di Antonio Gramsci
Odio le persone cosí dette serie, che cercano, abusando di questo loro carattere da commedia, di truffare la nostra buona fede. Preferisco l’impudenza sfacciata, la monelleria piú scrosciante di allegria, anche l’abiezione che non ha vergogna di se stessa e si mostra trionfante alla luce del sole.
Almeno so con chi ho da fare, so come regolarmi, non sospetto trappole al mio buon cuore, e se mi prende vaghezza in qualche momento della mia giornata faticosa, di fare contro i reumatismi della logica i bagni di fango, so dove andare e come cavarmela. Corro qualche pericolo, lo so, ma non mi spavento. Il pericolo per esempio di finire per preferire la schiuma al resto. Ma non me ne pento e non arretro interrorito. So che i centri inibitori del mio cervello sono ancora abbastanza robusti per trarmi dal precipizio al momento buono. E il cimento del rischio, del paradosso non è meno indispensabile alla vita del solito trotterello dell’asino logico quotidiano. E perciò faccio una confessione: amo la pochade, e mi diverto immensamente ad ascoltarla.
Ne so i difetti, ne so i trucchi e le macchinazioni, prevedo quasi dal primo atto dove andrà a finire, ma mi sento appunto per ciò sicuro dagli inganni, dalle truffe dell’arte seria. I grandi nomi che fanno accorrere il pubblico grosso ai teatroni di qualità, mi spaventano e mi riempiono di apprensione. So già che avrò da fare con gente che vuol imbonire, che leviga e assottiglia le angolosità per rendersi meno urtante, che giulebba i noccioli piú spinosi e meno digeribili per farli inghiottire senza singhiozzi, e sto male per qualche tempo pensando che è ancora possibile, vellicando un po’ la pancetta della cicala borghese, farla strillare in un senso piuttosto che in un altro. E perciò preferisco la pochade. La ritengo piú igienica per i miei nervi, tanto piú se l’arte di Dina Galli le toglie la patina piú appariscente di volgarità, e le dà in prestito la sua vita artistica. Tra la Falena di Bataille, o le Donne forti di Sardou, e la Dame de chez Maxim’s, preferisco quest’ultima, che non ha pretese, e non nasconde il belletto e la sfacciataggine.
Ma una cosa non posso sopportare in nessun modo: la pochade che vuol essere solo «commedia comica», Virginia che vuol continuare la Locandiera, e Paolo che vuol continuare Florindo o Lindoro.
(Sotto la Mole – 22 gennaio 1916).