di MOWA
“[…] possiamo riconoscere negli intrighi delle grandi potenze […] la paura di ogni sé di gruppo di essere messo in una condizione di impotenza. Gli psicologi del sé sanno, in base alla loro esperienza con gli individui, che non esiste situazione più spaventosa del timore dell’impotenza. Gli individui rispondono a questa minaccia con la rabbia narcisistica – la rabbia senza limiti del sé che mira a distruggere l’origine della minaccia […] Per i sé di gruppo le lezioni e la loro urgenza sono ovvie. Una di queste lezioni potrebbe essere il suggerimento che il fine della politica estera dovrebbe essere la prevenzione delle condizioni che favoriscono il prodursi della rabbia narcisistica dei gruppi. L’obiettivo quindi dovrebbe essere non l’indebolimento, ma il rafforzamento selettivo degli avversari potenziali” (Andrzej Łobaczewski La cura del sé, 1988, pag. 58).
In quest’ultimo periodo, visto che si sente molto parlare del libro curato da Roberto Biorcio e Matteo Pucciarelli: “Volevamo cambiare il mondo. Storia di Avanguardia operaia 1968 – 1977” (Mimesis, 2021) ci si è sentiti in obbligo di farlo anche noi coinvolgendo un paio delle innumerevoli figure che hanno fatto parte, fin dagli albori, di quell’organizzazione nel capoluogo lombardo che, però, per una serie di vicissitudini e minacce personali subite per l’incessante impegno politico (evitando i riflettori della notorietà), hanno preferito non essere nominate ma riportare il proprio pensiero traslato attraverso l’autore del presente post.
Cominciamo col dire che non si vuole assolutamente demonizzare – con queste poche righe – le buone intenzioni delle migliaia di persone che venivano coinvolte in quella organizzazione, come altre, della nuova “sinistra” e che vi hanno fatto parte se non altro, come sostenuto da quasi tutti gli intervistati del libro (ma anche nei vari link di internet), per la passione o il tempo di vita speso nel tentativo di aprire spazi di ulteriore democrazia che faticavano ad ottenere nella Repubblica nata dalla Resistenza al nazifascismo, per le molteplici colpe dei vari soggetti (anche istituzionali) che la componevano. Testimonianza eloquente delle difficoltà di apertura ad una democrazia matura (e antifascista) ne furono le bombe, le aggressioni personali, gli omicidi selettivi o meno, le indagini depistate, le leggi disattese ecc. sino alla scoperta – postuma il periodo in questione espressa nel libro (1968- 1977) – di organismi illegali e incostituzionali come Gladio o l’Anello (il c.d. “noto servizio”) con funzioni destabilizzanti della predetta Costituzione antifascista e con il precipuo intento di mettere in mora il P.C.I. impedendogli di entrare nella “stanza dei bottoni” del potere del Governo.
Un periodo quindi di estrema difficoltà relazionale tra una DC, che da una parte, insieme ad altri partiti (che andavano dai liberali ai repubblicani, dai socialdemocratici alla fetta dell’emergente craxismo socialista sino, in frequestissimi casi, i missini), aveva monopolizzato – de facto – gli organismi istituzionali in funzione anti-comunista (leggasi P.C.I.) e, dall’altra quella che sembrava l’apparente rigidità del più grande partito comunista europeo che continuava a crescere sia come iscritti che come consenso alla propria linea politica; tanto da dover spingere alcune figure di spicco, come Aldo Moro, ad arrivare, negli anni seguenti, a formulare ipotesi di apertura (mai gradita all’Alleanza Atlantica ad egemonia statunitense) nel Governo al partito di Enrico Berlinguer.
È in quell’esatto contesto di allergia al P.C.I. nel Governo – la “famosa” stanza dei bottoni – che nacquero le politiche più o meno sofisticate di impedimento all’accesso di quella compagine politica.
Non sono, ormai, più un segreto quelle che furono le pianificazioni dell’Alleanza Atlantica che ha agito su tutti i fronti legali e non legali contro tali ipotesi. Basti ricordare che, successivamente, emerse che, nel 1965, all’Hotel Parco dei Principi con l’Istituto Alberto Pollio vennero gettate la basi della “strategia della tensione”. Un convegno ad un solo anno (1964) di distanza dal tentato progetto golpista “Piano Solo” che aveva visto coinvolte figure come l’ex partigiano monarchico, Edgardo Sogno (a cui fecero, vergognosamente, alla sua morte i funerali di Stato), con la sola Arma dei Carabinieri da cui ne deriva il motivo del nome del piano. Piano golpista scoperto, grazie al generale dei carabinieri e fedele al giuramento dato alla Repubblica ed alla Costituzione, Giorgio Manes, a cui si dovrebbe dare la dovuta riconoscenza e non l’oblio o quell’ingiurioso fango che gli fu gettato addosso e che lo logorarono nel fisico e del sistema nervoso, come sostenne la moglie che lo vide “combattere contro un gruppo di potere spregiudicato”. [1]
Ma cosa venne pianificato in funzione anti-comunista (leggasi P.C.I.) in quell’Hotel Parco dei Principi se non quella che sarebbe diventata la “guerra non convenzionale” degli anni che seguirono?
Scomparvero dalla scena pubblica le azioni eclatanti che venivano, facilmente localizzate e attribuite alla destra reazionaria ed iniziarono quelle con un forte richiamo simbolico attribuite ai comunisti. Vennero, nel contempo, uccisi da killer al soldo di quei poteri occulti (come la massoneria della P2, mafiosi…) funzionari di polizia o magistrati coraggiosi e onesti (es. Boris Giuliano, Vittorio Occorsio, Mario Amato…) che avevano iniziato a scoprire il depistamento.
Significative le testimonianze del coinvolgimento degli apparati atlantici, in direzione destabilizzante dell’Italia da parte della Nato e della Cia, prima fatte durante il processo veneziano su Argo 16, del 1998, e poi al quotidiano “la Repubblica” nel 2000 da tre generali, rispettivamente Emanuele Borsi, Umberto Nardini e Gianadelio Maletti nelle quali il primo sosterrà:
“Ordine nuovo era una struttura sorretta dai servizi di sicurezza della Nato con compiti di guerriglia e informazione”,
il secondo:
“Noi sapevamo dell’esistenza di un’organizzazione paramilitare, Ordine nuovo, sorretta dai servizi di sicurezza della Nato”
e il terzo:
“Era una necessità della Nato raccogliere notizie ed elaborarne il più possibile […]. Avevo personalmente rapporti con la Cia. Eravamo in contatto per motivi di controspionaggio. La Cia voleva creare, attraverso la rinascita di un nazionalismo esasperato e con il contributo dell’estrema destra, Ordine nuovo in particolare, l’arresto di questo scivolamento verso sinistra. Questo è il presupposto di base della strategia della tensione […]”
Si dovrebbe però citare quanto sostenne uno dei protagonisti della guerra ai comunisti, Renato Mieli (padre di Paolo), appartenente al Psychological Warfare Branch britannico, su quanto venne affermato che bisognasse fare in quel consesso all’Hotel Parco dei Principi con l’Istituto Alberto Pollio dove concludeva la sua relazione con le seguenti inequivocabili parole:
“Noi qui ci troviamo di fronte alla forma più insidiosa che si manifesta in occidente di questa articolazione, di fronte alla forma più acuta, la quale ha una fisionomia quasi inafferrabile. Dobbiamo essere altrettanto ferrati, altrettanto abili ed altrettanto impegnati, se vogliamo combattere i comunisti con efficacia.”
Ma, soprattutto, Mieli disse, in quell’occasione del 1965 (alla presenza del fondatore del Movimento politico Ordine nuovo, Pino Rauti, il citato Edgardo Sogno, il finto anarchico di Avanguardia nazionale, Mario Merlino e il suo camerata (assassino) Stefano delle Chiaie, il giornalista al servizio dei servizi segreti, Guido Giannettini, il tenente colonnello e capo della guerra non ortodossa dell’E.I., Adriano Magi-Braschi, l’ex ufficiale delle SS italiane Pio Foppani Ronconi…), cose che furono intraprese, con sfumature diverse, negli anni successivi da organizzazioni extraparlamentari come Potere operaio, Autonomia Operaia, Lotta continua sino ad arrivare all’Organizzazione comunista Avanguardia operaia:
“Quando si manifesta un dissenso nelle file del P.C.I., la voce dissenziente viene soffocata e sommersa dalla forza dell’apparato comunista, perché noi non la raccogliamo. Mentre, qualora vi siano segni anche minimi di dissenso in seno ai comunisti, in seno ai loro alleati o, in seno ai loro ausiliari, noi dobbiamo agire con la stessa prontezza, intelligenza, sensibilità ed efficacia con cui agiscono i comunisti.”
Perchè la critica al P.C.I. da parte dell’Organizzazione comunista Avanguardia operaia (descritta come trotskista) non era per nulla tenera o collaborativa, ma feroce, in quanto bollava, come riformisti o collaborazioniste le politiche del P.C.I., e definendo la richiesta delle “riforme di struttura” un contentino della borghesia e non un ulteriore spiraglio democratico (Gramsci parlava di conquista appunto delle “case matte”) come dimenticano di dire molti interlocutori. Anzi… molte adesioni ad Avanguardia operaia partivano proprio su queste basi di contrasto con il P.C.I. seppur con varie distinzioni e opportunistici distinguo tra fabbrica e scuola. Non era da meno l’attacco alla stessa Costituzione che veniva definita un parto para-borghese, avanzando le tesi secchiane del tradimento della causa rivoluzionaria del P.C.I. che portò i cossuttiani a contribuire alla distruzione del partito e, poi, formare con i demoproletari Rifondazione comunista. Qualcosa avrebbe potuto dire, se non fosse mancato precocemente, lo stimatissimo e acuto compagno “Cippone” (Luigi Cipriani) della Pirelli milanese che rimase, però, inascoltato per non dire isolato, e che aveva iniziato a porre forti critiche all’interno sia dell’Organizzazione comunista Avanguardia operaia che dello stesso Cub del suo posto di lavoro per le posizioni assunte sia nel merito degli obiettivi da intraprendere che nello scoprire i veri nemici di classe. Forse qualcosa gli aveva fatto subodorare le effettive volontà dell’organizzaione e lui era un dirigente politico con una grande onestà intellettuale e soffrì per l’isolamento politico posto, nei suoi confronti, dagli altri dell’organizzazione non ultimo il responsabile delle fabbriche, Franco Calamida.
L’organizzazione li preferiva giovanissimi (e i dati sociologici raccolti per la presentazione del libro lo testimonia: “1970 circa il 40% degli intervistati aveva meno di 20 anni, e un altro 40% aveva un’età compresa tra i 20 e i 25 anni, solo il 9% era tra i 25 e i 30 anni e una piccolissima percentuale aveva più di 30 anni”), come successe, ad esempio, con Vincenzo Vita, che si trovò, poco più che ventenne, a diventare responsabile nazionale della cultura e che fu messo in contatto con “l’ex repubblichino Dario Fo”. Una paventata vigilanza dell’organizzazione che, invece, ha fallito di fronte a così poco. Infatti, episodi fallaci di vigilanza ve ne furono a bizzeffe come quella di alcuni lavoratori-studenti entrati in clandestinità per terrorismo come alcune figure molto amiche di sindacalisti, che poi sono diventati responsabili del personale di aziende di rilievo. Personaggi inqualificabili e squallidi dei lavoratori-studenti che facevano telefonare dai telefoni pubblici da altri sprovveduti compagni o compagne alla polizia per comunicare che nella scuola vi era del materiale esplodente per far riuscire gli scioperi indetti.
Oppure le frequentazioni o dichiarazioni di alcuni dei responsabili del servizio d’ordine lombardo di allora (qualcuno diventò, poi, giornalista di un’emittente radiofonica popolare), un cocainomane, che era uso frequentare il salotto milanese di Daniela Santanche’ e che disse di avere anche ottimi rapporti con il fascista Tomaso Staiti di Cuddia delle Chiuse… Forse, qualche perplessità, anche se a posteriori avrebbe dovuto essere sollevata, invece di nascondere tutto sotto il tappeto dell’oblio. Come se non ci fossero state manchevolezze tanto più che nel servizio d’ordine qualcuno portava avanti le tesi di unire le forze destra-sinistra per contrastare lo “Stato borghese”. Posizione portata avanti, anche da alcuni fascisti presenti all’Hotel Parco dei Principi. Ma questi ultimi erano a libro paga dell’Alleanza atlantica e quindi è comprensibile, ma gli altri?
Per non parlare del “fantomatico” archivio di Avanguardia operaia che è stato visitato da uno dei “relatori che trasla i ricordi attraverso l’autore del presente post” il quale sostiene l’anomalia del sito milanese di proprietà della moglie di un ufficiale dei servizi. Cosa veramente singolare e di non poco conto, per chi professava vigilanza, che la persona che aveva accesso e responsabilità dell’archivio avesse il proprio padre nelle strutture militari atlantiche nella regione Toscana e che, in una delle confidenze, avesse dichiarato di detenere con altri(?) il rimanente archivio non trovato dal giudice Salvini nel 1985.
Se così fosse e non è (invece) frutto di millanteria, perché non l’ha consegnata ai giudici?
Cosa è celato in quella parte mancante dell’archivio di così compromettente?
Che uso se ne vuole fare e/o ha fatto?
Nel suddetto libro se ne parla? Non credo proprio.
Certo è che alcuni appartenenti dell’epoca (e molti di questi avevano lavorato, anche, al Quotidiano dei lavoratori) ebbero a che fare o furono contigui con persone dichiaratamente terroriste come avvenuto, dopo la libertà vigilata del 1997 di Mario Moretti.
Nel libro non si parla in modo esteso delle deviazioni corporative e/o piccolo-borghesi sostenute, ad es., nei documenti del Cub ATM che hanno condotto l’Organizzazione comunista Avanguardia operaia a frenare la conquista dello Statuto dei lavoratori. [2][3][4][5][6][7]
Come mai?
Le lotte corporative non sono forse un retaggio reazionario?
Nelle interviste fatte di recente per la presentazione del volume, alcuni parlano di essere libertari (un po’ anarchici – boh!) come Luisa Morgantini benchè figlia di partigiani comunisti e frequentatrice dell’Umanitaria (sede storica massonica i cui componenti contribuirono alla ascesa del fascismo e fondata dal Gran Maestro Prospero Moisè Loria) o chi di provenire da famiglie fasciste o, addirittura, sabaude (come Emilio Genovesi la cui dichiarazione si consiglia di leggere perché descrittiva della componente sociale e culturale di A.O.) e non si è minimamente voluto fare una disamina su quanto l’aria respirata in casa abbia potuto incidere su alcuni comportamenti che venivano accompagnati da alcuni filosofi di grido come Costanzo Preve che, miete vittime, ancor oggi, e con i falsi marxisti alla Diego Fusaro. Oppure, alcune scelte nichiliste dell’Organizzazione comunista Avanguardia operaia che avevano ben poco di democratico con l’agguato e l’omicidio di Sergio Ramelli facendolo diventare il simbolo per i fascisti della crudeltà comunista tout court. Un episodio che non ha giustificazione alcuna con la difesa dell’ordine democratico in una Repubblica nata dalla Resistenza al nazifascismo con la richiesta di maggior democrazia nelle varie istanze, tanto meno, dai lavoratori che, infatti, si iscrissero al P.C.I. per contrastare l’insorgente terrorismo che condusse verso il dissolvimento tutte quelle organizzazioni extraparlamentari pseudo-comuniste. Infatti, se si cerca dove siano andati a finire molti dei funzionari/dirigenti di quell’organizzazione c’è da rabbrividire perchè, come dicono alcune sentenze, sono nel partito della trattativa Stato-mafia di Forza Italia o a fare manifestazioni medievaliste molto apprezzate dai leghisti.
[1] Giuseppe D’Avanzo Così uccisero il generale Manes, “la Repubblica” 17 nov. 1990