Ricostruita la rete anarchica che pianificò gli scontri durante l’inaugurazione con Renzi
di Davide Milosa
Viaggi e appuntamenti fitti. In giro per l’Europa. Aerei presi di fretta. Direzione: Germania, Francia, Spagna, Grecia. Contatti da tessere, accordi da prendere, azioni da organizzare. La pianificazione della guerriglia urbana che il primo maggio del 2015 ha devastato Milano inizia così. Quel giorno si inaugurava l’Expo. L’allora premier Matteo Renzi fece gli onori di casa. In serata il potere si accomodò alla Scala per celebrare l’esordio. A quell’ora le immagini della città frantumata dalla rabbia di oltre 500 black bloc avevano già fatto il giro del mondo. Milano tornava faticosamente a respirare, dopo ore di scontri, di molotov accese e lanciate anche contro i poliziotti, di lacrimogeni sparati, di banche devastate, di auto incendiate, di cirri neri di fumo acre, come mai si erano visti in Italia dopo il G8 di Genova. A differenza del 2001, però, il primo maggio non ha messo in lista feriti. Pochi i contusi, grazie all’attenta e sapiente azione di contenimento coordinata dalle forze dell’ordine. Moltissimi, invece, i danni, contabilizzati dal Comune in oltre 3 milioni di euro. Chiusa la giornata, in pochi potevano pensare che quelle azioni non fossero state organizzate attentamente. Ora, il Fatto è in grado di svelare come fu preparata la guerriglia. Quale gruppo ne tracciò le linee guida, quali i ruoli ricoperti, prima, durante e dopo, quando il blocco dei neri si dileguò verso la zona di S. Siro lasciandosi dietro maschere antigas, mazze e indumenti. Il secondo livello, dunque. Quello ricostruito nell’indagine bis della Digos di Milano. Il primo filone, infatti, ha riguardato chi è stato filmato a lanciare oggetti. Un lavoro di ricostruzione non facile e che non ha prodotto risultati giudiziari eclatanti. Tre le condanne in primo grado e un’assoluzione. Delle tre solo per una ha retto l’accusa iniziale di devastazione, mentre per gli altri il tutto è stato derubricato a semplice resistenza a pubblico ufficiale. Per cinque greci, coinvolti nel blitz del novembre 2015, non è stata concessa l’estradizione.
Viaggi in aereo e contatti con gli anarchici europei
La seconda inchiesta, pur formalmente ancora aperta, ha già chiuso il cerchio attorno a 22 persone (allo stato solo denunciate). Sul tavolo del dipartimento antiterrorismo di Milano l’annotazione finale della Digos è arrivata quasi un anno fa. Un atto che ancora non è giunto al vaglio di un giudice. L’accusa è quella di devastazione e saccheggio in concorso. Difficile pensare a un’ipotesi di associazione e questo, nonostante l’attento lavoro degli investigatori abbia fotografato un gruppo preciso, con ruoli altrettanto chiari sia sul fronte direttivo sia su quello logistico. I 22, dunque. Di questi, 18 sono milanesi e hanno un curriculum conosciuto. La provenienza è quella, generalissima, dell’area anarchica. Più specifica la localizzazione nella mappa cittadina, che si allunga verso la zona del Giambellino. Uno dei leader di questo gruppo è stato individuato in Valerio Ferrandi, figlio di Mario Ferrandi, l’ex di Prima Linea (poi pentito e oggi riabilitato) che il 14 maggio 1977 uccise in via De Amicis il brigadiere Antonio Custra. Ferrandi, che la mattina del primo maggio fu controllato da una volante e poi lasciato andare, nelle settimane successive agli scontri ha lasciato l’Italia rifugiandosi a Panama, passando le giornate tra mare e aragoste, come testimoniano le foto sul suo profilo Facebook. Il suo gruppo, secondo la ricostruzione degli investigatori, ha iniziato a pianificare la guerriglia già nel mese di marzo. In questo periodo vengono registrati diversi viaggi in aereo per mezza Europa. Obiettivo: sondare il terreno con i vari gruppi stranieri e ottenuto l’ok iniziare la pianificazione.
Occupazioni e referenti singoli per gli stranieri
Proprio per questo motivo, la banda di Ferrandi nel mese di febbraio del 2015 ha occupato l’hotel abbandonato in via Ruggiero Settimo nella zona di via Washington con lo scopo preciso di accogliere parte degli stranieri. Lo stesso è stato fatto in via De Predis dove ha sede Radiocane. Qui alcuni appartamenti furono sgomberati già il 30 aprile. E poi c’è la logistica. Ogni gruppo straniero è stato gestito da un referente dei milanesi sia prima sia durante la guerriglia. C’è di più: saranno sempre gli anarchici milanesi, nella tarda mattinata del primo maggio, a radunare la parte più consistente del blocco nero in via Gola, suk anarchico a due passi dal Naviglio pavese. La visione dei filmati, poi, ha restituito un quadro organizzativo evidente. Le prime devastazioni iniziano in via De Amicis verso via Carducci. Qui, oltre alle mazze, i milanesi oggi denunciati distribuiscono cartine con tracciate, oltre al percorso, possibili vie di fuga.
Segnali in codice e le mappe con le vie di fuga
In Largo d’Ancona, pochi minuti prima della devastazione ecco ancora i milanesi fare segnali con le dita: due, tre, quattro come nel football americano. Sono le indicazioni del come e dove muoversi. In via Leopardi gli stranieri bruciano un’auto, con loro un gruppetto di milanesi che subito dopo li riporta nel blocco. Prima e dopo la devastazione nessuno parla. Le telefonate messe agli atti non producono risultati, il gruppo non parla nemmeno in chat. Tutto avviene per compartimenti stagni. Le riunioni sono volanti e in luoghi aperti della città. Impossibile intercettarle. E nonostante questo, per la Digos il quadro è chiaro: la guerriglia fu attentamente pianificata. Ora la palla passa ai pm che in questi giorni stanno valutando l’intero materiale per dare una direzione giudiziaria al materiale investigativo.
12 gennaio 2017