi ruoli istituzionali), era necessario iniziare a convincere il popolo (la gente) della ferocia del comunismo.
Vuoi mai che il Partito comunista vincesse le elezioni ed andasse al potere, furono organizzati dal governo movimenti clandestini per evitare un tanto, l’Italia subì gli anni della strategia della tensione e centinaia di morti per questo motivo. Ed una volta caduto il “mito” socialista, sciolta l’Unione sovietica, squartata la Jugoslavia in una guerra fratricida appoggiata (anche questa) dalla comunità europea, era comunque necessario proseguire con la criminalizzazione del comunismo e della Resistenza di classe, cosa che non era difficile, bastava recuperare tutto quanto la propaganda neofascista aveva prodotto nei decenni precedenti e riproporlo pari pari, accreditando dal punto di vista storicistico tutte quelle che erano state portate quali presunte “prove” dei “crimini dei vincitori” (dove per la maggior parte si tratta di mistificazioni quando non di menzogne belle e buone).
Così abbiamo visto di anno in anno aumentare la criminalizzazione della Resistenza comunista, la ricostruzione delle vendette (vere o presunte) del dopoguerra, patrimonio all’inizio dei nostalgici del fascismo, che dopo avere messo a ferro e fuoco la propria Patria, massacrando i propri concittadini non omologati al regime golpista di Salò in una guerra fratricida, non avevano digerito di avere perso la guerra e di conseguenza avere anche subito regolamenti di conti ed esecuzioni capitali. Così sul “triangolo rosso” dell’Emilia Romagna, sull’eccidio di Schio e sull’eccidio di Codevigo del Veneto, e molti altri casi simili, itesti che fino all’inizio degli anni ’90 erano stati patrimonio esclusivo della destra neofascista nostalgica hanno iniziato ad essere mutuati anche da insospettabili esponenti di “sinistra”, come i libri di Pansa che minimizzano i crimini fascisti per stigmatizzare la ferocia dei comunisti antifascisti.
La cosa peggiore è avvenuta relativamente alla propaganda sulle “foibe” al confine orientale, con l’istituzione a partire dal 2005 del Giorno del ricordo, fissato il 10 febbraio, a ridosso della Giornata della memoria, in modo da collegare i due eventi in un tutt’uno, portando a termine quello che ancora negli anni ’70 lo storico triestino Giovanni Miccoli aveva definito “accostamento aberrante”, cioè il paragonare le “foibe” alla Risiera.
Il 27 gennaio si commemorano i milioni di morti causati dalla politica nazifascista che per raggiungere il proprio fine di “nuovo ordine europeo” aveva programmato a tavolino il genocidio di interi popoli, l’eliminazione totale degli oppositori politici e di quelle che venivano considerate “esistenze zavorra”, cioè pesi per la società, disabili, omosessuali, non autosufficienti. Il 10 febbraio, due settimane dopo, vengono commemorati allo stesso livello anche i morti genericamente attribuiti “all’espansionismo jugoslavo”, senza considerare che furono per la maggior parte militari morti nei campi di prigionia o fascisti e collaborazionisti condannati a morte dai tribunali jugoslavi (che avevano lo stesso diritto delle altre corti alleate di processare i criminali di guerra) o vittime di quella giustizia sommaria che fu comune a tutta l’Europa e che anzi nelle zone controllate dagli Jugoslavi fu di gran lunga inferiore a quella del resto d’Europa.
Ma la cosa ancora più aberrante (che è il frutto del criterio antistorico con cui è stato istituito il Giorno del ricordo), è che le stesse autorità che il 27 gennaio nella Risiera di San Sabba commemorano le vittime del nazifascismo, il 10 febbraio ricordano invece coloro che causarono quelle vittime, se risultano in qualche modo “infoibati”, cioè arrestati dalle autorità jugoslave e scomparsi.
Così il 27 gennaio a Trieste si ricordano i morti della missione alleata Molina, uccisi nella Risiera (Valentino Molina, Francesco Sante De Forti, Guido Pelagalli, Clementina Tosi) ed il 10 febbraio coloro che li fecero arrestare (Alfredo Germani, Remo Lombroni; Ermanno Callegaris, Giovanni Burzachechi).
Il 27 gennaio si commemorano tra i resistenti uccisi in Risiera il partigiano di Boršt Danilo Petaros, il poliziotto gappista Adriano Tamisari, il rappresentante democristiano Paolo Reti, tutti arrestati dall’Ispettorato Speciale di PS (corpo collaborazionista che operò esecuzioni, rastrellamenti, deportazioni), dei quali vengono ricordati il 10 febbraio i 67 agenti “infoibati”, tra i quali Mario Suppani, responsabile anche dell’arresto dell’anziano azionista Mario Maovaz, fucilato il 28/4/44; i rastrellatori di Boršt Mario Fabian, Matteo Greco, Dario Andrian, Francesco Giuffrida e Gaetano Romano; Ferruccio Soranzio, responsabile del rastrellamento di Ronchi che causò la deportazione nei lager di 64 persone, 25 delle quali non fecero ritorno; Alessio Mignacca, killer di antifascisti e torturatore che fece abortire una donna picchiandola.
Il 27 gennaio si commemora, tra i morti nei lager, l’agente di custodia Francesco Tafuro, che fu fatto deportare dal suo capo, quell’Ernesto Mari che, essendo stato (letteralmente) “infoibato” nell’abisso Plutone da un gruppo di criminali comuni infiltratisi nella Guardia del popolo, viene ricordato il 10 febbraio.
Questi alcuni casi eclatanti, ma il più scandaloso è forse che il 10 febbraio viene ricordato anche l’ultimo prefetto di Zara italiana, Vincenzo Serrentino (fondatore del Fascio in Dalmazia, squadrista, ufficiale della Milizia e nel Direttorio del PFR) che aveva poi svolto (assieme a Pietro Caruso, fucilato a Roma alla fine della guerra) il ruolo di giudice a latere del Tribunale Speciale per la Dalmazia (presieduto dal generale Gherardo Magaldi), che si spostava in volo da Roma per emanare condanne a morte ad antifascisti. Denunciato come criminale di guerra alle Nazioni unite, si era rifugiato a Trieste, dove fu arrestato dagli Jugoslavi l’8/5/45, sottoposto a processo e fucilato a Sebenico un paio di anni dopo.
Oggi, considerato “infoibato”, ai suoi eredi è stata riconosciuta la decorazione prevista dalla legge sul Giorno del Ricordo.
Non mettiamo in dubbio che anche i partigiani che lottarono per il comunismo e la libertà commisero degli errori, “ebbero dei difetti”, come scrisse Pinko Tomažič: ma rispetto ai fascisti erano diversi gli ideali di partenza, che erano ideali di amore e non di morte, ideali di giustizia e non di prevaricazione.
Concludiamo quindi con le parole di Italo Calvino, che militò nella Resistenza e la descrisse nei suoi libri in maniera non agiografica: … dietro il milite delle brigate nere più onesto, più in buona fede, più idealista, c’erano i rastrellamenti le operazioni di sterminio le camere di tortura le deportazioni l’olocausto…
… mentre dietro il partigiano più ladro, più spietato c’era la lotta per una società più pacifica più democratica e ragionevolmente più giusta …
Gennaio 2015