Modificare la legge Severino per cercare di bloccare le candidature elettorali degli impresentabili. Indagare sulla stagione delle stragi per trovare la verità che ancora manca sugli autori non mafiosi. Rosy Bindi conclude i quattro anni “di lavoro intenso e appassionato” della commissione parlamentare Antimafia, di cui è stata la presidente, lasciando almeno due compiti a chi verrà dopo di lei.

Lo fa presentando la relazione finale, di oltre 700 pagine, che fotografa la “nuova mafia”, quella che si è organizzata dopo la sconfitta della mafia stragista di Totò Riina. È una mafia che spara di meno, ma che comanda di più e fa più affari, perché “dialoga con tutte le classi dirigenti del Paese”. Eppure, denuncia Bindi, “l’antimafia è completamente assente dalla campagna elettorale”. Le fa eco il ministro dell’Interno Marco Minniti: “C’è il pericolo concreto che le mafie possano condizionare il voto, la cosa più grave per una democrazia. Le mafie sono in grado di infiltrare e condizionare le istituzioni e la politica: ma vedo troppo silenzio su questo”.

Le 700 pagine della relazione testimoniano il lavoro fatto, ma lasciano anche in eredità il lavoro ancora da fare. “Il numero crescente di Comuni sciolti per mafia, i procedimenti a carico di amministratori ed esponenti della politica locale, il trasformismo politico e il clientelismo su cui fa leva il voto di scambio”, si legge nella relazione, dimostrano “un decadimento allarmante che rende necessario integrare e correggere la legge Severino”: rendere pubbliche le autocertificazioni dei candidati; dare più tempo per i controlli (da 48 ore ad almeno 5 giorni); acquisizione dei certificati penali da parte delle prefetture; obbligo per i candidati di autocertificare tutte le condanne e tutti i processi in corso. “Oggi sono i politici che vanno a cercare i voti dei mafiosi, e non viceversa”, dice Rosy Bindi. Dunque “la politica deve riconquistare il consenso ‘buono’ dei cittadini, altrimenti saranno le mafie a conquistare il consenso ‘cattivo’”.

Quanto alle stragi, spiega la presidente, “non siamo riusciti a fare un lavoro d’inchiesta, anche perché non abbiamo voluto interferire sui processi in corso, quello di Palermo sulla trattativa Stato-mafia e quello di Caltanissetta, il Borsellino-quater”. Lo “dovrà fare la prossima commissione: nelle sedi giudiziarie saranno cercate le responsabilità penali, ma in sede politica dovremo trovare le responsabilità politiche, visto che ci sono stati depistaggi e che nelle stragi sono intervenuti anche altri poteri, non solo la mafia”. E “senza la verità sulle stragi e sui delitti politico-mafiosi del 1992-1993 la Costituzione rimane inattuata”: “rimane il dubbio che una lunga scia di sangue unisca politicamente via Fani a via D’Amelio, passando per la Sicilia e lungo la penisola”.

Bindi rivendica i risultati già ottenuti dalla Commissione, come l’approvazione del nuovo codice antimafia. Non risparmia una critica alla “magistratura giudicante che si è dimostrata incapace di leggere la nuova mafia”: l’accenno è a Mafia Capitale, indagata dalla Procura di Roma ma non riconosciuta dai giudici di primo grado. Ricorda, del lavoro fatto in questi anni, l’inchiesta sui rapporti tra mafia e massoneria e l’analisi delle infiltrazioni mafiose nelle candidature elettorali. “Non abbiamo fatto un’inchiesta sulla massoneria”, ha ribadito Rosy Bindi, “ma sui rapporti della mafia con la massoneria, che con la sua segretezza garantisce un luogo d’incontro con le classi dirigenti del Paese. Il 15, 20 per cento degli elenchi delle logge non è identificabile e ci sono affiliati che sono indagati o condannati per mafia. Andrebbe cambiata anche la legge Spadolini sulle associazioni segrete: tra mafia e massoneria è un incontro tra società segrete, e la democrazia invece è trasparenza”.

 

Il Fatto quotidiano, 22 febbraio 2018