Quando, sette giorni dopo la strage della scorta e il rapimento di Moro, i carabinieri iniziano a interrogare i testimoni di via Fani, è il vicebrigadiere Antonio L’Aurora che si incarica di redigere i primi rapporti. Nel sommario processo verbale redatto a mano nell’appartamento di via Fani 109, scala B interno 18, successivamente dattiloscritto in caserma, e poi nella deposizione del 23 novembre 1979 resa al giudice istruttore Francesco Amato, Moscardi Tullio, residente a Roma in via del Corso 504, e Iannaccone Maria, residente ad Avellino ma dimorante in via Fani, dichiarano di aver sentito “colpi di armi da fuoco a raffiche ed a singolo”, di essersi affacciati al balcone del soggiorno e di aver visto “un uomo travisato con una specie di passamontagna di colore nero, alto mt. 1,80 – forse anche di più – con fisico atletico, vestiva un abito tipo tuta molto attillato di colore nero, con una specie di mascherina sugli occhi di colore rosso, armato di mitra in corrispondenza del civico 109 di via Fani”.
“All’epoca”, precisa poi Moscardi al giudice Amato, in via Fani 109 “era sita la mia abitazione come domicilio effettivo”: che significa che nel 1979 non ci abitava più. Ma la dottoressa Tintisona nella sua relazione alla Commissione Moro del 10 giugno 2015 colloca il periodo della domiciliazione di Moscardi in via Fani fra il settembre 1977 e l’inizio dell’ 81, allungandolo almeno di due anni. La dilatazione del suo periodo di permanenza in via Fani serve a rendere meno evidente la coincidenza temporale fra il temporaneo trasferimento di Moscardi e l’effettuazione del blitz contro Moro e la sua scorta, e tenta di far passare Moscardi come un elemento del paesaggio, un signore che casualmente ha parcheggiato la sua Mini sulla scena del crimine.
Tutavia l’inquilino del terzo piano non è un pensionato. Ex reclutatore di sabotatori nella Decima Mas, è stato fra quelli che hanno allestito le prime reti Stay Behind nel 1944 e 1945 in Italia, ed ha fatto parte di un nucleo di irriducibili rintanati agli ordini di Nino Buttazzoni nel covo romano di via Panisperna 206. Il suo passato e la contemporanea presenza in via Fani e in via Madesimo, la mattina del 16 marzo, di Bruno Barbaro, Camillo Guglielmi e Fernando Pastore Stocchi, tutti e tre collegati a Gladio e alla nuova rete Stay Behind, autorizzano a pensare che nemmeno lui e la sua Mini siano in via Fani per caso. Di Bruno Barbaro, cognato del colonnello Pastore Stocchi, che addestra i parà alle tecniche della guerriglia urbana nella base Nato di Capo Marrargiu, e di Camillo Guglielmi, capo del gruppo speciale K (killer), reduce dall’esercitazione Nato “Rescue Emperor” di febbraio, presente in via Stresa, molti hanno già scritto. Nessuno però ha mai fatto rilevare che anche il colonnello Pastore Stocchi, come suo cognato Bruno Barbaro, sta lì a presidiare il territorio. Lo rivela proprio il Barbaro, escusso dall’ispettrice Tintisona: il cognato Fernando Pastore Stocchi abitava in una palazzina di fronte alla sua il cui civico principale insisteva su via Stresa [Relazione Tintisona del 10/6/2015 pag. 10]. L’unica palazzina con queste caratteristiche è quella contrassegnata nel Catasto Fabbricati del Comune di Roma nel Foglio 386, Particella 712, con il civico 37 di via Madesimo. Si tratta di un edificio costruito dalla Cooperativa Edilizia Bruna Fiorella srl negli Anni Sessanta, in cui abita anche Paolo Vitale, testimone del fatto che qualcuno era dentro il bar Olivetti una settimana prima del blitz [CM XXX: 390]. Dunque l’inquilino del terzo piano non è solo: Guglielmi, Pastore Stocchi e Barbaro fanno parte del suo circolo del tennis, e non sono gli unici a presidiare l’solato…
Ma il nostro inquilino del terzo piano ha 58 anni nel 1978; la nuova Commissione Moro non può sentirlo, perché è morto nel 1997. L’ispettrice Tintisona sente quindi la sua compagna, Maria Iannaccone, di 29 anni più giovane, che sostiene che lei e Tullio avevano abitato per qualche anno in via Fani 109, in un appartamento che gli era stato dato in prestito da una coppia di amici di cui non ricorda il nome; che non ricorda se c’era o no il garage; che la mattina del 16 marzo 1978 avevano sentito colpi d’arma da fuoco, si erano affacciati al balcone…..
Poi, non si sa perché, la signora Maria racconta all’ispettrice Tintisona anche una cosa di cui non aveva mai parlato: durante il sequestro Moro, dice, un giorno lei e Tullio erano andati a pranzo a Fregene o a Fiumicino, e avevano visto una R4 rossa parcheggiata sulla spiaggia, senza persone a bordo. Il marito si era insospettito, lui che aveva fatto la guerra ed aveva una particolare sensibilità per le situazioni sospette o pericolose… La dottoressa Tintisona fa perfino con la signora Maria un sopralluogo sul litorale, che ovviamente è senza esito, e riferisce il fatto alla Commissione Moro [Relazione Tintisona del 10/6/2015, pag. 7]. Ma – forse senza saperlo – l’ispettrice sta giocando con il fuoco. Forse non sa, l’ispettrice, che 38 anni fa, nello stesso giorno del sequestro di Moro, il colonnello Varisco chiese urgentemente ai Carabinieri di fare indagini su una R4 rossa coinvolta, secondo la sua fonte, nel rapimento. Fu fermato, interrogato e poi rilasciato il signor Daniele Paldi, proprietario di una R4 rossa che sembrava implicata. Forse non sa, l’ispettrice, che un verbale dei carabinieri dell’8 febbraio 1979 asserisce che “tempo fa” una fonte attendibile, Vasco Bertini, ha dichiarato di conoscere uno che la mattina del 16 marzo 1978 aveva seguito la R4 rossa dei componenti del comando delle Br. Forse non sa, la dottoressa Tintisona, che alle Br serviva proprio una macchina con quelle caratteristiche: sabbia di cantiere, resti di catrame, bagagliaio capiente, e che fin dall’inizio avevano puntato sulla R4 di Filippo Bartoli. O le R4 erano due? Ed ecco che dal terzo piano di via Fani 109 un filo sottile ci porta in Lungotevere Mellini 44, in cerca di una R4 rossa la cui storia è ancora da scrivere….
(continua)
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ULTERIORE PRECISAZIONE STORICA: Barozzi ha ragione a mettere in evidenza la specificità della Decima MAS e l’ambiguità di Borghese; non credo si possa affermare però che quelli della Decima non erano fascisti – tanto è vero che li ritroviamo tutti, dopo la guerra, nelle file dei nostalgici salotini, nel MIF, poi nel MSI, poi nel CISES, oltre che nelle associazioni di reduci, di ex combattenti della RSI, e così via. C’è un’osmosi fra nostalgici della RSI ed ex Decima Mas, e spesso gli stessi personaggi si trovano sia qui che lì. E’ vero che molti di loro si considerano non fascisti, ma italiani, però si alleano con i tedeschi, e poi, fin da prima della Liberazione, si alleano con gli americani….. Il leggendario spirito di corpo (il cameratismo) della Decima porta quelli che hanno fatto la scelta di stare con Badoglio e quelli che hanno fatto la scelta di stare nella RSI a collaborare (lo raccontano Nino Buttazzoni, Aldo Bertucci e altri). Sta di fatto che sono ferocemente anticomunisti e in questo anticipano la Osoppo e le formazioni pacciardiane o le posizioni di Sogno, di Taviani ed altri, che poi troviamo fra i protagonisti dell’eversione, implicati nella Gladio e in altre trame eversive, in accordo con la Cia, con la rete Gehlen e con altre organizzazioni fasciste. Si considerano non fascisti ma italiani – dicono loro – però ammazzano altri italiani per conto degli americani. Sono insomma degli italiani sui generis, degli eversori a pieno servizio, dei parastatali.
Lo STAFF di ISKRAE.
DOMANDE e OSSERVAZIONI:
Sono accettabili le osservazioni riguardanti Moscardi ma, ci piacerebbe sapere da Barozzi, chi erano i partigiani legati al governo del sud che ospitavano Borghese?
A Barozzi non risulta, forse, corrispondente al vero che Federico Umberto D’Amato, paracadutato nel territorio della RSI su incarico di Angleton, aveva concluso la trattativa con Leto e gli alti gerarchi della polizia di Mussolini, ai quali venne garantita la salvezza della vita in cambio della consegna all’OSS dell’archivio dell’OVRA? Cosa, tra l’altro, sollevata quando D’Amato venne interrogato dalla Commissione P2 dove, in quella partita c’entrava anche Borghese, doveva essere salvato dalla, già decretata, fucilazione dai partigiani…
Sarebbe auspicabile e cosa gradita, stante le cose sollevate nel post, di stare sul caso Moro, evitando di parlare se Borghese era o non era un fascista perché, al momento, fuorviante e ci porterebbe fuori tema.
MOWA