Lotta tra logge… e noi paghiamo.
di Carlo Tecce
Quei retroscena sotto dittatura
Nomfup, not my fucking problem. Non è un mio fottuto problema, citazione di Malcolm Tucker, l’iroso e geniale protagonista di The Thick of It, una serie tv inglese. Nomfup è Filippo Sensi. Quello che sentite, leggete, vedete di Matteo Renzi – la lavagna per insegnare la “buona scuola”, il motto per giustiziare gli avversari, le stravaganze e le provocazioni – lo decide Sensi. E soprattutto quello che non sentite, non leggete, non vedete. Più che lo stato dell’informazione, a Renzi interessa l’informazione di Stato.
A patto che lo Stato sia Lui. Così ha ingaggiato il tentacolare portavoce, maniere ieratiche col profilo secchione, empatico e vendicativo di professione, importatore maniacale di tattiche anglosassoni, ma un romano col passaporto per entrare nei salotti, l’anfitrione del fiorentino per i rapporti con la Capitale.
Classe1968, Sensi è un ex assistente di Francesco Rutelli sindaco, il giornalista italiano che, dragando gli archivi in rete e acciuffando un video, ha fatto dimettere Liam Fox, un ministro di sua maestà Elisabetta II colpevole di intrattenere relazioni troppo strette con il lobbista Adam Werritty.
Il sodalizio con il fiorentino non c’entra con la sintonia politica, la formazione culturale, la sindrome rottamatrice. Amici mai. Alleati sempre. Renzi ha bisogno di Sensi, un San Pietro, il capo degli apostoli e il boia degli apostati. Perché Nomfup controlla. Tutto.
Come funziona l’impero dei sensi
Il Mediterraneo è un mare di morte. La tomba dei profughi, dei clandestini, degli immigrati. Il metodo Triton di fabbricazione renziana è inefficace, i barconi trasportano vittime. Roma invoca l’Europa. Enrico Letta s’accomoda in cattedra e rimbrotta il fiorentino che l’ha spodestato. Le opposizioni martellano. Palazzo Chigi convoca Ban Ki-moon in Italia. Il 27 di aprile, il presidente Onu visiterà la nave San Giusto che sorveglia le coste al largo di Lampedusa.
È il mondo che non ignora le rimostranze di Roma. È la parata con le mostrine e la ciurma impettita. L’Aeronautica comunica ai giornalisti il programma per la trasferta. Il 25 sera, un sabato, un Maggiore spedisce una lettera: andata e ritorno da Ciampino, scalo a Sigonella, viaggio in elicottero; suggerisce di reperire i telefoni satellitari. Le telecamere dei giornalisti a bordo, spiega con dovizia di particolari il Maggiore, possono riprendere l’incontro fra il premier Renzi e Ban Ki-moon per ottanta minuti, poi ci sarà una conferenza, mezz’ora circa.
Il coreano che risiede al Palazzo di Vetro, lo stesso giorno, rilascia un’intervista a La Stampa. Muove una leggera, quasi impercettibile critica al governo: “Sbagliato colpire i barconi in Libia”. Suona l’allarme per Renzi e Sensi soccorre. Cosa potrebbe accadere se Ban Ki-moon fosse consegnato agli inviati? Quanto si potrebbe macchiare la narrazione (storytelling, per usare la lingua di Nomfup) se i cronisti notassero una smorfia di tedio del coreano?
Con la freddezza di Carl von Clausewitz, il generale prussiano che fu raffinato stratega, Sensi ordina al Maggiore di annullare la spedizione. Il militare, desolato, rettifica: cari colleghi, vi rendo il mio congedo; per qualsiasi aggiornamento, il vostro referente è Sensi.
Quei retroscena sotto dittatura
Nomfup non dispone di collaboratori, solo di propaggini: l’ex paparazzo Tiberio Barchielli e l’ex poliziotto Filippo Attili. I dipendenti dell’ufficio stampa di Palazzo Chigi, un gruppo che ha attraversato le stagioni destrorse, sinistrorse e tecniche, patiscono l’ozio, sopravvivono ai margini, mai consultati.
L’ex poliziotto e l’ex paparazzo preparano il video e l’album che i giornali, le agenzie e le televisioni devono ingoiare e gli italiani ammirare, ignari che la fonte di quel servizio è Palazzo Chigi. Il resoconto è propaganda. Ecco Renzi che stringe la mano all’equipaggio, che incalza il comandante: “Che ci mostrate?”. E dietro arranca, piegato dall’energia del fiorentino, un tale Ban Ki-moon.
Ecco Renzi che rilascia un’intervista che nessuno gli ha chiesto perché nessun cronista era presente, che distilla la sua sapienza e la sua intelligenza al duttile Attili. Ecco Renzi che scende la rampa del velivolo con incedere impetuoso, col cielo smerigliato addosso e una suggestiva commistione di colori.
Ecco l’ex ministra Federica Mogherini che imita l’inimitabile Matteo e passa in rassegna il picchetto d’onore dispensando incerti sorrisi. Il lavoro di Sensi è perfetto per l’informazione di Stato. Non una sbavatura, non una notizia. In televisione va in onda il video di Attili (pochi si rifiutano), in agenzia finiscono le immagini di Barchielli, che l’Ansa e LaPresse distribuiscono. È già successo duecento volte, Barchielli è fornitore assiduo.
Nomfup è un vigile attento e severo. Ma per vigilare bene occorre guardare bene. Occhi ovunque, orecchie allerta per non giocare di rimessa. Nel laboratorio di Palazzo Chigi costruiscono e ispirano i retroscena dei giornali, dettano l’agenda. Il lunedì, di solito, fanno trapelare il tema che farà discutere durante la settimana. Che sia l’Enel che scippa la banda larga a Telecom, la riforma Rai, la fiducia sui decreti: questo è il lavoro straordinario. Poi c’è l’impiego ordinario.
Ogni sera, a telegiornali quasi esauriti, Nomfup manda un sms ai cronisti che seguono il governo con la formula “Renzi ai suoi”. I più pigri lo copiano e lo incollano nei pezzi. I più scafati tentano di ampliare le frasi, di argomentare meglio, di usare la testa. Appena espugnata Roma, Renzi esecrava le distinzioni: agenzie, quotidiani e televisioni devono dissetarsi a una sorgente comune.
Ma i quotidiani, che vanno in edicola al mattino e ricamano in attesa di una nuova alba, hanno protestato e Nomfup ha ideato un sistema più complesso, però circolare. I giornali ottengono l’esclusiva di “Renzi ai suoi” e svelano il pensiero del fiorentino e del governo, più o meno esatto, più o meno definitivo.
Le agenzie di stampa nazionali, che sono accatastate in una conversazione di WhatsApp (l’applicazione di messaggeria istantanea e gratuita), smussano, correggono, s’adattano all’evoluzione di una giornata. Le televisioni traggono spunti, svolgono un ruolo di cucitura, di megafono.
Capita che un giornale e un’agenzia carpiscano uno spiffero in più. È Sensi che quel giorno ha premiato l’uno per punire l’altro. Il reprobo può subire il silenzio (zero sms) per una settimana se l’ha fatta grossa. Anche le etichette “fonti di governo” e “fonti di Palazzo Chigi” sono di proprietà di Sensi. I ministri non possono interpretare la posizione di Renzi se non è Sensi a fornire le coordinate. Quando esagerano, Nomfup è spietato.
Le emergenze: massoni e pensioni
Il 6 maggio, Palazzo Chigi è un luogo caotico. La Consulta ha inguaiato Renzi con la sentenza che boccia la legge Fornero. Il governo è sprovvisto del denaro per risarcire i pensionati gabbati dal blocco. Enrico Zanetti, il logorroico sottosegretario di Scelta Civica, va a zonzo in televisione a giurare che il governo può non rimborsare i pensionati con l’assegno più alto o addirittura può rimborsare con un obolo (sarà definito “bonus”).
Palazzo Chigi non commenta e non smentisce, osserva l’effetto. Zanetti non fa male, non è un renziano. A metà pomeriggio, l’Ansa interpella un influente consigliere di Renzi e batte il lancio: “Non rimborsare tutti è compatibile con la sentenza della Consulta, fonti governative reagiscono dopo l’uscita di Zanetti e aggiungono che domani in Cdm non sono previsti interventi”.
Sensi è furibondo. Ma non reagisce: attende la reazione dei telegiornali e ancora deve farcire il mitologico sms di “Renzi ai suoi”. Quando capisce che l’Ansa ha contaminato i telegiornali, anche quelli di Viale Mazzini, azzanna i vertici e ridimensiona l’indiscrezione con il riepilogativo serale. Il tempo darà ragione all’autore di quel breve testo, l’imbeccata era lungimirante, ma il tempo deve assecondare le esigenze di Sensi.
I telegiornali orientano la bussola di Palazzo Chigi, Nomfup non è il luddista dei mezzi del Novecento. Twitter è un microcosmo per sperimentare gli spot. In televisione non sono ammessi intoppi. La tv garantisce milioni di telespettatori. È la platea più ampia, la più semplice da adunare. Renzi è andato da Massimo Giletti su Rai1 non per ricevere in regalo la maglietta della Juventus, ma perché un terzo del pubblico di Giletti ha più di 65 anni.
L’Arena è il parco virtuale dei pensionati. E il ragionamento va applicato pure a Porta a Porta, dove il fiorentino è transitato l’indomani. Quando Renzi va all’estero, però, preferisce Sky. Perché il circuito è internazionale e incentiva la visibilità negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Germania. Ma l’attenzione più puntigliosa è per il servizio pubblico, che può amplificare o smorzare quel che di sottecchi esce sui giornali.
24 settembre 2014, Ferruccio de Bortoli firma sul Corriere un editoriale deflagrante:“Il patto del Nazareno finirà per eleggere anche il nuovo presidente della Repubblica, forse a inizio 2015. Sarebbe opportuno conoscerne tutti i reali contenuti. Liberandolo da vari sospetti (riguarda anche la Rai?) e, non ultimo, dallo stantio odore di massoneria”.
Il Corriere borghese, equilibrista e istituzionale, che trent’anni fa la Loggia segreta P2 ha tramortito, associa il governo ai massoni. Il Nazareno, la sede dem, non emana un effluvio di lavanda, ma “uno stantio odore di massoneria”. Il dubbio innesca articoli, condiziona le scalette tv, scatena i cronisti. A Ballarò su Rai3 preparano la puntata di martedì 30 settembre e non possono sottovalutare il monito siglato De Bortoli.
A un giornalista viene commissionato un servizio per approfondire la sintonia (o riscontrare la distanza) fra il governo e la massoneria. Ballarò riesce a strappare un appuntamento al modenese Antonio Binni, gran maestro della Gran Loggia d’Italia degli antichi liberi muratori accettati. Il rito è scozzese. Il granmaestro mostra al giornalista e agli operatori il tempio di largo Argentina a Roma, indossa guanti di pelle bianca, grembiule ricamato con sfumature d’azzurro, collare dorato con una medaglia con squadra e compasso.
E risponde a una certosina sequenza di domande. Gli inviati di Ballarò registrano almeno due ore di filmato e rientrano in redazione per riversare il materiale. Lunedì 29 ribadiscono al gran maestro Binni che potrà ammirare la propria esibizione su Rai3. E le rassicurazioni si ripetono. Come di consueto, quel pomeriggio Ballarò dirama il menu della puntata. Il faccia a faccia sarà tra il conduttore Massimo Giannini e il ministro Maria Elena Boschi; in studio Giuliano Pisapia, Simona Bonafé e Matteo Salvini.
Il martedì, a poche ore dal via, l’inviato di Ballarò spiega a Binni che, purtroppo, con immenso dispiacere, il colloquio già montato e lustrato non verrà trasmesso per questioni di spazio. È piombato in scaletta un pezzo pregiato. Un’intervista a Renzi. E pazienza se per il governo c’è già la Boschi e il verbo renziano tracima. Che strana coincidenza: fuori il massone, dentro il fiorentino.
Questa imperdibile intervista a Renzi non è nient’altro che una chiacchierata del premier con Paolo Poggi. È la finzione che deve apparire imprevisto. Nomfup l’ha studiata nei dettagli. Cortile di Palazzo Chigi, un commesso spalanca una porticina schermata dal colonnato, sbuca Renzi che accenna a una corsetta verso la telecamera, di lato s’incarna Poggi. Il fiorentino sciorina il copione: “La discussione in direzione è stata bella, ora la riforma del lavoro. Il lavoro non è un diritto, è molto di più: è un dovere”.
Per mesi s’era concionato sui tatticismi di Renzi: che fa, donerà il suo volto all’esordiente Giannini su Rai3 o omaggerà il concorrente Giovanni Floris espatriato a La7? Avviene che Ballarò ha confezionato un approfondimento sui massoni, che il servizio pubblico ha interpellato un gran maestro per soddisfare il diffidente De Bortoli, milioni di italiani potranno esaminare il patto con Silvio Berlusconi che il Corriere reputa caliginoso.
Per fortuna, perché ci vuole tanta fortuna, Renzi si ricorda di concedere cinque minuti a Poggi e quei cinque minuti condannano all’oblio il parere di Binni, De Bortoli, il Corriere e la curiosità di molti. O forse Sensi, senz’altro fortunato, sapeva del gran maestro. E perché, fra decine di pause, contributi esterni e un dibattito infinito, viene espunto il massone?
O sarà che Nomfup non espone Matteo se non bonifica l’area che lo circonda, se non può agire in ambiente protetto. In cinque minuti, il giornalista non fa un accenno all’odore stantio di massoneria, ma chiede a Renzi se – come gli aveva confidato – è ancora convinto di voler fare il camionista. Il fiorentino tergiversa.
Infortunio nelle scuole
Ma è sicuro che Nomfup aborre la versione gelataio. Quando Renzi ha offerto coni ai cronisti a Palazzo Chigi per replicare indignato a una copertina dell’Economist che lo ritraeva distratto mentre l’Europa affonda, la coppia è scoppiata. Anche Nomfup e Matteo litigano. Il precedente più significativo risale al 5 marzo 2014. Il presidente del Consiglio più giovane d’Italia, più imberbe di Benito Mussolini, inaugura il giro per le scuole italiane.
Istituto “Salvatore Raiti” di Siracusa, i bambini lo accolgono con una canzoncina da opera nazionale balilla, i docenti riadattano Clap and jump: “Facciamo un salto. Battiam le mani, ti salutiamo tutti insieme presidente Renzi. Muoviam la testa. Facciamo festa. A braccia aperte ti diciamo benvenuto al Raiti! I bambini, gli insegnanti, i bidelli e poi l’orchestra lasceremo improvvisar così”.
I giornalisti scoprono la stucchevole pantomima. Sensi ha fallito, perché il fiorentino non voleva cronisti intorno, molto pericolosi se non ammaestrati. Dopo l’epi sodio costato una figuraccia, per evitare che possa ripetersi, Renzi interrompe il giro d’Italia. E si smentisce: “Visiterò una scuola a settimana”, aveva promesso ai parlamentari. Non era più utile. Anzi, era una trappola.
Un’immagine vale mille parole
Nomfup ha talento, è un meticoloso organizzatore. Adora pianificare. Il segreto, seppur elementare: nulla al caso. Qualsiasi immagine di Renzi va filtrata dall’inedito poliziotto-cameraman Attili. I cronisti non possono accendere le telecamere se la circostanza non è pubblica, non possono azionare la macchina fotografica. A Bruxelles, al centro della saletta riservata agli italiani, Nomfup ha sostituito il tradizionale tavolo verde con un podio in stile americano.
Sandro Gozi, il sottosegretario con delega all’Unione Europa, è costretto a ricavarsi una seggiola in disparte, a osservare da un angolino. Alle spalle di Renzi, lì dove accorrono giornalisti stranieri, c’è posto solo per Nomfup e per Ilva Sapora, la donna del cerimoniale di Palazzo Chigi che si premura di sistemare le minuzie, l’orlo di una camicia o la piega di un cappotto.
Così Nomfup, spesso, è l’origine delle notizie. Il pretesto: #cosedilavoro, l’hashtag . È Sensi che divulga la Mogherini lacrimante, nominata rappresentante per la politica estera dell’Unione europea. È Sensi che occulta gli spostamenti di Renzi per impedire che le contestazioni siano strutturate in anticipo. È ancora Sensi, a Parma per la campagna elettorale o altrove con la medesima sagacia, che pubblica su Twitter la fotografia di una piazza deserta, di un viale semivuoto per irridere chi protesta.
Come a dire, e Renzi poi lo dice davvero, “non ci spaventiamo per tre fischi, tre uova, tre petardi”. Ogni manifestazione del fiorentino deve alimentare l’epopea dell’uomo forte al comando. Sensi ha insegnato ai praticanti del mestiere il prontuario del comunicatore innovatore e onnisciente.
Ha tenuto lezioni per Maria Elena Boschi e colleghi. Quando la ministra ha telefonato a Lucia Annunziata per sindacare su di un pezzo dell’Huffington e reclamarne la rimozione, Nomfup l’ha redarguita. Poi uno scaltro portavoce ha affiancato la Boschi. Sensi è l’ex vicedirettore di E u ro p a , il quotidiano della Margherita di Rutelli, che ha svuotato la redazione per allestire un ufficio stampa di governo.
Nonostante l’influenza su Renzi, Sensi non ne ha scongiurato la chiusura. Lo spirito di E u ro p a aleggia a palazzo Chigi e nei ministeri. Non sarà entusiasta Stefano Menichini, ex direttore nonché mentore di Sensi. Prevale la ragione non il sentimento o la simpatia dei giornalisti o la stima degli adulatori (sono 73.000 i “seguaci”, follower di Nomfup) su Twitter.
Sensi ha il compito di risolvere i problemi di Renzi. Il trucco non è cercare le soluzioni migliori, ma ridurre il numero dei problemi. Il resto non conta. Nomfup, not my fucking problem. Non è un mio fottuto problema.
24 maggio 2015