Chi pensava di poter entrare in questa “sottospecie” di agone politico colpendo basso gli avversari ma senza essere colpito a sua volta sotto la cintola, lo si deve considerare un ingenuo o uno sprovveduto?
Proprio come per la vicenda del padre di Luigi Di Maio che assumeva operai in nero, ma non aveva fatto i conti con l’oste che ora presenta il conto in quanto la vicenda è esplosa con tutto il dovuto clamore sia politico che mediatico.
Sono ridicole e inutili le difese dei colleghi di partito dell’onorevole (vedi post sotto) perché ai tempi di Renzi, il M5S ha detto e fatto di tutto per sbugiardare la difesa del figlio Matteo nei confronti del padre Tiziano, in quanto sostenevano che fosse inverosimile che l’allora premier non fosse a conoscenza delle attività dell’azienda di famiglia. Idem per la Boschi.
Una domanda è d’obbligo: Visto che parliamo di una piccolissima impresa edile è credibile quanto sostiene Luigi Di Maio e cioè che in casa non si parlasse anche dei problemi di lavoro paterni?
Siamo dispiaciuti che il Ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede (M5S), alla trasmissione “Cartabianca” del 27 novembre, sostenga il fatto che l’operaio pagato in nero (e che si era infortunato sul cantiere) fosse “un episodio accaduto dieci anni fa” [27′ 47″], facendo, quasi, intendere che sia perdonabile.
Questa considerazione è gravissima perchè potrebbe aprire le porte giustificazioniste anche agli imprenditori che hanno fatto usare amianto agli operai che in seguito si sono ammalati e sono morti anni dopo.
MOWA
Di Maio e l’azienda di famiglia: «Sapevo della causa ma l’abbiamo vinta»
Il vicepremier replica alle accuse e sulle quote della Ardima non citata nel cv: «Non c’era la partecipazione all’azienda di famiglia – sostiene -, sono diventato socio dopo l’elezione»
«La causa presentata da un dipendente è contro la vecchia ditta di famiglia (in cui io non c’ero) e tra l’altro dà ragione a mio padre in pieno, in primo grado. Una causa che si trasferisce alla seconda azienda nata nel 2013 come tutti i crediti, debiti, dotazioni e beni strumentali». Così Luigi Di Maio parla della vertenza contro l’azienda di famiglia dell’operaio specializzato Domenico Sposito. E conferma che finì in carico alla società che i genitori avevano donato a lui e alla sorella Rosalba. Riguardo al fatto che la proprietà delle quote della Ardima non è mai citata nel suo curriculum afferma: «Non c’era la partecipazione all’azienda di famiglia, perché sono diventato socio dopo la mia elezione in parlamento».
L’abuso edilizio
A proposito del capannone utilizzato dagli operai della ditta del padre come magazzino, «si stanno facendo degli accertamenti, sono dei capannoni o baracche che risalgono a dopo la Seconda Guerra mondiale che se ho capito bene non sono accatastati, bisogna capire se sono stati costruiti in maniera abusiva o non accatastati – continua Di Maio -. Mi fa piacere che lo si sta scoprendo solo nel 2018, che le autorità stanno facendo oggi i controlli, benissimo, non lo dico ironicamente, ma non sono cose intestate a me». «Io a capo dell’Ispettorato nazionale del Lavoro ho messo un generale dei carabinieri – si difende – che porta avanti la lotta al lavoro nero, la lotta al caporalato e a quelle che sono le illegalità nel mondo del lavoro ogni giorno».
Il botta e risposta con Boschi
«Va bene che si facciano rilievi su tutta la mia famiglia fate tutti gli accertamenti che dovete fare, io quello che non sopporto è come possa essere paragonato ad una ministra che andava a faceva il giro delle banche e delle autorità indipendenti per salvare la banca del padre – aggiunge a margine del Restitution Day dei consiglieri regionali abruzzesi -. Io sono qui per dare tutte le spiegazioni possibili per fatti che risalgono a più di dieci anni fa di mio padre e come fatti, non da mio padre, prendo le distanze. In questo caso io non ho fatto il giro delle sette chiese per salvarlo, io sono qui a dirvi che se qualcuno ha sbagliato, io dieci anni fa avevo 20 anni». Risponde subito la diretta interessata: «Mio padre ha ricevuto oggi due decreti di archiviazione sulle vicende di Banca Etruria. Il tempo restituisce tutto e la verità arriva. Eppure ancora ieri pur di difendere Di Maio, migliaia di profili mi hanno insultata, diffamata, persino minacciata» scrive in un post Maria Elena Boschi. «Non auguro a nessuno di vivere ciò che ho patito, neanche alla famiglia Di Maio – prosegue: spero solo che i 5S capiscano che la giustizia non è giustizialismo. E che l’odio è come un boomerang, prima o poi torna indietro». Nel post l’ex ministro dice poi di aspettare «il giorno in cui finalmente sarà scritta la vera storia delle crisi bancarie in Italia e si capirà la strumentalizzazione squallida che è stata fatta sulla questione Banca Etruria». «Ma aspetto soprattutto – aggiunge – il giorno in cui si potrà giudicare una persona per la propria competenza, il proprio lavoro, i propri risultati e non per le scelte del padre o per il tipo di stivali che indossa».