Il neo esecutivo guidato da Giorgia Meloni partorisce il classico topolino, con la sua ‘manovrina’ da 35 miliardi di euro.
Niente di nuovo rispetto al percorso già tracciato dal precedente governo Draghi. Solo piccoli cerotti, micro mance, cifrette sparse a pioggia qua e là: senza una minima visione d’insieme, senza tener in alcun conto la eccezionale gravità della situazione economica e sociale che il Paese sta traversando.
Insomma, un drink a bordo del Titanic.
E pensare che il premier – pardòn, il primo ministro – Meloni ha avuto la faccia tosta, in Parlamento, di parlare di una grande “visione politica” che anima la manovra, e addirittura di “giustizia sociale” alla base dei provvedimenti adottati.
Ecco le sue parole: “Non ci siamo limitati ad un lavoro ragionieristico, ma abbiamo fatto delle scelte politiche. L’approccio è come quando si fa un bilancio familiare: se mancano le risorse non stai lì a preoccuparti per il consenso, ma su cosa sia giusto fare”.
“Siamo stati coraggiosi e giusti”, ha avuto proprio il ‘coraggio’ di aggiungere il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, braccio destro di Draghi nell’ultimo esecutivo.
Facendo i primi calcoli, ben 21 miliardi (sui 31 previsti dalla manovrina) serviranno per fronteggiare il caro-energia, solo nel primo trimestre 2023. E quindi? Sorge spontaneo l’interrogativo: per i restanti mesi, come ci arrangeremo?
A questo punto non restano che briciole sul tavolo, pochi spiccioli distribuiti come durante una raccolta di beneficenza: solo che manca del tutto lo spirito caritatevole, quel senso di ‘giustizia sociale’ sbandierato e invece completamente inesistente.
Prendiamo il toro per le corna e vediamo cosa succede su uno dei fronti più caldi, quello delle pensioni.
Partiamo dal ‘tecnicismo’ messo in campo, sempre a base di quote, tetti & numeri. In sostanza, il numero magico sarà ‘103’, ossia ‘quota 103’: si andrà in pensione a 62 anni con 41 anni di contributi.
Ma è sull’aumento delle pensioni minime che si sarebbe potuto e dovuto misurare il tasso di affidabilità del governo Meloni. Ecco il topolino partorito: ai percettori dei ‘minimi’ (le pensioni sociali oggi attestate a 524 euro al mese) verranno elargite due ‘mance’, nel senso letterale del termine, da 38 euro ciascuna.
I primi 38 euro erano già stati calcolati dall’Inps come normale recupero dall’inflazione. Ma ecco che nelle Grandi Menti Governative si accende una luce: un regalino di altri 38 euro, tanto per far cifra tonda. La ‘sociale’, quindi, potrà toccare miracolosamente – udite udite – il tetto dei 600 euro!
Ma in soffitta, sotto abbondanti dosi di naftalina, finisce la promessa elettorale di Silvio Berlusconi, ossia di raddoppiare la ‘sociale’, portandola a sfiorare i 1000 euro: promessa sottoscritta anche da Lega e Fratelli d’Italia. Ma chissenefrega: i pensionati possono tranquillamente aspettare, tanto con 600 euro al mese si vive da nababbi fino a cent’anni!
La scusa? La solita: mancano i soldi. Perché manca la volontà politica – pari a zero, anzi sotto zero – di concretizzare sul serio quella ‘giustizia sociale’ solo millantata in modo che più vergognosamente demagogico e populista non si può. I soldi, i fondi necessari, si potevano raccogliere eccome!
Ma non si potevano certo colpire più di tanto gli ‘extraprofitti’ dei colossi e big dell’energia (la tassazione passa solo dal 25 al 35 per cento).
Ma non si potevano certo attivare e mettere in campo – una buona volta – misure serie, reali, non farlocche, per colpire gli evasori fiscali veri: sempre, perennemente ‘intoccabili’ da parte di qualsiasi governo di qualsiasi colore. Cosa ti fanno, invece, lorsignori? Alzano da 1.000 a 5.000 euro (e volevano addirittura 10.000) il tetto per le operazioni in contanti e aumentare così il ‘nero’.
Ma non si potevano certo ‘tagliare’ le spese militari per un’Italia sempre più belligerante e sempre pronta – oggi ancor più di ieri, viste le genuflessioni di lady Meloni davanti a Usa e NATO – a inviare armi, armi, armi ad ogni richiesta del guitto-presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
E invece, cosa riesumiamo dal museo degli orrori, tanto per soddisfare il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini? Il Ponte sullo Stretto, riattivando una società morta e sepolta nel lontano 2013, la ‘Stretto di Messina spa’ creata all’epoca da Rete Ferroviaria Italiana, ANAS, Regione Sicilia e Regione Calabria, poi messa in liquidazione. Con tutti i giganteschi problemi che oggi ci stanno facendo finire nel baratro, c’era proprio bisogno del Ponte sullo Stretto?
Ecco infine, fior tra fiore, le altre mance regalate al popolo bue.
Mini riduzioni Iva su alcuni prodotti: la più consistente – e ne sentivamo tutti la vitale necessità – riguarda quella dei prodotti per l’infanzia e per l’igiene intima femminile, si passa dal 10 al 5 per cento. Lievissimo ritocco all’assegno unico per le famiglie numerose; micro agevolazioni per l’assunzione di donne under 36; breve proroga per le agevolazioni nell’acquisto della prima casa per le coppie giovani; viene poi riattivato un piccolo fondo (500 milioni di euro, altre mance) per la ‘Carta Risparmio Spesa’ che dovrà essere gestita, come in passato, dai Comuni.
E uno dei piatti forti serviti è quello che riguarda il Reddito di Cittadinanza, al centro delle polemiche fin dalla sua nascita. Eliminate 3 mensilità per il 2024, fino alla pratica abolizione nel 2024. E’ un modo, questo, di eliminare o comunque arginare, la povertà? Invece di mettere in campo controlli, e far funzionare finalmente i centri per l’impiego, sempre ‘fantasma’?
E poi: neanche una parola sui salari minimi, sulle paghe da fame, sul precariato da schiavi.
Ma la ‘giustizia sociale’ – secondo il Verbo Meloniano – è servita.
State sereni…
22 Novembre 2022