di Gianni Barbacetto
L’assessore piemontese Roberto Rosso, di Fratelli d’Italia, è finito ieri in manette con l’accusa di aver pagato 15 mila euro per un pacchetto di voti alle elezioni regionali 2019 in Piemonte. Nell’aprile 2015 era stato arrestato Santi Zappalà, all’epoca sindaco Pdl di Bagnara Calabra, accusato di aver comprato dalla cosca Pelle Gambazza di San Luca (Reggio Calabria) una dote di voti pagati 400 mila euro. A Milano, i voti costano di più: Domenico Zambetti, allora assessore alla casa nella giunta regionale di Roberto Formigoni, nel 2010 secondo i pm aveva pagato, agli amici calabresi insediati nell’hinterland milanese, 50 euro a voto, per portare a casa un pacchetto di 4 mila preferenze.
Il voto di scambio esiste. Nella forma più raffinata, quella in cui il politico chiede un bel gruzzolo di preferenze, promettendo in cambio a chi glielo procura di concedere, una volta eletto, favori, concessioni, appalti. Ma resiste anche la forma grezza, primitiva, del pagamento cash, un tot di euro a voto. Per avere una legge che sanziona in modo severo questo commercio, che è la negazione della democrazia, abbiamo dovuto aspettare decenni. E quando la norma è stata discussa in Parlamento, l’opposizione trasversale alla sua approvazione era forte e il dibattito surreale e pirotecnico.
Alla Camera, la primavera scorsa, la legge era passata con i sì del Movimento 5 stelle, che l’aveva proposta, della Lega, allora al governo con i Cinquestelle, e di Fratelli d’Italia. Contrari Forza Italia e Pd. Astenuta Leu. Poi l’approvazione definitiva era arrivata al Senato, con i voti anche di Leu.
Il cuore della nuova legge è l’inasprimento delle pene per il voto di scambio, che possono arrivare fino a 15 anni di carcere, anzi, fino a 22 anni e mezzo, con le aggravanti speciali (per chi viene eletto).
Mentre i Cinquestelle si proclamavano “orgogliosi per una legge che tutela la democrazia e il diritto di voto dei cittadini”, il Pd, allora all’opposizione, votava contro e protestava: “Con questa legge si fa confusione”. Forza Italia faceva praticamente ostruzionismo, sostenendo che “questa è una fiction dell’orrore con la subdola regia del M5s. Nella prima puntata della fiction, protagonista è stato il decreto anticorruzione”, proclamava Matilde Siracusano.
“Adesso arriva la seconda puntata, il voto di scambio politico-mafioso, che espone a rischio di condanna fino a 10-15 anni di carcere i consiglieri comunali, regionali e soprattutto i giovani che si affacciano alle prime campagne elettorali, inconsapevoli di aver accettato la sola promessa di voto da persone di cui ignoravano l’identità”. Poverini. Ignari. Giovani. La “sola promessa”, senza neanche un contratto firmato e bollato.
Il dibattito parlamentare e i commenti ai giornali tradivano una fifa blu: “Si rischia di trasferire il Parlamento dentro a una galera”. Detto così, senza vergogna. Contro una norma che impone pene più alte modificando l’articolo 416 ter del codice penale e prevedendo che chiunque accetti, direttamente o con intermediari, la promessa di voti da persone di cui sa che appartengono ad associazioni mafiose, in cambio di denaro o della promessa di denaro oppure di un altro favore, o in cambio della disponibilità a soddisfare interessi dell’associazione mafiosa, è punito con la stessa pena stabilita per l’associazione a delinquere di stampo mafioso. Chi accetta voti mafiosi e promette benefici si collega infatti saldamente con l’organizzazione criminale.
Che vergogna, che crudeltà, che giustizialismo, trattare come associati alle cosche dei poveri politici e amministratori ignari, ingenui, forse distratti, magari giovani e inesperti, “alle prime campagne elettorali”. Che barbarie, stabilire una connessione diretta con la mafia per chi compra voti dalla mafia promettendo poi di restituire il favore. Che barbarie, elevare le pene da sei-dodici anni a dieci-quindici anni. Aggiungendo poi per tutti i condannati l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Queste norme arrivano in ritardo e dovrebbero essere salutate facendo saltare a decine i tappi di champagne, anzi di spumante italiano, da parte dei politici che i voti non li comprano e dunque da queste norme sono protetti dalla concorrenza sleale dei colleghi che hanno l’amico mafioso. Invece sono viste con sospetto e paura: rischiano di funzionare; di mandare davvero in galera chi trucca la democrazia vendendosi alle cosche.
Se poi alla legge sul voto di scambio aggiungiamo anche la “spazzacorrotti”, signora mia, dove andremo a finire? E se, non contenti, blocchiamo pure la prescrizione, via d’uscita classica che non stanca mai e si porta con tutto, la carriera politica di tanti è davvero in pericolo. Insopportabile. Inaccettabile. “Si rischia di trasferire il Parlamento in galera”. Ma smettere invece di incassare tangenti e comprare voti mafiosi?
Il Fatto quotidiano, 21 dicembre 2019