Verità nascoste Le sentenze definitive parlano di una strage tutta mafiosa. In realtà sono ancora tanti i segreti sulla morte di Falcone.
GIUSEPPE LO BIANCO
Palermo
L’ultima rivelazione è del pentito Gioacchino La Barbera, durante un colloquio investigativo di quattro anni fa con il sostituto della Dna Gianfranco Donadio. La Barbera rivelò che nelle riunioni preparatorie della strage c’era un “uomo sconosciuto”, che “parlava a bassa voce”. A 25 anni dal “botto” di Capaci la doppia istantanea con Riina a casa in attesa di brindare e Giovanni Brusca sulla collinetta con il telecomando in mano consegna all’opinione pubblica una strage con il bollo della “purezza mafiosa”, senza misteri e senza segreti. Ma il primo a sollevare dubbi fu Pietro Grasso, oggi presidente del Senato, allora Procuratore nazionale antimafia, sottolineando la “stranezza” del comando inviato a Roma per uccidere Falcone e improvvisamente richiamato in Sicilia agli inizi di marzo: “A rigor di logica, era molto più semplice continuare a pedinare Falcone a Roma – disse Grasso – ma Riina non è né ingenuo né pazzo, né lo sono i boss mafiosi che insieme a lui presero quella decisione. Si può ipotizzare che qualcuno abbia dato loro assicurazioni. Del tipo: “L’omicidio fatelo, ma fatelo a Palermo. Non preoccupatevi della risposta dello Stato, non ci saranno conseguenze eccessive”.
Il biglietto del Sisde sul luogo dell’attentato
Numerose tracce sparse nelle sentenze definitive di condanna per 37 esecutori e mandanti, di cui 24 all’ergastolo, tutti mafiosi, grazie alla collaborazione iniziale di due dei componenti del commando, Santino Di Matteo e Gioacchino La Barbera, lasciano aperti a distanza di 25 anni numerosi interrogativi. Tre giorni dopo la strage tra l’asfalto dilaniato, gli agenti della Scientifica trovarono un foglietti di carta a quadretti, sul lato destro superiore era scritto: “Guasto n. 2 portare assistenza”. Nella parte centrale: “0337-806133 G.U.S., via in Selci, 26 Roma” e sotto “Via Pacinotti 13°”. L’indirizzo (via Inselci) era quello del Sisde di Roma; il numero di telefono era intestato al Gus, una società di copertura del Sisde, in uso a Lorenzo Narracci, allora numero due del servizio a Palermo e braccio destro di Bruno Contrada. Analizzata nell’inchiesta “sistemi criminali”, la pista investigativa conteneva più di uno spunto interessante: fino al 1993 il Gus, come la Gattel, entrambe società di copertura del Sisde erano amministrate da Maurizio Broccoletti, coinvolto nello scandalo dei fondi neri del servizio segreto civile ma anche, secondo le dichiarazioni del collaboratore Pasquale Nucera, nel piano eversivo messo a punto da varie componenti criminali nel 1991.
Il telecomando portato dall’artificiere nero
A consegnare a Giovanni Brusca il telecomando della strage fu Pietro Rampulla, l’artificiere della strage, uomo d’onore di Barcellona Pozzo di Gotto, che arrivò a San Giuseppe Jato a bordo di un camion che trasportava una cavalla donata a Brusca da Giuseppe Gullotti, capomafia di Barcellona. Testimone di nozze di quest’ultimo fu Rosario Cattafi, anch’egli avvocato, detto “Sariddu” dei servizi segreti, uomo ponte tra Cosa Nostra, massoneria e apparati deviati, oggi condannato a 12 anni per associazione mafiosa. I tre, Cattafi, Gullotti e Rampulla, tutti esponenti di estrema destra negli anni giovanili erano il “terrore” degli studenti di Messina, presi a sventagliate di mitra da Cattafi durante un assalto alla Casa dello studente negli anni 70, in cui Ordine nuovo e Avanguardia nazionale, a cavallo dello Stretto, si muovevano all’interno della strategia della tensione tra le organizzazioni studentesche infiltrate da personaggi vicini alla ‘ndrangheta e alla mafia. È un filone d’indagine esplorato sempre nell’inchiesta “sistemi criminali” e tuttora aperto.
Il mistero dell’aeroplano che volava sull’autostrada
Il primo a parlare di un aereo che volteggiava sopra Capaci nei momenti della strage fu Riina, lo fece in aula a Firenze, nel 2003, autodefinendosi “parafulmine” di tutte le stragi, per poi smentirsi, undici anni dopo, nel cortile del carcere di Opera, a Milano, durante i suoi colloqui video-registrati con il co-detenuto Alberto Lorusso: “Sono tante le fesserie dette sulla strage di Capaci, hanno anche parlato di un aereo che ha bombardato la zona”. Eppure a Capaci un areo c’era, e lo vide Antonio Troiano, un militare seduto davanti a casa sua a Carini: “Era di colore grigio chiaro, uniforme, aveva un’elica centrale, l’ho visto sorvolare la zona per più di un’ora a bassa quota, spostato verso Capaci – disse in aula il 22 novembre 1995 a Caltanissetta – si è allontanato subito dopo l’esplosione verso il mare. Io ho fatto un rapporto al mio comando”. Di quest’aereo, però, nei radar non venne trovata alcuna traccia.
A ipotizzare una carica supplementare fu il pm Luca Tescaroli, sulla base del ritrovamento di tracce di nitroglicerina incompatibili con il racconto dei collaboratori, che parlarono solo di due tipi di esplosivo: l’Anfo, proveniente dalle cave del boss Giuseppe Agrigento e, in tempi più recenti, il tritolo recuperato da Spatuzza dalle barche di pescatori a Santa Flavia, che a loro volta lo avevano trovato in mare, nella bombe della seconda guerra mondiale sepolte nei fondali.
Il secondo commando e la nitroglicerina
Tescaroli parlò di “un operatore distratto” e ipotizzò un “rafforzamento” di esplosivo per rendere l’esplosione più devastante: è questa, infatti, la funzione e l’effetto della nitroglicerina. L’intuizione di Tescaroli venne ripresa anni dopo dal suo collega Gianfranco Donadio della Dna che ipotizzò anche due “cantieri di lavoro”. Alcuni testimoni, infatti, e tra questi anche Francesco Naselli Flores, cognato del generale Dalla Chiesa, notarono la mattina del 22 maggio uomini in tuta bianca sull’autostrada, all’altezza di Capaci, che deviavano il traffico con birilli divisori, accanto a un furgone Ducato bianco. Nessuna delle aziende autorizzate alla manutenzione stradale disse di avere lavori in corso su quel tratto di autostrada né, a rigor di logica, i mafiosi avevano più alcun interesse a stazionare in quel posto.
16 maggio 2017