La storia paradossale dei percettori di mobilità in deroga. Prestano servizio da anni in enti locali e Prefetture ma restano di fronte a un bivio: accettare la retribuzione per il breve periodo o perdere il sussidio. Un sistema che «non genera le condizioni per nuove assunzioni, non elimina le diseguaglianze e favorisce il lavoro nero»
COSENZA Lavoro. Quello che chiedono la Calabria e i calabresi, quello intorno al quale si consumano le battaglie politiche più o meno aspre e si costruiscono le campagne elettorali. Al Sud, i lavoratori non sono solo gli occupati o i liberi professionisti. Ci sono anche gli atipici. Tra questi spiccano i percettori di mobilità in deroga. Curiosa la loro storia. Uomini e donne che si ritrovano disoccupati per cause diverse e oggi compongono il grande “bacino” di forza lavoro della pubblica amministrazione, delle aziende private, degli enti governativi (come le Prefetture) e, dulcis in fundo, anche dei sindacati. Anche nel 2018, la Regione Calabria ha approvato la “graduatoria definitiva di impegno spesa e accertamento dell’entrata pluriennale Pac Calabria 2014-2020”. Un corposo volumetto in cui sono scritti tutti gli enti pubblici e non solo che beneficeranno delle maestranze. Un totale di 8mila e 19 tirocini per un investimento di 47 milioni di euro per sei mesi di lavoro. Poi, come successo già in passato, sarà bandita una nuova manifestazione di interesse per dare la possibilità di percepire il “sussidio” anche ad altri lavoratori.
ENTI LOCALI, PREFETTURE E SINDACATI Capita spesso che gomito a gomito a sbrigare le scartoffie siano i lavoratori tirocinanti e quelli assunti con un contratto collettivo nazionale. La prima differenza sostanziale è questa: un solo tirocinante costa 5 euro e 68 centesimi all’ora mentre un lavoratore dipendente, prendiamo ad esempio il livello più basso nella pubblica amministrazione, costa 16 euro e 50. E questo innanzitutto perché con la “convenzione di tirocinio extracurriculare” si negoziano diritti. Per esempio il diritto alla salute. «Il tirocinante ha diritto ad una sospensione del tirocinio per maternità, per infortunio o per malattia di lunga durata, intendendosi per tali quelli che si protraggono per una durata pari o superiore a 30 giorni». Un malanno stagionale, dunque, non giustifica l’assenza dal lavoro. E visti i costi e le condizioni agli enti locali, considerando che tutti i costi del tirocinio sono a carico della regione, conviene fare richiesta per le “assunzioni”. Il Consorzio di bonifica dell’Alto Jonio reggino, la Provincia e il Comune di Vibo Valentia, l’Asp e il Comune di Reggio Calabria, il Comune e la Provincia di Cosenza, così come il Comune di Corigliano, il Comune di Lamezia Terme, la Provincia, il Comune e l’Asp di Crotone, sono gli enti che fanno più incetta di “lavoratori”: ben 60 (per ciascuno di loro). Poi tocca alla Prefettura di Cosenza: 50 impiegati, a cui fanno compagnia in ordine decrescente dai Comuni più grandi a quelli più piccoli. A beneficiare dei precari ci sono anche i sindacati. 19 lavoratori in tutto divisi tra: UilTemp Calabria, Cosenza, Catanzaro, Vibo Valentia e Reggio Calabria; Fim Cisl Calabria, Catanzaro, Cosenza e Reggio Calabria; Uil Cosenza; Assolabor “Servizi Uil”; Uil Fpl Reggio Calabria; Cisl Soc; Regionale Calabria Servizi; Uil Scuola; Camera Territoriale Uil Crotone.
La Uil/Fpl di Reggio Calabria, con una nota, fa tuttavia presente «che la nostra categoria non ha mai impiegato e non impiega alcun lavoratore in mobilità in deroga. Prescindendo dalla liceità della procedura, questa organizzazione sindacale non ha proceduto ad alcuna chiamata di lavoratori nelle condizioni di che trattasi».
L’ACCORDO QUADRO DEL 2016 Tutto ruota sui criteri per l’accesso agli ammortizzatori sociali. Ed è per questo che nel 2016 i vertici della giunta regionale siglano un accordo con le sigle sindacali. È la vigilia dell’Immacolata e nero su bianco vengono messe le condizioni che permetteranno ai lavoratori che rientrano nella categoria della mobilità in deroga di ottenere il salario in cambio di una prestazione lavorativa. Punto per punto l’accordo stabilisce le modalità di presentazione della domanda e quelle di pagamento. Requisiti, richiami alla legge e al codice civile, modalità di presentazione delle domande sono da premessa al punto 7 dell’accordo, che avrebbe dovuto rappresentare la vera svolta per i lavoratori: gli interventi di politica attiva e gli obblighi del lavoratore. «Le parti – è scritto nell’accordo – concordano come sia necessario passare da politica di sostegno passivo a coloro che siano usciti dal mercato del lavoro per passare a politiche attive tali da offrire opportunità di lavoro stabili, dignitose e durature». Insomma, erogata la prima parte di salario, le intenzioni della Regione sembrano essere chiare: fare dei percorsi di formazione, riqualificazione e reinserimento dei lavoratori. E come primo passo si stabilisce che per i lavoratori che rientrano nei requisiti stabiliti nell’accordo quadro si stabilisca un importo non inferiore a 800 euro «parametrate alle ore di effettivo utilizzo per un periodo non superiore a sei mensilità non ulteriormente prorogabili». La misura funziona, arrivano le richieste dei lavoratori, alcune anche in ritardo ed è per questo che il 21 luglio l’allora assessore Federica Roccisano firma un “addendum”. In sostanza permetterà l’accoglimento delle istanze dei soggetti che avevano presentato la domanda oltre i termini previsti, e poi l’annullamento degli eventuali indebiti comunicati dall’Inps. Così come per i Comuni la possibilità di coprire i posti vacanti. Ma dalla prima tornata i posti di lavoro generati sono pari a zero ed è per questo che nel 2018 l’unica alternativa è rinnovare la convenzione e continuare a mantenere i lavoratori al bivio: accettare la retribuzione per il breve periodo di lavoro, oppure rifiutare e perdere il diritto al sussidio.
I PUBBLICI DIPENDENTI SONO POCHI Il richiamo agli enti locali che beneficiano delle prestazioni dei tirocinanti è solo un piccolo esempio. Basti pensare che la graduatoria definitiva delle sedi di tirocinio è lunga otto pagine e in ognuna di essa sono contenuti 408 enti (tra amministrazioni comunali, provinciali, Asp e Prefetture). Poi 278 enti di natura privata (imprese e sindacati). Il bollettino diramato da Adapt (Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro) fotografa la situazione del pubblico impiego in Italia, paragonandola a quella delle altre nazioni europee. Per gli analisti continuare ad ignorare la richiesta di nuove risorse nella pubblica amministrazione rappresenta una scelta che potrebbe costare caro in termini di servizi nell’immediato futuro. «E lo studio fatto a livello nazionale è ancora più drammatico se ci concentriamo a livello regionale – spiega Delio Di Blasi, dirigente della Cgil di Cosenza –. Questo tipo di lavoro non genera le condizioni per nuove assunzioni, non elimina la diseguaglianza tra i lavoratori che spesso fanno quello per cui sono assunti impiegati a tempo indeterminato e poi favorisce il lavoro nero. 500 euro mensili per 4 ore di lavoro giornaliero non possono soddisfare i bisogni di chi negli anni ha contratto mutui, si è fatto una famiglia e aveva diverse prospettive. La cosa incredibile è che in questo sistema ci sono anche le rappresentanze sindacali. O inizia seriamente una trattativa per una massiccia assunzione nelle pubbliche amministrazioni o questi lavoratori non avranno mai un futuro».
Michele Presta
5 gennaio 2019