Ieri la rinuncia all’audizione delle parti civili
L’ex Nar Massimo Carminati, legato anche alla Banda della Magliana, non testimonierà più nel nuovo processo sulla Strage del 2 agosto 1980. A chiamarlo sul banco dei testimoni era stato il collegio di avvocati di parte civile, che ieri ha comunicato che rinuncerà ad ascoltarlo, come farà anche per altri 14 testi inizialmente previsti. Carminati, che è stato anche coinvolto nella vicenda di Mafia Capitale, avrebbe dovuto parlare in particolare dei rapporti tra i Nar e la Banda della Magliana, lo stesso argomento su cui domani, in videoconferenza, sarà sentito Maurizio Abbatino, che è stato uno dei boss del gruppo criminale romano. Tra i testi che hanno deposto nella giornata di ieri Lucia Mokbel, sorella dell’imprenditore d’origine egiziana Gennaro Mokbel, finito in diverse inchieste giudiziarie. Lucia Mokbel nel 1978 viveva insieme al compagno dell’epoca, il commercialista Gianni Diana, nell’appartamento al civico 96 di via Gradoli, a Roma, che si trovava di fronte al covo del brigatista Mario Moretti durante i giorni del sequestro Moro e che ospitò anche un rifugio dei Nar 3 anni dopo, nel 1981. La maggior parte degli appartamenti del palazzo e nella strada erano gestiti da tre società di copertura dei servizi segreti.
La Mokbel ha ricordato la vicenda del biglietto consegnato alla polizia il 18 marzo 1978, in cui sostenne di aver sentito un ticchettio di una trasmissione Morse provenire dal covo Br, che venne scoperto però solo un mese dopo. Il ‘pizzino’ era indirizzato a Elio Cioppa (poi risultato iscritto alla P2), vice capo della squadra Mobile romana, ma non se n’è mai trovata traccia. La teste ha spiegato poi che una persona si qualificò come un poliziotto in borghese le offrì 30 milioni di lire per ritrattare le sue dichiarazioni e nei mesi successivi ci furono una serie di “segnali anonimi per non farmi più parlare”. Quando poi il covo Br di via Gradoli venne scoperto e la stampa scrisse del ‘ticchettio’ sentito un mese prima, il titolare dello studio in cui lavorava il compagno Gianni Diana chiese allo stesso di andare in Questura e ritrattare quanto detto dalla Mokbel. “Ma Gianni non lo fece – ha sottolineato – e 10-15 giorni dopo il suo studio lo trasferì in Sardegna”. Successivamente ha testimoniato Marco Maggi, uno dei figli di Carlo Maria Maggi, ordinovista condannato come mandante della Strage di Brescia. Al centro della deposizione l’intercettazione ambientale fatta nella casa dello stesso Carlo Maria Maggi il 18 gennaio 1996, in cui il leader veneto di Ordine nuovo, parlando con la moglie e con il figlio Marco, attribuisce la Strage del 2 agosto a Francesca Mambro e Valerio Fioravanti e fa riferimento a “un aviere” che avrebbe portato la bomba. L’aviere in questione, secondo l’accusa, sarebbe Paolo Bellini, principale imputato nel processo, che aveva un brevetto da pilota. Maggi ha dichiarato di non ricordare quella conversazione con il padre, morto nel 2018.
I giudici hanno anche disposto che l’intercettazione ambientale verrà fatta ascoltare in aula nell’udienza di venerdì 29 ottobre.
21 Ottobre 2021