di Gianni Barbacetto
Mentre l’Italia invia armi all’Ucraina, la più strategica delle aziende italiane, l’Eni, rifornisce la Russia di prodotti petroliferi impiegati da Putin nelle operazioni di guerra contro l’Ucraina. Questa storia comincia a Karachaganak, nel Kazakistan nord-occidentale. Qui c’è uno dei giacimenti di gas e petrolio più grandi al mondo. È controllato congiuntamente da Eni e da Shell, che detengono ciascuna il 29,5 per cento del consorzio Kpo titolare della licenza d’estrazione.
Con quote minori, fanno parte di Kpo (Karachaganak Petroleum Operating) anche l’americana Chevron (con il 18 per cento), la compagnia russa Lukoil (con il 13,5) e la società di Stato kazaka KazMunayGas (con il 10). Il gas grezzo estratto (dagli 8 ai 9 miliardi di metri cubi all’anno) finisce in Russia, nell’impianto di Orenburg, gestito dalla compagnia di Stato russa Gazprom, dove viene processato e raffinato.
Orenburg è un immenso complesso petrolchimico che raffina gas, ma produce, tra l’altro, anche elio: un gas nobile, prezioso e indispensabile per il settore medico e per quello elettronico, ma anche per l’industria militare ed aerospaziale. Nel settore aerospaziale, l’elio è un prodotto essenziale perché viene impiegato per rendere non pericoloso l’idrogeno che fa da combustibile ai razzi e che, senza un componente inerte come l’elio, potrebbe esplodere. Sono almeno quattro i sistemi militari russi che prevedono l’impiego di elio: i razzi spaziali di tipo Angara, quelli di tipo Soyuz, il veicolo spaziale Ktdu, il missile intercontinentale Ss-19 Stiletto.
È la stessa Gazprom ad ammettere, nelle sue comunicazioni ufficiali, che una parte del gas proveniente dal giacimento kazako di Karachaganak, insieme a gas che viene da altri siti, è raffinato a Orenburg per produrre elio. Un quantitativo di elio ricavato in quell’impianto viene poi inviato al Cosmodromo di Plaseck, il principale sito di lancio per satelliti militari russi. Abbiamo ricostruito due spedizioni di elio dalla raffineria di Orenburg al Cosmodromo di Plaseck, la prima a marzo e la seconda a giugno 2022, per un quantitativo complessivo di 160 tonnellate di elio.
In entrambi i casi, il destinatario dei cargo risulta essere la Khrunichev State Research and Production Space Center, cioè l’agenzia federale russa che gestisce i sistemi aerospaziali. Dall’inizio della guerra in Ucraina, la Khrunichev ha effettuato due lanci spaziali dal Cosmodromo di Plaseck: il 29 aprile e il 15 ottobre. Entrambi i lanci hanno utilizzato un razzo Angara 1.2 sul quale, secondo foto diffuse in rete, è stata impressa la “Z” simbolo dell’offensiva militare russa in Ucraina. Entrambi i lanci avrebbero trasportato in orbita satelliti militari spia, quelli che permettono di controllare impianti ucraini e movimenti dell’esercito di Kiev, per poterli poi colpire con armi ad alta precisione.
Le date di lancio dei due razzi sono proprio di poco successive a quelle delle due spedizioni di elio da Orenburg al Cosmodromo di Plaseck. L’acquisto di elio da parte dell’agenzia Khrunichev non ha spiegazioni alternative a quella dell’impiego per lanci spaziali. Dunque il gas estratto da Eni e Shell in Kazakistan e poi ceduto alla Russia è stato in parte utilizzato, dopo essere stato trasformato in elio, per usi bellici contro l’Ucraina.
Le prove delle spedizioni sono state raccolte da un gruppo di lavoro di cui fanno parte due ong, l’italiana ReCommon e la britannica DataDesk, che hanno recuperato i documenti di trasporto dei due invii di elio dalla raffineria di Orenburg al Cosmodromo di Plaseck. “Eni è stata spesso criticata per i suoi affari miliardari con Gazprom, il principale finanziatore dell’offensiva militare russa in Ucraina”, commenta Alessandro Runci di ReCommon. “Riteniamo doveroso che la principale multinazionale italiana e il governo facciano chiarezza sulle forniture di gas destinate all’impianto russo di Orenburg e sul loro impiego”.
Eni, interpellata dal Fatto, respinge ogni accusa. Spiega che il consorzio Kpo (di cui fa parte) vende il gas grezzo a KazRosGas, una joint-venture tra la russa Gazprom e la società petrolifera di Stato del Kazakisthan. “Kpo non è parte di alcun tipo di accordo relativo alla commercializzazione del gas ad altri, dopo che questo è stato venduto. Tutti i prodotti finali – inclusi gas, condensati, zolfo e Gpl – appartengono e sono commercializzati da KazRosGas”.
Eni sostiene che tutto il gas grezzo prodotto a Karachaganak viene inviato all’impianto di Orenburg in Russia e, una volta trattato, è interamente reimportato in Kazakhstan, “secondo accordi internazionali tra la Russia e il Kazakishstan che non coinvolgono Eni”. Quanto all’elio, Eni smentisce Gazprom: “Per quanto risulta a Kpo, il gas grezzo di Karachaganak non contiene volumi commercialmente estraibili di elio”.
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Gli accordi con Gazprom
e gli slalom tra le sanzioni
Il Kazakistan, uno dei principali produttori di petrolio e gas al mondo, è un Paese cruciale per Eni. Nei siti di Kashagan e di Karachaganak, la compagnia italiana ricava 788 milioni di euro su un totale di 5,58 miliardi di euro (dati 2021): il 14 per cento dei profitti complessivi della sua divisione Exploration&Production. Il giacimento di Karachaganak è controllato dal consorzio Kpo, il cui direttore generale, indicato ogni tre anni alternativamente da Eni e da Shell, è oggi l’italiano Giancarlo Ruiu.
La decisione di vendere il gas grezzo di Karachaganak ai russi risale al 2007, quando il consorzio Kpo ha siglato a Mosca un accordo con KazRosGaz, la joint-venture creata da Gazprom con la società di Stato kazaka KazMunayGaz, che prevede il conferimento di 16 miliardi di metri cubi di gas grezzo all’impianto Gazprom di Orenburg. In cambio, KazRosGaz rivende poi il gas raffinato al Kazakistan: interamente, secondo Eni; ma sul sito di KazRosGaz si legge che una parte del gas di Orenburg viene conferita a Gazprom Export per l’esportazione in altri Paesi.
Sarebbe stato più remunerativo per Eni e Shell vendere il gas dopo averlo già raffinato. Ma Eni non ha mai previsto di sviluppare un impianto di raffinazione integrato con il campo di Karachaganak, a differenza di quello che ha fatto in altri Paesi (Nigeria, Angola, Emirati Arabi…). L’intesa del 2007 provocò polemiche anche dentro Eni: Mario Reali, per vent’anni numero uno di Eni in Russia, accusò i vertici della compagnia di svendere il gas ai russi togliendo all’azienda miliardi di introiti.
Ma in quella fase (amministratore delegato Eni era Paolo Scaroni), Eni e Gazprom firmavano i loro patti più strategici, con la compagnia italiana che s’impegnava ad acquistare gas dalla Russia fino al 2035 e a realizzare il gasdotto South Stream (poi cancellato nel 2014). L’accordo fu rinnovato nel 2015, con un contratto firmato dall’allora direttore di Kpo, Renato Maroli, e dall’ex numero due di Gazprom, Alexander Medvedev. La nuova intesa prevede il conferimento, fino al 2038, di circa 9 miliardi di metri cubi di gas all’anno.
Un’integrazione degli accordi è stata firmata a San Pietroburgo nel giugno 2022, quattro mesi dopo l’invasione russa dell’Ucraina: KazRosGaz, a cui Eni e Shell vendono il gas grezzo, si è impegnata ad aumentare di circa 2 miliardi di metri cubi i volumi di gas da conferire ai russi a Orenburg negli anni 2022 e 2023. Il consorzio Kpo (guidato da Eni e Shell) è ufficialmente estraneo all’accordo, firmato solo da russi e kazaki, ma è difficile immaginare che non sia coinvolto nell’operazione, visto che i volumi aggiuntivi di gas dovranno arrivare, come esplicitato dalla stessa Gazprom, dal campo di Karachaganak gestito da Kpo.
Nella sua ultima relazione alla Sec, Eni ha dichiarato che, riguardo l’invio di gas alla centrale russa di Orenburg, “il management non crede che la transazione violi il regime di sanzioni imposte alla Russia in seguito all’invasione dell’Ucraina”. Al Fatto, Eni aggiunge che la decisione di vendere il gas grezzo ai russi “è stata valutata come la più valida dal punto di vista commerciale e industriale quando, qualche decennio fa, è iniziata la gestione di Karachaganak da parte di Kpo”.
La compagnia spiega che “Eni non prende parte agli accordi di acquisto e vendita di gas tra le società controllate da Russia e Kazakisthan”, mentre “ogni variazione dei volumi di gas da vendere deve essere preceduto da una negoziazione tra Kpo e KazRosGaz e successivamente regolato da una modifica contrattuale. Tale processo di modifica del contratto non è stato mai attivato”.
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