Gentiloni e Trump a Washington © LaPresse
L’arte della guerra
di Manlio Dinucci
Giornali e telegiornali hanno dato scarso rilievo all’incontro Trump-Gentiloni. Eppure è stato un evento tutt’altro che formale.
Per Gentiloni si trattava di fugare le ombre sull’atteggiamento del suo governo verso il nuovo presidente Usa, lasciate dall’aperto sostegno del governo Renzi (in cui Gentiloni era ministro degli esteri) a Obama e alla Clinton contro Trump nelle elezioni presidenziali.
Gentiloni c’è riuscito benissimo ribadendo, indipendentemente da chi sieda alla Casa Bianca, l’«ancoraggio storico» dell’Italia agli Stati uniti, «pilastro della nostra politica estera».
Il presidente Trump ha reso merito all’Italia, ricordando che «oltre 30 mila militari americani e loro familiari sono stazionati attraverso tutto il vostro paese» e che l’Italia, dopo gli Usa, «è il secondo maggiore contributore di truppe nei conflitti in Iraq e Afghanistan».
Il contributo italiano è in realtà maggiore di quello riconosciuto da Trump. Lo dimostra la crescente quantità di armi inviate in Medioriente dalle basi Usa/Nato in Italia, ufficialmente per la guerra al terrorismo.
Tali spedizioni sono rintracciabili seguendo il percorso di determinate navi: ad esempio il cargo «Excellent» (battente bandiera maltese, ma con equipaggio italiano), noleggiato dal ministero della Difesa, è partito il 19 aprile da Piombino dopo aver imbarcato un grosso quantitativo di blindati Lince e armi; ha fatto scalo due giorni dopo ad Augusta, punto strategico per rifornimenti di combustibile e munizionamento, dirigendosi quindi attraverso il Canale di Suez al porto di Gedda in Arabia Saudita.
Qui era già arrivata il 9 aprile la nave Usa «Liberty Passion» proveniente da Livorno, aprendo un regolare servizio mensile per il trasporto di armi dalla base Usa di Camp Darby al Medioriente per le guerre in Siria, Iraq e Yemen.
Nella conferenza stampa con Trump, Gentiloni ha detto che «l’Italia non è coinvolta nelle operazioni militari in Siria salvo che per aspetti marginali». Che il ruolo dell’Italia sia tutt’altro che marginale, lo dimostra l’attacco missilistico ordinato dal presidente Trump contro la base siriana di Shayrat: l’operazione bellica è stata effettuata da due navi della Sesta Flotta con base a Gaeta, sotto il Comando delle forze navali Usa in Europa con quartier generale a Napoli-Capodichino, ed è stata appoggiata dalle basi Usa di Sigonella e Niscemi in Sicilia, affiancate da quella di Augusta.
Trump ha inoltre ringraziato Gentiloni per «la leadership italiana nella stabilizzazione della Libia» dove, ha precisato, gli Usa non hanno intenzione di intervenire essendo impegnati su troppi fronti. In altre parole ha confermato che l’Italia ha l’incarico, nell’Alleanza sotto comando Usa, di mettere piede nelle sabbie mobili libiche provocate dalla guerra Nato del 2011.
Gentiloni si è detto «fiero del contributo che diamo noi italiani alla sicurezza dell’Alleanza in tante aree del mondo». Compresa la regione baltica dove l’Italia invia forze militari in funzione anti-Russia, pur ritenendo «utile il dialogo perfino con la Russia, senza rinunciare alla nostra forza e ai nostri valori».
Gentiloni si è detto anche «fiero del contributo finanziario dell’Italia alla sicurezza dell’Alleanza», garantendo che, «nonostante certi limiti di bilancio, l’Italia rispetterà l’impegno assunto», ricordatogli insistentemente da Trump: portare la spesa militare al 2% del pil, ossia dai 63 milioni di euro al giorno dichiarati dalla Pinotti (più altre spese militari extra budget della Difesa) a 100 milioni di euro al giorno. «Noi italiani manteniamo sempre gli impegni presi», ha detto Gentiloni a Trump con una punta di orgoglio nazionale.
25 aprile 2017