di MOWA
«Se qualche impresa ti riesce difficile da compiere, non pensare subito che essa sia impossibile per l’uomo piuttosto, quanto è possibile e naturale per l’uomo, giudicalo ottenibile anche da te.» [Marco Aurelio]
Perché il potere (in prevalenza maschile) deve sottomettere i suoi simili? E quali sono le ragioni che spingono, ai giorni nostri, questo potere ad accanirsi contro il genere femminile o i minori?
Domande complicate che chiamano, probabilmente, in causa più motivazioni e argomenti, forse, si dovrebbe partire dal “piacere” insito nel comando su altri simili come valore assoluto, il sentirsi “perfezione” e “intoccabilità”, che, sicuramente, comporta e scivola nel “gusto” del privare gli altri del libero arbitrio ed evitare di incorrere nel “dispiacere” di avere un contradditorio che potrebbe frenare l’appagamento del potere stesso simile a quello descritto per le divinità e per le quali si sono fatte fare guerre e morti.
Un “bisogno” malsano di esercitare il potere di alcuni su altri, invece di come ci si dovrebbe avvicinare al mondo che porti alla civilizzazione del genere umano. Un “bisogno” di potere che ha privato, costoro, del gusto di una condivisione attraverso lo scambio paritetico. Una via a senso unico dove il carnefice si veste contemporaneamente da lupo e da agnello per confondere il o la malcapitata preda vittima di circostanziati miraggi.
Così, si potrebbe descrivere il mondo costruito ad arte, e su misura, di alcune persone che hanno frequentato il defunto Jeffrey Epsteins e che ora temono, che l’emancipazione culturale del mondo contemporaneo, li individui e li consideri per quello che sono in realtà con tutto il loro disprezzo: patologici perversi da sottoporre non solo alla privazione della libertà con la carcerazione ma, anche, a base di massiccie cure che non escludano la rieducazione secondo i paradigmi della democrazia.
Sì perchè l’aver creato un “mondo esclusivo e parallelo” che si basa sul fanatismo seriale di esseri che si sentono legittimati a fare o esercitare pratiche che sono risalenti persino al medioevo, tanto da avere una lista interminabile di vittime, lascia intendere che il decadentismo culturale si insidia in molti individui i quali si compiacciono di aver raggiunto, oggettivamente, una posizione sociale privilegiata ma che, in verità, lascia culturalmente molto a desiderare sul loro grado di vera emancipazione.
Un decadentismo insito in una classe sociale di un “rango” artificiosamente posseduto, che si è fatta strada nei diversi secoli con truffe e inganni a scapito di altri e che parte, però, da una stridente contraddizione dell’ovvietà in quanto uomini che si sentono Dei e, sicuramente, non viceversa.
Lo stile di vita di una “casta” fatta di perniciosi individui tra i più disparati che vestono pure abiti griffati, bevono champagne, mangiano caviale ma che, nell’animo, hanno (e lì solo) la rappresentazione del dio della morte greco: Tanato.
Un mito, quello di Tanato, sicuramente, non da imitare perché con carattere arrogante e impulsivo, amante del sangue e della violenza la cui potenza è inevitabile e inflessibile per gli esseri normodotati di senso della vita e di sana fede democratica.