di MOWA
«Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch’io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano.» (Antonio Gramsci)
Esistono diversi modi per governare un paese e uno di questi è quello di dare priorità alla comunicazione, anche se bisogna vedere di che tipo, perchè, pur se apparentemente arriva da soggetti diversi, in realtà è unilaterale .
Questo genere di modus operandi è diventato molto attivo in questi ultimi decenni in cui vanno per la maggiore, nei programmi televisivi, testate giornalistiche, ecc., che sembrano parlare diverse lingue e dirigersi in direzioni diverse ma che, in realtà, portano tutte verso in un’unica direzione: l’accettazione tout court del sistema liberale, per non dire chiaramente capitalista. Qualche invitato televisivo o giornalista azzarda, recitando benissimo, la sua parte in commedia con l’ambizione di smorzare ogni velleitaria contrapposizione, e far passare, quindi, l’ipotesi di un pensiero unico.
Ogni critica, infatti, in dette circostanze, viene abolita con la più elementare e indolore delle opzioni togliendola dai palinsesti televisivi, oppure fingendo che non esista nessuna opposizione.
Ma, prima che tutto ciò si concretizzi per il consolidamento di quell’impalpabile “potere”, diventa indispensabile costruire un esercito di “cittadini debolissimi, indifesi, aperti a ogni influenza improvvisata e chiassosa” come sostiene bene nel suo libro Luciano Canfora, “Intervista sul potere” (edizioni Laterza). Canfora, in poche righe del libro, sintetizza il disastro socio-culturale a cui si è andati incontro e afferma che solo un’inversione di tendenza generale potrebbe far recuperare il futuro che intere generazioni, giustamente, avrebbero il diritto di avere, e non di patire le angherie di quel “potere” dal guanto di velluto (ma avvelenato):
«Gli studenti condannati a una preparazione scarsa o apparente, o addirittura all’ignoranza, diventano più facilmente vittime del potere. Sono cittadini debolissimi, indifesi, aperti a ogni influenza improvvisata e chiassosa. Chi ha rovinato la scuola, ha ferito gravemente anche la Repubblica, il sistema democratico, la libertà individuale e la consapevolezza dei diritti. Spero che qualcuno prima o poi se ne accorga. Purtroppo le riforme che si sono via via susseguite nel tempo non sono andate nella direzione del prendere atto della modernità e farla fruttare in maniera seria. Si sono mosse invece nel senso della semplificazione banalizzante, che alla fine risulta corruttrice. I futuri cittadini vengono resi così più fragili e manipolabili. È un grande problema storico-politico, di cui, temo, prima o poi vedremo conseguenze lancinanti. Non vorrei apparire troppo pessimista, ma il successo di movimenti irruenti e semplificatori sul piano della lotta politica si spiega anche con questa debolezza culturale.»
Esiste, nel paese, l’impellente bisogno di ricomporre un tessuto sociale che, sino agli anni ’80, era stato in grado di avere buone o accettabili riforme che si sono frantumate dacchè i massocapitalisti misero in atto quel velato golpe costituzionale con le modifiche ai principi importanti della Repubblica democratica italiana.
Infatti, diventa “normale” parlare, nei programmi televisivi, di candidature di Presidenti della Repubblica nonostante vi siano dei parlamentari considerati illegittimi dalla Corte costituzionale che avrebbero avuto il compito, invece, di ripristinare la legalità elettiva con le vecchie regole elettorali. Allora ci si chiede quanto sia legittimo parlare di candidati alla presidenza della Repubblica quando la regola è stata infranta.
Una regola che non avrebbe fatto presa, nell’opinione pubblica, qualche decennio fa, un’opinione pubblica che, invece, oggi, sembra anestetizzata, anche a causa di quei “movimenti irruenti e semplificatori sul piano della lotta politica” perché mancano di una progettualità complessiva come aveva il P.C.I. (da Gramsci a Berlinguer).
Una “debolezza culturale” generale che, per non rimanere “più fragili e manipolabili” potrebbe essere sanata (per dirla con Canfora) solo ricomponendo quella consapevolezza e quel sapere delle proprie potenzialità di oppressi come si era riusciti ad ottenere negli anni passati e che aveva impensierito i capitalisti in ogni angolo del mondo.
Un blocco sociale di classe – case matte di gramsciana memoria – che deve, per forza, ampliare gli orizzonti per riscattarsi, se gli oppressi vogliono sentirsi protagonisti del proprio futuro e riscattarsi da quelle catene invisibili che tengono prigionieri in un orticello individualistico e/o di apparente solitudine dagli altri sfruttati per riavere quel beneficio del lavoro sottratto insieme alla dignità di lavoratori che produce ricchezza e di cui, invece, non se ne beneficia in alcun modo.
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