Nei partiti di sinistra nascono le prime sollevazioni di critica al risultato elettorale (vedi sotto) e iniziano i tentativi d’individuazione di responsabilità ma ci si dimentica di fare una rigorosa analisi sui fenomeni che provocano le crisi.
Riportiamo un brevissimo segmento delle tesi dell’Associazione per la ricostruzione del partito comunista (nei “LIMITI DEL PROCESSO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA” – punti 10, 11 e 12), che verranno discusse il prossimo 24, 25 e 26 giugno a Bologna, perché significative di una reale fotografia dell’esistente e di prospettiva sinceramente comunista.
“10. Da questo insieme di condizioni prende dunque le mosse all’indomani dello scioglimento formale del Pci il processo “rifondativo”. Oggi, sulla base di uno sguardo retrospettivo che copre la distanza di oltre due decenni, possiamo avanzare la tesi che a tale processo è mancata la capacità di operare una sintesi politica alta e organica, tale da offrire basi teoriche sufficientemente qualificate e produrre un nuovo personale politico adeguato all’obiettivo: condizioni – queste-indispensabili per emanciparsi dai limiti che avevano drammaticamente determinato la sconfitta dell’esperienza del socialismo realizzato novecentesco. Pur non dimenticando il contesto difficilissimo e di arretramento complessivo del quadro politico generale, sia nazionale che internazionale, in cui questa esperienza si è dispiegata e rendendo il dovuto merito alla tenacia e alla passione di tanti militanti che l’hanno fatta vivere, davanti al suo esaurirsi non ci si può tuttavia sottrarre ad un’analisi severa dei suoi limiti oggettivi e soggettivi. Che oggi è ancora tutta da farsi. Qui di seguito possiamo solo proporre qualche schematica considerazione. Si deve subito constatare che si è fallito nella costruzione di una comune e forte cultura politica dei gruppi dirigenti, che fosse in grado di far superare senza danni le difficili prove della congiuntura politica: una congiuntura sempre più caratterizzata da una grave involuzione istituzionale e morale, dalla crisi dei partiti tradizionali (sempre meno fucine di idealità e sempre più funzione del comitato elettorale di turno), da una personalizzazione della politica alimentata ad arte dalla riduzione della sua scena a spettacolo mediatico, con relativa espropriazione delle scelte fondamentali, sottratte a sedi decisionali democratiche, indebolite nei compiti e nella qualità dei loro membri, a vantaggio di ristrette cerchie tecnocratiche.
11. Entro una temperie ideologica sostanzialmente votata all’eclettismo, si è fatto strada un approccio subalterno all’ideologia post-moderna che, seppur respinta a parole, è stata in realtà sussunta nella rimozione della questione del potere (nonché dello Stato e del suo superamento), nell’offuscarsi della centralità del conflitto tra capitale e lavoro, nella tendenza ad assecondare l’attacco ai partiti come forma di partecipazione popolare. In questo modo, il processo della rifondazione comunista è stato sospinto nello spazio asfittico della quotidianità senza il filo della storia, ovvero con l’unica necessità di gestire e contrastare il tempo breve: disarmato di un impianto strategico e di un progetto generale (per quanto in divenire) alternativo, per il quale e attraverso il quale battersi. Qui si è generata la disgiunzione tra strategia e tattica e la progressiva separazione tra momento sociale e momento istituzionale. Ogni iniziativa specifica si è risolta in se stessa producendo un consenso temporaneo che raramente si è trasformato in appartenenza e militanza: una politica dunque legata alla contingenza e all’occasione, che ha generato la ricerca di personaggi da spendere sulla scena politico-mediatica, senza il respiro lungo del pensiero.
12. In una crescente frammentazione e con il moltiplicarsi delle divisioni è stato così dissipato un patrimonio militante, con un incredibile turn-over che ha complessivamente interessato qualcosa come un mezzo milione di iscritti e dilapidato un’influenza elettorale che aveva raggiunto nella seconda metà degli anni Novanta i 3 milioni e 200 mila voti e che era proiettata verso il 10%. A riprova di quanto sia facile dissipare in pochi anni un grande patrimonio elettorale, quando esso non riposi su solide fondamenta. A ciò si è sommata, come concausa dell’insuccesso, la delusione progressivamente indotta dalla partecipazione al governo del Paese, che non ha conseguito alcun risultato sostanziale a favore dei nostri soggetti sociali di riferimento. Una delusione accentuata da forme di carrierismo politico, da lotte interne e dalla formazione di ceti politici separati dalla più genuina militanza di base, che hanno seminato sfiducia e distorto la gestione interna delle stesse organizzazioni comuniste, la sua trasparenza, il suo costume, la sua moralità.Oggi cominciamo ad avere cognizione delle cause principali (nonché degli errori dei gruppi dirigenti) che sono state alla base di questo insuccesso.“
MOWA
“Niente pretesti o consolazioni”. Intervento di Paolo Andreozzi
Fassina a Roma, 4.5%; Rizzo a Milano, 3.5%; Airaudo a Torino, 3.5%… Neanche stanno nella schermata principale dei risultati ormai quasi definitivi.
Ossia: confermando le avvisaglie di ieri sera e stanotte, la “sinistra carina” colonizzata da SEL o da transfughi PD o da innocui “società-civilisti” perché non si coagulasse alcuna forza di massa su posizioni di reale alternativa, svolge bene il compitino assegnatole di essere fuorviante e frenante insieme.
Qualcuno/a dei suoi protagonisti o portatori proverà ora a consolarci con la “batosta del PD”, credendo che non sappiamo che il secondo turno offre al PD ogni strumento di alleanze e transazioni, “naturali” o “innaturali”, per riprendersi; e che comunque anche vincesse al ballottaggio il Centrodestra o il 5Stelle, il risultato sarebbe sempre dalla parte dello stato di cose presente quanto al modello socioeconomico neoliberista.
Qualcun altro/a maledirà il “silenzio dei media” contro i poveri candidati di quella sinistra (cui si è accodata con pulsioni suicide anche la componente comunista appena più che “atomica”: Rifondazione eccetera), credendo che non sappiamo fare i conti: se il famoso Fassina, per esempio, prende la miseria di 15.000 voti in più dello sconosciuto Medici di tre anni fa, vuol dire non già “cattiva informazione” bensì “incapacità” o “sabotaggio”.
Ma io, appunto, voglio tutt’altro che consolazione o pretesti.
Io chiedo semplicemente conto di tutto ciò ai responsabili. E già che ci sto, lo chiedo pure a chi ci ha creduto “dal basso” nonostante le evidenze e gli appelli a farci ben caso.
Non faccio sconti a nessuno; nessuno può appellarsi ai “vincoli della fase”, tanto meno alla “beata” ingenuità.