A Milano, intorno alle 8.30, dopo aver accompagnato a scuola il figlio Marco di otto anni, Emilio Alessandrini sostava a bordo della propria auto all’incrocio tra viale Umbria e via Muratori, quando cinque persone, due delle quali armate, gli si avvicinano, esplodendogli contro otto colpi di pistola, di cui due alla testa, che lo uccidono all’istante. Il delitto è rivendicato da Prima linea, gruppo di fuoco Romano Tognini Valerio (ovvero alla memoria di un terrorista dell’organizzazione) di cui fanno parte Marco Donat Cattin (figlio del notabile democristiano), Sergio Segio, Umberto Mazzola, Bruno Russo Palombi e Michele Viscardi.
Il giorno successivo all’assassinio, Walter Tobagi, giornalista che sarebbe stato a sua volta ucciso da terroristi, scrive sul «Corriere della Sera»: «Sarà per quella faccia mite, da primo della classe che ci lascia copiare i compiti, sarà per il rigore che dimostra nelle inchieste, Alessandrini è il prototipo del magistrato di cui tutti si possono fidare; era un personaggio simbolo, rappresentava quella fascia di giudici progressisti, ma intransigenti, né falchi chiacchieroni, né colombe arrendevoli».
L’ omicidio di Alessandrini, magistrato-simbolo dell’inchiesta sui depistaggi di piazza Fontana, suscita un moto di profonda indignazione nella cittadinanza; ai funerali, partecipano decine di migliaia di persone.
Gli autori dell’attentato, appartenenti al gruppo terroristico di estrema sinistra Prima linea, sono individuati e condannati nell’ambito di un maxi-processo celebrato a Torino a carico di oltre 100 imputati, per numerosi fatti delittuosi commessi in diverse regioni del nord Italia negli anni 1979-1980 (tra cui l’omicidio di Guido Galli).