(Foto- Francesco Cavalli)
Nelle carte del Sismi sul caso Alpi-Hrovatin appena desecretate, ricompare il nome dell’imprenditore italiano, mai indagato ma indicato come uno dei principali trafficanti di armi e rifiuti tossici verso la Somalia
di Andrea Palladino e Andrea Tornago
Quando, nel maggio scorso, uscirono i primi documenti declassificati del Sisde sul caso Alpi su di lui non ci ha pensato due volte. Ha chiamato l’avvocato fidato di sempre e firmato una corposa querela. “Mi stanno diffamando”, assicura, dopo aver letto che per una fonte dei servizi segreti italiani potrebbe essere uno dei mandanti dell’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Giancarlo Marocchino, trasportatore originario di Borgosesia, in provincia di Vercelli, per anni potentissimo imprenditore di Mogadiscio, è l’uomo che per primo arrivò sul luogo dell’esecuzione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Mai indagato dalla procura di Roma per l’omicidio, si prodigò per portare in Italia l’automobile coinvolta nell’agguato su incarico della commissione Taormina. O meglio, quella che si riteneva essere l’automobile della giornalista uccisa: il sangue rimasto sui sedili non era compatibile con il suo Dna, come accerterà una perizia della Procura di Roma nel 2008. Insomma, una patacca. Cose che capitano tra Somalia e Italia.
Oggi il nome di Marocchino – e del suo fedelissimo avvocato, Stefano Menicacci (parlamentare nelle file dell’MSI)- torna di nuovo nella lista nera, questa volta del Sismi, il servizio segreto militare. Decine di annotazioni, rapporti, messaggi e analisi declassificati lo indicano come uno dei principali trafficanti di armi verso i signori della guerra somali. Con una propensione, dal 1993 in poi, per Aidid, il nemico giurato degli Usa, tanto da essere espulso dal Paese su richiesta del contingente statunitense. Un incidente momentaneo, risolto con una pacca sulla spalla da parte del governo italiano che lo fece ritornare in Somalia pochi mesi dopo.
Per il Sismi Giancarlo Marocchino era in fondo utile, come spiega una delle note declassificate. “Imprenditore abile e furbo”, lo definiscono, in grado di lavorare per tutti, che “ha il suo peso e la sua utilità relazionale” districandosi con abilità nella Somalia sconvolta dalla guerra civile. Di cosa si occupava? Oltre che di logistica, la sua occupazione ufficiale, Marocchino – secondo un messaggio del centro di Torino del Sismi del 2001 – “Avrebbe ripreso a trafficare in armi e rifiuti tossici e radioattivi”, dopo aver costruito un nuovo porto ad El Maan, cento chilometri da Mogadiscio. Sospetti infondati delle barbe finte, forse, che al momento non trovano un riscontro giudiziario. Di certo dopo aver fornito – secondo l’esercito Usa – armi ad Aidid negli anni ’90, all’inizio degli anni 2000 ha ripreso le attività con la Somalia grazie a stretti contatti con il figlio del generale nemico giurato dell’Onu.
È sempre il Sismi a seguirlo nei suoi contatti nel 2003 con Hussein Mohamed Farah Aidid, ex marine, tornato in Somalia dopo la morte del padre per cercare di ricompattare il clan. Nel giugno del 2003 Aidid junior arriva in Italia con un’agenda ambiziosa, portare a casa centocinquanta progetti di cooperazione. Tutto lecito, ovviamente. Il Sismi, però, si incuriosisce quando scopre i due mediatori dell’affare: l’imprenditore somalo Yusuf Ariri e l’avvocato romano Stefano Menicacci. Due nomi strettamente legati a Marocchino, che torneranno in qualche maniera anche nella lunga inchiesta sul caso Alpi. Il legale di Marocchino era poi un nome ben noto alla Dda di Palermo, che lo aveva a lungo indagato. I pm Antonio Ingroia e Roberto Scarpinato si erano occupati della sua intensa attività politica tra il 1991 e il 1992 a favore delle Leghe del sud, chiamando quell’indagine “sistemi criminali”. Il fascicolo venne archiviato su richiesta della stessa Procura, ma rimase agli atti il dubbio dei pm, che, nelle motivazioni della richiesta di archiviazione, scrivevano: “A parere del Pm sono stati acquisiti sufficienti elementi in ordine alle seguenti circostanza: all’inizio degli anni ’90 venne elaborato, in ambienti esterni alle organizzazioni mafiose ma ad esse legati, un nuovo “progetto politico”, attribuibile ad ambienti della massoneria e della destra eversiva – in particolare – agli indagati Licio Gelli, Stefano Delle Chiaie e Stefano Menicacci”. Una strategia che, per la Dda di Palermo, prevedeva “l’opzione secessionista”.
Nell’agosto del 2003, sempre secondo il Sismi, Marocchino avrebbe partecipato ad alcuni incontri con imprenditori romani “organizzati da un funzionario del Mae (il Ministero degli Affari Esteri, ndr), cui gli stessi imprenditori si erano rivolti per essere supportati nelle proprie iniziative economiche in Somalia”. Durante gli incontri Marocchino avrebbe assicurato “di essere in Somalia il referente commerciale preferito dal Ministero degli Affari Esteri, di avere a disposizione un esercito personale composto da mercenari di circa 2500 uomini in grado di garantire la sicurezza delle attività imprenditoriali e di incidere sugli equilibri interni del Paese”. In quel periodo, Marocchino stava trattando l’invio di alcuni autocarri a Mogadiscio con una agenzia marittima di Livorno nel mirino del Sisde (il servizio segreto civile) per aver violato l’embargo con l’Iraq. Pochi mesi dopo, la Commissione parlamentare sull’omicidio Alpi-Hrovatin – pur conoscendo le carte del Sismi – avrebbe chiesto a Giancarlo Marocchino di “cooperare” per la ricerca della verità.
13 ottobre 2014