Molti centri commerciali e punti vendita della grande distribuzione organizzata terranno alzate le serrande, come hanno già fatto a Natale e a Santo Stefano, anche a Capodanno e l’Epifania. Una prova di forza che si ripropone ogni volta in modo sempre più cruento. Questa volta le grandi aziende non hanno nemmeno inteso rispondere all’appello di tanti enti locali a tenere chiusi i propri punti vendita almeno nelle giornate di Natale, Santo Stefano e Capodanno.
Contro questa decisione molte sono le iniziative di protesta, soprattutto a livello locale, a partire dallo sciopero proclamato dalle segreterie regionali della Toscana di Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs. Acque agitate anche in Emilia Romagna dove, in una nota congiunta, Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl e Uiltucs-Uil “invitano ad astenersi dal lavoro festivo l’1 e il 6 gennaio i lavoratori del commercio e gli addetti di tutte le attivita’ svolte all’interno dei centri commerciali”.
Situazione particolare a Venezia, dove tutti i grandi marchi hanno deciso di tenere chiuso, con l’eccezione di Carrefour che a sorpresa ha informato la clientela di voler rispettare solo la chiusura per Natale, garantendo la spesa di Santo Stefano e Capodanno. Un caso davvero singolare, se si considera che il Centro Commerciale Valecenter, che ospita Carrefour, in quelle due giornate rimarrà chiuso.
Allo sciopero della Toscana, è certo, si affiancheranno iniziative di mobilitazione e protesta di molti altri territori, con picchetti e presidi all’esterno di molti centri commerciali “per chiedere il riconoscimento del valore delle festività, per la tradizione del nostro paese, per il rispetto delle lavoratrici e dei lavoratori – spiegano alla Filcams-Cgil – ma anche perché è ormai tempo di ammettere che il sempre aperto è una “tendenza” imposta , che non ha rappresentato una vera strategia per rilanciare consumi e occupazione, capace di arginare la crisi della grande distribuzione, chiusure di negozi, licenziamenti e attacco a salario e diritti”.
Ad inasprire i rapporti tra sindacati e aziende c’è inoltre la decisone di ricorrere a personale pagato con voucher per garantire la spesa festiva. Insomma, dopo due contratti nazionali firmati e una serie interminabile di accordi territoriali e aziendali, sembra proprio che la situazione stia andando fuori controllo. Usb, che da sempre rifiuta di discutere di lavoro festivo, rincara la dose delle critiche. “L’appello, ai lavoratori, di Cgil e degli altri sindacati confederali – tuona Francesco Iacovone – è privo di senso. Non si può firmare da una parte un contratto nazoinale che contempla la disponibilità delle domeniche lavorative e poi lanciare appelli. Non lo sanno i sindacati che per rifiutarsi il lavoratore deve poi affrontare un lungo ed estenuante ricorso in completa solitudine?”.
“Come Filcams – afferma la segretaria generale nazionale Maria Grazia Gabrielli – continuiamo a sostenere la nostra contrarietà alle liberalizzazioni degli orari commerciali, e da molto tempo promuoviamo un’idea di programmazione che possa soddisfare le diverse esigenze, in una dimensione più umana e meno frenetica, rispettando le necessità delle aziende, dei consumatori, senza però danneggiare le tutele e i diritti dei lavoratori”.
In quest’ottica, l’invito al Governo è di arrivare quanto prima a sostituire il decreto “Salva Italia” del Governo Monti sulle Liberalizzazioni con una nuova regolamentazione per il settore commerciale.
C’è da dire che la totale liberalizzazione delle aperture domenicali e festive nel commercio introdotte dal Governo Monti non ha prodotto, come ipotizzato, risultati positivi né in termini di occupazione né di consumi, ma ha contribuito “a complicare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro degli addetti del settore”, aggiunge Gabrielli. “Eliminare gli ostacoli all’esercizio delle attività economiche e il principio di libera concorrenza tra gli operatori erano i principi ispiratori del Decreto, ma non sono stati realizzati”, continua. Il flop, insomma, non viene certificato. E le aziende continuano a premere sull’acceleratore dell’attacco ai diritti.
Intanto, il disegno di legge sulla limitazione delle aperture festive, approvato alla Camera a settembre del 2015, giace abbandonato in Senato. La proposta (parziale e – per la Filcams – insufficiente) prevede la possibilità di aprire le attività commerciali per un massimo di sei festività l’anno, nessun limite per le aperture domenicali, così come per le aperture 24 ore su 24. Restano così in vigore le liberalizzazioni decretate dal governo Monti.
La disponibilita’ al lavoro festivo e’ una scelta libera e autonoma dei lavoratori, e recenti sentenze confermano che il datore di lavoro non puo’ imporre al dipendente di lavorare in una giornata festiva, definendo illegittima l’eventuale sanzione disciplinare a punizione del rifiuto al lavoro festivo, se non vi sia stato preventivamente un assenso di quest’ultimo. I sindacati si scagliano contro “la liberalizzazione degli orari introdotta nel 2011 con il decreto ‘Salva Italia’, che ha eliminato ogni regola in materia di orari commerciali, nel totale disinteresse degli effetti negativi prodotti su milioni di persone”, aggiungendo che “le nuove regole, ancora ferme in Parlamento, se da una parte potranno permettere agli Enti locali e alle parti sociali di ridiscutere gli orari di apertura, dall’altra, non ponendo vincoli, se non la chiusura in sole sei festivita’, sostanzialmente non risolveranno il problema”.
Il lavoro festivo può essere rifiutato dal lavoratore – dice l’avvocato Bartolo Mancuso -. La Corte di Cassazione con la sentenza n. 16592 del 7 agosto 2015 ha affermato la legittimità della condotta di un lavoratore che si è rifiutato di lavorare il 6 gennaio. Non è lo stesso per il lavoro domenicale, laddove sia previsto un riposo compensativo”.
Uno dei posti di lavoro in cui il lavoro festivo è una regola ferrea è sicuramente Carrefour. “Sono certo che in questi giorni di festa – scrive sul suo blog Iacovone – troveremo pochi lavoratori tutti diversi: voucheristi, soci di cooperative di facchinaggio, interinali, ‘diretti’ Carrefour e guardie giurate. Questo è quello che ci attende ai piedi dell’altare dello shopping. Sono altrettanto certo che in Francia la multinazionale se lo sogna di rimanere aperta in quei giorni. Perché non ce lo chiede l’Europa, ma il Belpaese è divenuto terra di conquista e di sfruttamento delle multinazionali straniere, in tutti i campi”.
31/12/2016