da Angelo Ruggeri
PER ORA NON SIAMO ANCORA AL 18 BRUMAIO. Del resto anche “Napoleone il piccolo” fallì nei sui due primi tentativi di diventare Presidente per realizzare il suo programma presidenzialista e di rafforzamento dei poteri dell’esecutivo di governo e di tutti i poteri di vertice dello stato.
“Anche il fascismo ha le sue vie nazionali” (Togliatti)
QUANTO ALLA DRAGHIANA VIA FRANCESE AL PRESIDENZIALISMO, PER QUANTO SIA PERICOLOSO DRAGHI, NEMMENO COME CARICATURA E’ DOTATO DEI LINEAMENTI DI UN DE GAULLE.
Per intanto MATTARELLA e gli intriganti “quirinalisti” che lamentano che la Costituzione non dà poteri e non dice praticamente nulla sul capo dello stato, RICORDINO che questo non è per dimenticanza ma per voluta scelta e decisione dei Costituenti contro ogni forma di presidenzialismo, anche dell’antiparlamentare e gollista presidenzialismo francese. E RICORDINO che il presidenzialismo fu respinto e “bollato” come potere autoritario dalla Costituente dove, in assenza dei “neo”fascisti del MSI che invece lo sostenevano dall’esterno, fu proposto e sostenuto dal partito d’azione di CALAMANDREI – unico e vero sconfitto dell’Assemblea Costituente e che oggi politici, giornalisti, tellettual-In imbecilli celebrano come fosse il “padre” della Costituzione. E RICORDINO che anche l’unità indivisibile della Repubblica (che già era nello Statuto Albertino) che il capo dello stato deve rappresentare, non è un novità della Costituzione, e che non significa solo “non avere il dittatore” e “il ripristino dei valori della persona” (come diceva Scalfaro, da sempre della destra democristiana), perché le sue novità principali sono i Principi più qualificanti della Prima Parte, cioè quella sui “rapporti economico-sociali” e dunque la DEMOCRAZIA SOCIALE.
Angelo Ruggeri (Centro S. d’Albergo -Il Lavoratore)
Non sembrano essere passati 170 anni, ma anche Napoleone il piccolo fallì sia al primo che al secondo tentativo, e solo al terzo tentativo riuscì nel suo piano presidenzialista, di essere eletto presidente per realizzare un esecutivo forte e rafforzare i poteri di vertice dello stato. E’ cosi che cominciò il crepuscolo della Repubblica.
COMPLOTTO AL QUIRINALE
Per ora, invece, l’italico passaggio dalla cosiddetta seconda Repubblica del Piano P2 a quella del Piano PDue per realizzare la Repubblica di ”draghettopoli”, qualcosa non ha funzionato. Sia sul piano Parlamentare e politico che su quello occulto, si è inceppato il Piano dei poteri finanziari e capitalistici “forti”, siglato quando con l’impegno di passare il Colle al grande Draghi, Mattarella incaricò il “grande” Draghi, il più grande uomo della finanza, di formare il governo. Ma pochi hanno rilevato che Mattarella incaricò il “grande” Draghi celebrando i 130 anni dalla nascita di Antonio Segni, quello che fu il Presidente della Repubblica protagonista del “Complotto al Quirinale – Segni e De Lorenzo preparavano un colpo di Stato” (come titolò l’Espresso).
Senza alcun apparente motivo – chi mai celebra i 130 anni di qualcuno? – in sostanza Mattarella volle ricordare al Parlamento e al Paese, ma soprattutto al “grande” Draghi, che Segni era “contrario alla rieleggibilità del Presidente della Repubblica”, come per rassicurare Draghi, che lui, Mattarella, gli avrebbe lasciato libero il posto al Colle.
Ricordandogli anche che “L’emergenza richiede un governo”, cioè con le parole che usò anche Antonio Segni nella fase di emergenza di allora, per la quale Moro doveva assolutamente fare un governo, ma come lo voleva lui e per ottenerlo minacciò, altrimenti, di fare un governo sostenuto dai militari, come sostenne nell’alterco con Aldo Moro, che sotto minaccia fu così costretto a fare un governo senza alcun ministro della sinistra socialista del PSI e a rinunciare alla nazionalizzazione dell’energia elettrica.
RUMOR DI SCIABOLE
A sostegno di questo si fecero balenare e udire il “rumore di sciabole”, come disse Nenni, che lo seppe e lo disse solo anni dopo. Dopo che l’inchiesta sul Sifar (Servizio informazioni delle Forze Armate) aveva rivelato che erano state predisposte tutte le mosse necessarie per realizzare un golpe autoritario: “Abbiamo corso tutti il rischio di vivere, nel 1964, una notte come quella che hanno vissuto gli uomini politici in Grecia” (Luigi Anderlini).
Questo fu appurato anche se nessuno poteva immaginare, in quelle movimentate giornate, che i piani del generale De Lorenzo fossero in una fase così avanzata. Il 9 luglio, come risultò dai vari processi, De Lorenzo aveva già chiesto l’ autorizzazione di richiamare carabinieri in congedo. Ed erano pronti gli aerei, le navi, le basi dove trasportare e rinchiudere le persone “potenzialmente pericolose”. Esattamente come L’ Espresso aveva raccontato. Di diverso c’ era solo che il piano definito “E.S.” (Emergenza S) era in realtà il “Piano Solo”, messo in opera dal generale Giovanni De Lorenzo. Le reazioni naturalmente furono pesanti. Le smentite sdegnate si susseguirono a ondate successive, ma il fatto ormai era e rimane certo, e agli atti.
Non si può dire che Mattarella non abbia fatto di tutto per mantenere il patto per cui il “grande” Draghi accettò la Presidenza del Consiglio a condizione di poi passare al Colle: dalle ripetute dichiarazioni di Mattarella al postare gli scatoloni del suo trasferimento in corso. Di tutto hanno fatto i Ministri del governo trasformatosi nel Partito di Draghi; Ministri che infatti rispondono più a Draghi che hai loro partiti di provenienza (da Di Maio a Brunetta, al Ministro dello sviluppo economico proveniente da Cazzago, chiamato dall’interno della Lega “il cazzago”, e “cazzaghesi” quelli che come lui sono seguaci di Draghi e sono per la prima lega padana secessionista contro la lega nazionale di Salvini.
I FILO DRAGHIANI “CAZZAGHESI” NOSTALGICI DELLA LEGA PADANA E SECESSIONISTA CONTRO LA LEGA NAZIONALE DI SALVINI
Tutto quanto han fatto Mattarella e i membri del governo/partito draghiano non è bastato a realizzare lo scambio presidenzialistico tra i Presidenti della Repubblica e Presidente del governo fattosi partito – il partito di Draghi che ha come suo compito anche quello di far fallire quel che resta dei partiti, nell’idea che ormai non servono più nè i partiti nè la democrazia, dal momento che non può esserci una democrazia senza Partiti.
E’ fuori dubbio e risaputo che Draghi ci tenesse e volesse salire al Colle, sia per lui che per i poteri occulti e palesi che ha “dietro” e “davanti”, ma nemmeno tutti i suoi grembiulini (4 o 5 che siano) sono bastati ad impedire che, per la prima volta nella sua vita, non gli riuscisse di essere nominato nella carica per lui predisposta anche questa volta come le volte precedenti. Ma il Patto per cui Draghi accettò la Presidenza del Consiglio dei ministri a condizione di salire poi al Quirinale non è superato del tutto, ovviamente.
“FARE POLITICA SIGNIFICA FARE STORIA”
“Napoleone il piccolo” fallì nei sui due primi tentativi di diventare Presidente per realizzare il suo programma presidenzialista e di rafforzamento dei poteri dell’esecutivo di governo e di tutti i poteri di vertice dello stato. Ma poi, al terzo tentativo ci riuscì, dando cosi a Marx l’estro di scrivere una serie di lavori storici, come nel suo magistrale “Il 18 Brumaio di Luigi Napoleone” e una serie di articoli, che poi Engels riunì in opuscolo sotto il titolo: “Le lotte di classe in Francia”. Saggi brillanti e profondi di storiografia materialista, di analisi storica/teorica della situazione di ogni classe, e talvolta di vari gruppi o strati che esistono in una classe, mostrando con molta chiarezza perché e come “ogni lotta di classe è una lotta politica”, mostrando quale intricato tessuto di rapporti sociali e di gradi transitori da una classe a un’altra, dal passato all’avvenire, venga analizzato da Marx per calcolare e trarre i risultati dello sviluppo storico nel suo complesso. Testi che danno conferma della teoria di Marx circa la lotta di classe come motore degli avvenimenti, che trova la conferma e l’applicazione più profonda, universale e particolareggiata nella sua dottrina economica e nella teoria marxista dello stato; testi che danno una grande dimostrazione di cosa e come si scrive di storia, e anche di come “fare politica significa fare storia” come diceva Gramsci. Ed è proprio e solo alla luce di quel terzo tentativo, che fu possibile riesaminare e comprendere appieno gli avvenimenti e le vicende degli anni precedenti, come non si sarebbe potuto fare prima che l’epilogo del terzo tentativo e del colpo di stato coronato da successo, riuscisse a dimostrare quello che precedentemente poté solo essere prospettato come una minaccia.
Così anche oggi da noi, possiamo prospettare la minaccia di un “presidenzialismo di fatto” (poi, successivamente, magari anche di diritto) “implicitata” dalla candidatura di Draghi alla Presidenza della Repubblica ed esplicitato dal Ministro di Cazzago, a cui qualcuno gli fece dire che “Draghi può guidare la carovana anche dal Quirinale”, dove nell’idioma varesotto, rozzo e barbaro del cazzaghese, per “carovana” si intende “il governo”.
Tale minaccia è stata e resta prospettata, ma non va nè dimenticata nè considerata definitivamente superata ed esclusa, solo perché Il “grande Draghi” al primo tentativo si è rivelato un Draghi un po’ più “piccolo”, come capitò anche a “Napoleone il piccolo”.
LA “LEGGE TRUFFA” DEL “MATTARELLUM”
Non di meno non si può escludere il pericolo prospettato, anche perché al Colle c’è pur sempre Mattarella. Il quale, va ricordato, non è solo colui che si è assimilato a quel centro destra che nel 1953 tentò di introdurre un premio di maggioranza, analogo nello spirito se non nella forma a quello fascista del 1923, per la coalizione che avesse superato il 50% e che fu giustamente bollato come Legge Truffa. Contro quella “truffa” si è vinto perché si combatté frontalmente, in modo anche ideologico e limpido e non tatticistico, ma Leopoldo Elia costituzionalista del centrosinistra, inventore dell’anticomunista conventio ad excludendum, ha invece rivendicato quella “truffa” come merito storico della DC e del centro destra di allora, cosicché ecco che una “nuova DC”, ma di destra (cioè il Pds-DS-PD) con Mattarella e col suo anticostituzionale “mattarellum” del 1993, ha ricopiato dalla legge elettorale toscana suggerita da Bassanini, persino peggiorando l’anticostituzionale principio maggioritario della Legge Truffa, dando il premio di maggioranza assoluta in Parlamento anche restando sotto il 50% dei voti.
I GOLPE DI MATTARELLA
Oltre a questo, ancor più va ricordato che Mattarella in almeno due occasioni ha assunto il ruolo di arbitro della politica, anziché limitarsi al ruolo di garante come prescrive la Costituzione: quando ha rifiutato di “promulgare”- come è scritto nella Costituzione – la nomina di Savona a Ministro dell’Economia, per poi far scegliere qualcun altro di suo gradimento. E ancora quando nei giorni decisivi della crisi ha imposto un governo in tandem con Draghi, come dicono i quirinalisti, perché nel dire non contate su di me per una rielezione al Quirinale tra un anno, Sergio Mattarella ha celebrato il capo dello Stato Antonio Segni che diede l’incarico a Moro come fosse un mandato imperativo suo personale di Segni, che, come poi si seppe, si reggeva sulla minaccia di fare “altrimenti” un colpo di stato.
Quindi, ricordare un tale precedente e protagonista è stato come mandare un messaggio al Parlamento: quello dato a Draghi era un mandato per formare a tutti i costi un governo, sotto la minaccia di sciogliere il Parlamento, quindi in condizioni diverse ma simili al mandato di Segni a Moro sotto la minaccia di golpe se non si fosse fatto un governo come lo voleva lui.
In ogni caso Draghi, coi suoi 4 o 5 grembiulini, “grande” o “piccolo” che sia, non può certo rinunciare a ciò che era nei patti, al Quirinale promessogli e pattuito. Per cui stante che Mattarella è un contraente del Patto concordato, potrebbe sempre dimettersi in qualsiasi momento che si presenti favorevole per lasciare la poltrona quirinalizia al “piccolo” ma “grande” Draghi.
IL PRESIDENZIALISMO NORD AMERICANO SOSTENUTO DA CALAMANDREI E DAI NEOFASCISTI, BOCCIATO E BOLLATO DALL’ASSEMBLEA COSTITUENTE
Intanto è bene ricordare a Mattarella e agli intriganti “quirinalisti”, che si lamentano perché nella Costituzione “sul Presidente della Repubblica non c’è pressoché niente, nè poteri nè funzioni, salvo quello di rappresentare l’unità nazionale”, che questa non è una dimenticanza ma una scelta voluta e decisa dai Costituenti, contrari anche alla più minima forma di presidenzialismo. Anzi si ricordino che anche il compito di “capo dello stato e rappresentante dell’unità nazionale” (Art. 87) era già nello Statuto Albertino, e quindi non è questa una novità della Costituzione, come sembrava a coloro che come Ciampi e i suoi successori appartengono a quella impostazione ideologica – a cui si è andati cedendo con uno statalismo/liberista, perché attuato con leggi dello stato, quindi non è nè liberismo nè “neo-liberismo” – che fu sconfitta alla Costituente dove, in assenza dei neo-fascisti che sostenevano il presidenzialismo dall’esterno della Costituente, quel partito azionista di Calamandrei (e di La Malfa, Bobbio, Ciampi, Riccardo Lombardi, Altiero Spinelli, Bruno Trentin, Vittorio Foa, Lusso, Reale, Valliani, ecc..) che aveva persino irriso al significato sociale e alla natura, “programmatica” e “di lotta” della democrazia sociale e aveva puntato sul PRESIDENZIALISMO di tipo NORD AMERICANO, fu sconfitto, bocciato e bollato dalla Costituente come “potere autoritario”.
Viceversa la nostra Costituzione è anti presidenzialista, quindi di DEMOCRAZIA SOCIALE proprio perché non si limita ad esigere che ai diritti di libertà e alla eguaglianza giuridica, si aggiungano nuovi diritti sociali (ad es. com’era in quellaweimeriana, oltretutto presidenzialista, della socialdemocrazia tedesca), quasi che gli uni possano realizzarsi e concepirsi senza gli altri, come si fa credere con le libertà e i diritti formali borghesi.
IL “CASO ITALIANO” DI DEMOCRAZIA AVANZATA
Tutto questo viene taciuto durante i baccanali elettoralistici, perché la destra e la sedicente “sinistra”, al di là delle verbosità mediatiche, sono unite dalla comune ideologia che pone il mercato al di sopra (e fuori) della democrazia, avendo assunto la cultura liberal-democratica e anticomunista, che aveva bollato come “anomalo” il caso italiano ritenendolo un caso di “democrazia sociale troppo avanzata”, con ciò abbandonando i principi più qualificanti della Prima Parte, cioè quella sui “rapporti economico-sociali”.
Sicché si è arrivati ad interpretare la Costituzione italiana come se essa significasse solo dire “non avere il dittatore” e il ripristino dei valori della persona, come diceva Scalfaro, che del resto non ha mai nascosto di essere da sempre un conservatore e fin dalla Costituente di quella destra DC, che non fu certo protagonista dell’elaborazione costituzionale scaturita dal confronto tra teorie politiche (quindi nè giuridiche nè giuridiciste) dominante del confronto tra forze di sinistra sociali e politiche di ascendenza marxista e comunista e quelle di ascendenza cattolico sociale.
Del resto – e non va dimenticato – la via francese all’autoritarismo presidenzialista come quella attuata in Francia nel 1958, grazie alla presenza del generale De Gaulle sino al 1969, è sempre presente nella mente dei nemici della nostra Costituzione. Proprio per la tendenza della pseudo “sinistra” post-anti-comunista a sottacere il caso francese, si pone l’esigenza di fare un richiamo chiarificatore sulla gravità dei limiti palesati a “sinistra” di fronte alla strategia delle “riforme istituzionali” (che ha finito con assumerle dopo la morte di Berlinguer), se posto – tale richiamo – in relazione a quel che, negli anni Ottanta è stato valutato in modo difforme da quelle che erano state le coerenti posizioni assunte negli anni Sessanta rispetto al fenomeno autoritario e antiparlamentare del gollismo.
IL PRESIDENZIALISMO FRANCESE E GOLLISTA RIPUDIA IL PLURALISMO SOCIALE DELLO STATO PLURICLASSE . “Anche il fascismo ha le sue vie nazionali”
Occorre rileggere Togliatti per cogliere un giudizio sul gollismo dal momento del suo tradursi in fatto politico-istituzionale a quello del suo assestamento con un tipo di regime “semi-presidenzialista”, che esprime le sofisticazioni cui il potere dominante ricorre per creare regimi “autoritari” che evitino sia i limiti dello stato liberale cosiddetto monoclasse, sia gli estremi del regime reazionario della società di massa cosiddetta pluriclasse.
Giudizio formulato in nome delle analisi differenziate proprie di un corretto metodo marxista, precisando che “anche il fascismo ha le sue vie nazionali”, sì da affermare dapprima che non si può dire che il regime instaurato da De Gaulle sia già un regime fascista, “in quanto è stato colpito e seriamente l’istituto parlamentare ” ma esistono ancora le fondamentali libertà democratiche (“Le vie nazionali al fascismo”, in “TOGLIATTI, scritti sul centrosinistra, 1958-1964”, Cooperativa Editrice Universitaria e Istituto Gramsci, Firenze, 1975), e poi mettere in luce che è stato un tentativo coronato da successo di modificare la natura stessa del regime politico democratico con un regime autoritario, avente un seguito tra le masse con un’ondata di sciovinismo colonialistico e di qualunquismo politico “che può evolvere verso il fascismo“.
E che, a quanto mostravano i risultati del referendum plebiscitario francese, era penetrato in parte “anche nella classe operaia, anche perché uomini politici e partiti che si dicevano di sinistra hanno al governo e nelle assemblee parlamentari una politica di destra, ivi incluse debolezze e deficienze dello stesso partito comunista”, Togliatti metteva in guardia da una serie di operazioni che, pur avendo la stessa sostanza e gli stessi obiettivi finali di distruzione della democrazia si compiano, fingendo un rispetto ipocrita per gli aspetti esteriori degli ordinamenti democratici attuali. Mantenendone in piedi, per così dire, la scorza, ma svuotandoli in realtà di qualsiasi contenuto di effettiva democrazia, allo scopo di rendere impossibile che sul terreno della democrazia le masse popolari guidate dai loro partiti lottino per avanzare verso il socialismo, dato che la Costituzione francese della “V repubblica”, riaffermati i “grandi principi”, faceva scomparire dal testo costituzionale i diritti sindacali e sociali e ha concentrato il potere in un’ autorità personale dietro alla quale ci sono i rappresentanti del grande capitale. (idem). Rilevando, bensì, che “nemmeno come caricatura” ci fossero personaggi dotati di lineamenti di un De Gaulle, Togliatti preventivava che anche se magari non si pensa “a tentativi di tipo fascista (…) il pericolo è più mascherato, ma forse per questo più insidioso, “perché si tratta infatti del tentativo di introdurre gradualmente, nella nostra vita politica, pratiche e costumi che sono contrari ai principi democratici e all’ordinamento istituzionale che sono usciti dalla vittoria sul fascismo e sono la base della nostra Repubblica“(idem).
IL GOLPISMO MASCHERATO DELLA VIA FRANCESE
Proprio per questo suo essere mascherato ma ugualmente insidioso per la democrazia, la via francese al rovesciamento presidenzialistico della nostra Costituzione era e rimane sempre presente nella mente degli uomini e delle forze politiche italiane, che fin dalla nascita della Costituzione nel 1948 hanno da sempre mirato alla sua delegittimazione e a cercare una strada per spostarla su un’asse revisionista di destra e della destra, qual è la via francese al presidenzialismo.
Non è per caso infatti, anche nei giorni della pratica parlamentare per la nomina del capo dello stato e successivamente con un ddl della c.d. “giovane Italia” della Meloni, che l’estrema destra italiana, mentre era in corso l’Assemblea Costituente, con il MSI di Michelini e poi di Almirante, ha sempre assunto la soluzione “presidenzialista” di tipo gollista come un espediente utile a porre in causa la Costituzione, per realizzare una “revisione” senza coincidenze strette con il fascismo, ancorché nello stesso MSI la linea presidenzialista si ispirasse alla proposta mussoliniana come contrassegno della Repubblica Sociale di Salò.
SECONDA REPUBBLICA, NUOVA REPUBBLICA E BIPOLARISMO VENGONO DALLA DESTRA REAZIONARIAIA DEGLI ANNI ‘60 DEI TENTATIVI DI GOLPE E DI PIAZZA FONTANA
Tutti gli slogan che si sono fatti strada nella situazione immediatamente precedente la fase degli anni 1968-‘77, in cui dilagò il potere democratico di massa dentro e fuori i luoghi di lavoro, e poi in quella precedente l’attuale fase aperta dalla cancellazione della legge elettorale proporzionale, erano stati coniati negli anni che vanno dal 1964 al 1969 per una seconda repubblica o per una nuova repubblica fondata su un bipolarismo, destinato sia a sconfiggere definitivamente i comunisti, sia a spostare la DC dalla sua posizione di centro ad una posizione oggettivamente di destra, per poi sostenere puntualmente che “destra” e “sinistra” possono risultare vecchie etichette di epoche tramontate, come si sente dire tutt’oggi, ancor più da quando è entrato in carica il governo Draghi.
Sotto l’incalzare craxiano per una “grande riforma”, annunciata soprattutto per tenere in posizione dipendente le altre forze, e specialmente il PCI che, dopo la morte di Berlinguer e diventando Pds-DS-PD, ha fatto venire meno un bastione della democrazia e della Costituzione, contribuendo alla definitiva rinuncia del ruolo costituzionale dei partiti e quindi all’attuazione della strategia costituzionale.
MAGGIORITARIO A DOPPIO TURNO E PRESIDENZIALISMO ALLA FRANCESE, NEI COMUNI E NELLE REGIONI CONTRO LA FORZA ISTITUZIONALE ACQUISITA DALLE ASSEMBLEE ELETTIVE
In tale sfondo, si colloca una posizione che diverrà più insidiosa perché, oltre ad organizzazioni estreme come quelle citate (cui va aggiunta “Pace e libertà” di Edgardo Sogno), un posto particolare riveste la nascita in seno alla DC del gruppo “Europa 70” che elaborò proposte più analitiche destinate, come in effetti avverrà, a trovare consensi rivelatisi più facili del previsto – come l’ipotesi di legge elettorale maggioritaria a doppio turno e di elezione diretta dei sindaci e dei presidenti di Regione, in attesa di quella del capo dello stato – pur di demonizzare il ruolo della proporzionale e dei partiti come causa di irresponsabilità dei governi di fronte alla forza istituzionale conseguita dalle Assemblee elettive, e di esautorazione del potere di scelta dei cittadini, esattamente gli stessi motivi che sono stati assunti via via sul finire degli anni Ottanta per introdurre la legge elettorale maggioritaria.
Ma pur in una fase così anti democraticamente deviata come quella segnata dall’abolizione e dall’abbandono da parte delle pseudo “sinistre” della “proporzionale PURA”, il caso italiano si apre e mantiene prospettive diverse da quelle del caso francese. Caso e via francese che possono realizzarsi in Italia solo se la scelta presidenzialista viene perseguita non dall’estrema destra ma da forze e soggetti capaci di mascherarla e di mascherarsi come soggetti superpartes, a cui si attribuisce un ruolo provvidenziale e di essere un’indispensabile risorsa per soddisfare i mercati e il sovranismo europeista e atlantista. Cioè, una posizione oggettivamente di destra, ma capace di far credere e sostenere che “destra” e “sinistra” siano vecchie etichette di epoche tramontate, includendovi anche l’antifascismo che, sommerso dalla propaganda tesa a non distinguere tra fascisti e antifascisti, ridotto ai riti ufficiali relegati all’ANPI, da una sedicente “sinistra” che nè lo ricorda nè lo valorizza come fondamento della Repubblica, in uno spirito di progressiva assuefazione, ormai, al primato dell’economico sul politico, e dell’impresa sulla democrazia, l’effetto trascinato sul piano più generale dei valori porta a profilare il superamento dell’ideologia dell’antifascismo. Secondo gli interessi che da tempo l’estrema destra con il MSI ha marcato, tanto da trovare in un famoso incontro Craxi-Almirante la sanzione di un’ispirazione presidenzialista risalente nei “neo”fascisti già al 1946, ma che ha portato verso interessi politici di estrema destra l’aspirazione presidenzialista “implicitata” nelle “riforme istituzionali” lanciate negli anni ‘80 e ‘90 da Spadolini e da Craxi, “implicitata” anche nel tentativo del passaggio presidenzialista di Draghi, da Presidente del governo interpretato come fosse un premierato, a Presidente e capo dello stato, che si proponeva di guidare il governo anche dal Quirinale.
NEL SOVRANISMO EUROPEO SI CANCELLANO LA DEMOCRAZIA E LE COSTITUZIONI SORTE DALLA SCONFITTA DEL NAZIFASCISMO
Tale evoluzione/involuzione della democrazia in Italia, è resa feconda dalla progressiva istituzionalizzazione a livello “sovranazionale” di un potere economico che, fuori dalle dimensioni nazional-statali (ove i problemi sociali sono stringenti), è riuscito a strappi ma con continuità a consolidare l’esercizio di un potere duplice e combinato, anche sul piano delle fonti giuridiche, a favore della grande impresa: quello “comunitario”, che conduce settori politici e culturali da tempo a un’interessata ma miope impostazione, a parlare di “stati uniti d’Europa” e comunque di “stato federale”: quadro che dal 1979, con la creazione dello SME e con la prima elezione del Parlamento europeo, ha indotto la pseudo “sinistra” a rimuovere le precedenti pregiudiziali del PCI avverso alla CE. Agevolando così sotto tale versante, una nuova contestazione – anche formale – circa la sopravvivenza autonoma delle costituzioni dei singoli stati; con effetti tanto più devastanti in Italia; se è vero che la sua Costituzione è la più avanzata tra quelle dei sistemi capitalistici.
IN 70 ANNI NON SONO RIUSCITI AD ABBATTERE LA COSTITUZIONE PERCHE’ IL VALORE SUPREMO DI QUELLA ITALIANA E’ LA GIUSTIZIA SOCIALE NON LA LIBERTA’ DI MERCATO
Se fino ad oggi non sono riusciti a sanzionare in forma definitiva un potere di tipo bonapartista o cesarista come il “semi” presidenzialismo francese – anche se non è detto che prima o poi non ci riescano, a furia di riprovarci -, è perché per l’Italia risulta oggettivamente più difficile riuscirci, in quanto per l’Italia infatti é la giustizia sociale il valore supremo che la Costituzione canonizza, non già la libertà di mercato, che viceversa è l’asse dell’impostazione istituzionalizzata del potere economico, come dal trattato di Maastricht risulta sancito.
Libertà di mercato sancito a Maastricht che va consolidando in Europa quello che con tanta disinvoltura politici e studiosi chiamano “deficit democratico”, a favore del ruolo “indipendente” delle banche di stato e per esse della Banca Centrale Europea.
Sicché per comprendere l’involuzione della democrazia, portata agli esiti di oggi in cui si rischia una sovversione di fatto o istituzionalizzata della Costituzione della Repubblica delle autonomie locali e sociali, che si vorrebbe cancellare concentrando nel vertice centralistico delle Regioni il potere del territorio locale e sociale, occorre prendere le mosse dalle vicende degli anni Ottanta che, seguendo le traiettorie fornite dagli indicatori sopra segnalati, hanno via via assunto i connotati derivanti da quel rovesciamento strategico di valenza costituzionale per cui ancora una volta sarebbe e si vorrebbe che fosse il dato “istituzionale“ a qualificare l’ordinamento giuridico di qualunque livello, e non già i suoi principi sociali, se tali principi – beninteso – sono diversi da quelli di tutela della proprietà e dell’impresa, ed anzi mirano proprio a confliggere con essi.
Angelo Ruggeri