di Thierno Mbengue
Era il 17 gennaio 1961 quando Patrice Lumumba, leader politico della Repubblica Democratica del Congo, fu fucilato. Il suo corpo venne smembrato e sciolto nell’acido per intero ad esclusione di un dente. Gli esecutori materiali furono il colonnello dei servizi segreti Marlière, il militare belga Siete e l’agente dell’intelligence Devlin. Ma dietro la sua morte si celano ancora dubbi e misteri, l’unica certezza è che fu un omicidio voluto dal governo del Belgio che ne ha le piene responsabilità. Nonostante ciò non è da escludere una responsabilità della CIA e, quindi degli Stati Uniti d’America, i quali, come è noto, si sono più volte macchiati di sangue in assassinii di leader del continente nero, come avvenne con Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso. A pagare il duro prezzo della morte di Lumumba, fautore della creazione di uno Stato unito e indipendente, fu l’intero Congo, da sempre colonia del Belgio, terra tutt’oggi impregnata del sangue dei suoi abitanti sfruttati in nome di un progresso, che è in realtà la prima causa delle morti precoci di bambini che lavorano nelle miniere del Coltan.
A 61 anni dalla sua morte, Lumumba ha lasciato dietro di sé uno spirito rivoluzionario che oggi ispira ancora i giovani che, come lui, sognano un mondo libero dalle ingiustizie sociali, dove tutti possano vivere in pace e con una dignità.
La giovinezza e l’inizio della sua lotta
Patrice Lumumba nacque in Congo nella provincia del Kasai nel 1925. Figlio di contadini, dopo gli studi compiuti presso una scuola cattolica di missionari, lavorò come impiegato in una società mineraria nella provincia di Kivu fino al 1945, poi come giornalista a Léopoldville, l’odierna capitale congolese, Kinshasa. Successivamente trovò un impiego nelle poste di Stanleyville, oggi Kisangani, ma continuò a scrivere per vari giornali.
Nel settembre del 1954 ricevette lo statuto di “immatriculé”, che significa “registrato”. Al tempo era un riconoscimento ufficiale da parte dell’amministrazione coloniale belga dell’indigeno come un “evolué”. Ai tempi del dominio belga sull’odierna Repubblica Democratica del Congo, con l’etichetta in lingua francese “evolué”, ovvero “evoluto”, si indicava un nativo africano, o asiatico, che si era appunto evoluto, o sviluppato. Un indigeno “sviluppato” era un indigeno “europeizzato”, un indigeno che attraverso l’istruzione o l’assimilazione aveva accettato i valori e i modelli di vita europei. L’indigeno “evolué” parlava francese, seguiva le leggi europee e svolgeva mansioni da “colletto bianco”, e inoltre viveva nelle aree urbane delle colonie. Il termine veniva anche usato per indicare la crescente classe media autoctona in quello che era il Congo Belga. Gli amministratori coloniali belga definivano un “evolué” come “un uomo che aveva rotto i legami sociali con il suo gruppo, essendo entrato in un differente sistema di valori”.
Ci si può rendere conto, solamente analizzando un po’ i criteri secondo i quali un africano, in Africa (a casa sua quindi, importante tenerlo bene a mente), di quanto poteva essere dura essere una colonia europea. Il sistema coloniale mirava ad estinguere, a distruggere la cultura di un popolo millenario come quello africano. Un popolo con una storia antichissima.
Lumumba nella politica “afro-belga” dell’epoca
Nel 1955 fondò l’associazione “APIC” (Associazione del Personale Indigeno della Colonia). Patrice voleva che il Congo si evolvesse. Il suo grande desiderio, e dell’allora ministro del Congo Auguste Buisseret, era quello di instituire una scuola pubblica. Lumumba aderì quindi al movimento liberale, insieme ad altri notabili congolesi, e con molti di loro fece anche un viaggio in Belgio, su invito del Primo Ministro.
Una volta tornato in Congo riprese servizio all’ufficio postale di Stanleyville, ma si presentarono alcune difficoltà. Ebbe problemi a riscuotere il suo stipendio e venne condannato ad un anno di reclusione per appropriazione indebita. Riprese le sue attività politiche una volta liberato (in anticipo).
Nel 1958 alcuni congolesi, tra cui Lumumba, furono invitati in Belgio in occasione dell’Esposizione Universale. Patrice Lumumba accettò l’invito, e una volta rientrato in Congo, nello stesso anno, fondò il Movimento Nazionale Congolese (MCN).
Patrice era contrario alle divisioni tribali ed è stato il fautore della creazione di uno Stato indipendente e unito. Questo nuovo movimento rappresentava l’unica forza del paese aperta alla partecipazione di tutte le etnie. Patrice voleva l’indipendenza del Congo, che era ancora una colonia belga, al tempo sotto il dominio di Baldovino del Belgio.
Con la conferenza panafricana di Accra del 1958, dove conquistò la stima di Kwame Nkumah, ai tempi Presidente del Ghana, diventò uno degli esponenti più in vista della scena politica africana. Abile e stimato oratore, fece del suo movimento il fulcro del nazionalismo congolese. In quell’occasione Lumumba rivendicò l’indipendenza di fronte a più di diecimila persone.
Nell’ottobre del 1959 ebbero inizio le prime contese politiche. Il MNC insieme ad altri partiti sostenitori dell’indipendenza del paese organizzarono una riunione a Stanleyville. Lumumba godeva di un grande sostegno da parte del popolo, e le autorità belghe cercarono di isolarlo, toccando il culmine con una sommossa che causò circa una trentina di morti, e l’arresto di Patrice Lumumba, che venne condannato a 6 mesi di detenzione, il 21 gennaio 1960. Le autorità belghe comunque organizzarono varie riunioni con i movimenti indipendentisti del paese, che videro partecipare anche lo stesso Lumumba, che venne liberato il 26 gennaio (solo dopo 5 giorni di detenzione).
Il 30 giugno il Congo ottenne l’indipendenza, e Lumumba divenne Primo Ministro, per la prima volta con un’effettiva elezione democratica.
La crisi e l’uccisione di Patrice Lumumba
Poco dopo la dichiarazione di indipendenza però ci furono alcune ribellioni all’interno del Paese, causate anche dalle forze armate e, approfittando della confusione, Moise Tshombe, aiutato da truppe belghe, dichiarò la secessione della regione del Katanga, molto ricca di materie prime. Il Governo appena formato non era in grado di gestire la situazione e quindi Lumumba chiese aiuto all’ONU poiché inviasse i caschi blu. L’aiuto delle Nazioni Unite non fu però effettivo e così Lumumba si rivolse all’Unione Sovietica (comunista), fatto che ovviamente non fu visto di buon occhio da parte delle potenze occidentali e di organizzazioni come la CIA. Tutto questo causò inoltre una frattura all’interno del Governo congolese. Destituito nel settembre del 1960 dal Presidente Joseph Kasavubu, leader della potente etnia bakongo, venne poi messo agli arresti domiciliari dai quali riuscì tuttavia a fuggire. Poco dopo il colonnello Mobutu prenderà il potere con un colpo di Stato. Furono proprio i soldati di Mobutu a rapire Lumumba assieme ai suoi compagni Joseph Okito e Maurice Mpolo.
Essi vennero trasportati ad Elizabethville e fucilati il 17 gennaio 1961. Dopo l’uccisione i corpi furono smembrati e sciolti nell’acido dal colonnello dei servizi segreti Marlière, dal militare belga Soete e dall’agente dell’intelligence Devlin. Quest’ultimo dichiarò che all’inizio avevano pensato di uccidere Lumumba dandolo in pasto ai coccodrilli o somministrandogli un dentifricio avvelenato.
In questo omicidio era coinvolta molto probabilmente anche la CIA. Infatti, oggi sappiamo che con molte probabilità la CIA aiutò finanziariamente gli avversari di Lumumba e fornì armi a Mobutu. Questo è quello che successe anche in Burkina Faso nel 1987, quando la CIA aiutò finanziariamente e militarmente, aiutando nell’addestramento, gli uomini incaricati di assassinare Thomas Sankara.
Il Congo, un territorio martoriato
Il Congo è, come gli atri Stati dell’Africa, una terra protagonista di eventi dolorosi e sanguinosi. Nessuno parla mai di uno dei più grandi genocidi della storia, avvenuto proprio in Congo, con l’uccisione di circa dieci milioni di persone; una cifra altissima, la più accreditata, anche se alcuni parlano anche di 15 milioni di persone uccise. Tutto questo avvenne durante l’amministrazione del Re Leopoldo II del Belgio. Il Congo fu macchiato da un genocidio molto sanguinoso, ma ancora oggi, tantissimi altri Stati Africani sono distrutti dalle guerre finanziate dai nostri paesi. Purtroppo però il mondo, soprattutto quello occidentale, sembra non voler vedere. Ogni anno nelle scuole si studia giustamente la storia della Shoah e dei campi di concentramento dove morirono sei milioni di vittime. Questo ricordo però non è accompagnato dalla consapevolezza che i campi di concentramento esistono ancora oggi e la maggior parte di questi sono a cielo aperto, alcuni grandi come interi Stati.
I genocidi, infatti, sono avvenuti in passato e ci sono attualmente in varie parti del mondo, per esempio dove i bambini sono costretti ad andare a combattere. In Congo infatti si registrano dal 2015 circa 8000 bambini arruolati, di cui il 40 per cento bambine, spesso rapiti alle proprie famiglie e costretti ad uccidere, spesso anche assumendo droghe. L’Africa soffre, soffre ormai da troppo tempo. Il continente nero ha bisogno di etica, di giustizia e di verità. Ha bisogno di tornare alla sua bellezza sublime.
18 Gennaio 2022