Fabio Massimo Parenti
L’ultimo G7 andato in scena a Carbis Bay, nel Regno Unito, ha toccato molti punti, tra cui non poteva mancare la Cina. Peccato che, anziché definire le risposte politiche alle sfide globali ed essere una piattaforma per indirizzare il dibattito multilaterale, l’ultimo G7 ha assunto i connotati di una palese crociata anti-cinese.
Joe Biden, appena atterrato dal suo Air Force One, ha subito chiarito la posizione e le intenzioni degli Stati Uniti: “America is back”. Ovvero: gli Stati Uniti sono usciti dall’isolamento autoimposto e hanno intenzione di riprendere in mano le redini della geopolitica globale. Altro che cooperazione, mutui benefici e ordine internazionale: Washington ha dato l’impressione di voler sfruttare il meeting britannico come un’opportunità per salvaguardare il sistema basato sulle regole americane (il classico Washington consensus) e legare, quanto più possibile, i Paesi occidentali ai propri interessi politici ed economici. Questo non ha niente a che fare con il multilateralismo, visto che il vero multilateralismo dovrebbe basarsi sui principi espressi nella Carta delle Nazioni Unite e non tanto sullo pseudo-multilateralismo al servizio di un blocco di pochi Paesi. In un mondo complesso come quello odierno, tutti i Paesi, grandi o piccoli, forti o deboli, poveri o ricchi, dovrebbero essere considerati sullo stesso livello. Ed è esattamente questa la posizione di Pechino. Allo stesso tempo, gli affari mondiali dovrebbero essere gestiti attraverso la consultazione di tutti i Paesi, e non solo dei più ricchi o affini agli Stati Uniti.
Invece di cercare la cooperazione con Pechino, così da contribuire, in maniera complementare, a risolvere i problemi globali più spinosi, il G7 ha fatto di tutto per asserire una rivalità senza senso, data l’organizzazione dell’economia mondiale nel segno della interdipendenza globale, nonché la non interferenza e la non belligeranza cinese. Per infastidire la Cina, gli Stati Uniti hanno pensato bene di mettere sul tavolo la Build Back Better for the World, una sorta di progetto infrastrutturale che, nelle intenzioni di Biden, dovrebbe fungere da alternativa alla Belt and Road Initiative. Così facendo e senza rendersene conto, gli Usa dimostrano di voler emulare la Cina, riconoscendo nei fatti le ragioni, la bontà ed il successo dell’iniziativa cinese. Peraltro, cosa ai più ignota, la Cina ha sempre sostenuto che la BRI è una proposta al mondo, sperando che altri paesi potessero seguirne la logica a medio e lungo termine per riequilibrare in modo costruttivo le relazioni internazionali. Se il progetto proposto dagli Stati uniti fosse serio, sarebbe un’ottima notizia anche per la Cina. Tuttavia, temiamo che abbia fondamenta deboli e deficit di pianificazione.
Non solo: c’è stato spazio anche per una ferma condanna verso “gli abusi” contro i diritti umani tanto a Hong Kong quanto nello Xinjiang. Si è parlato del rifiuto di acquistare i beni prodotti mediante il suddetto sfruttamento di ipotetici detenuti condannati ai lavori forzati, e perfino della necessità di contrastare l’economia della Cina.
Allo stesso tempo, le potenze del G7 hanno espresso un sostanziale interesse comune a collaborare con Pechino per la lotta ai cambiamenti climatici e la tutela della biodiversità, ignorando che la Cina sta già contribuendo in maniera fondamentale ad entrambe le cause citate. Dulcis in fundo, sotto l’influsso degli Stati Uniti sono state toccate altre due tematiche: il Mar Cinese Meridionale, dove si è chiesto alla Cina di mantenere pace e stabilità, e l’origine del Covid, per il quale è stato evocato uno studio trasparente.
Quelli appena elencati sono palesi tentativi di danneggiare non solo la Cina, ma anche le relazioni tra la Repubblica Popolare e gli altri Paesi del mondo. Eppure Biden e gli Stati Uniti dovrebbero ricordarsi che la Cina sta già lavorando all’insegna del vero multilateralismo e della cooperazione internazionale, nel tentativo di risolvere i problemi globali che attanagliano l’intera umanità. Per quanto riguarda la Belt and Road Initiative, sono ormai tantissime le nazioni che hanno aderito al progetto infrastrutturale promosso dal presidente Xi Jinping nel tentativo di creare relazioni win-win e unire economie e culture tra loro differenti. Citiamo anche l’Italia, primo e fin qui unico Paese del G7 ad aver firmato il MoU sulla Belt and Road Initiative. Quanti Paesi saranno disposti a sacrificare i benefici della BRI per sposare un’idea, quella americana, creata su due piedi soltanto per far allontanare i governi occidentali da Pechino? Per quanto riguarda l’economia cinese, dobbiamo sottolineare come la bilancia commerciale tra Cina e Unione europea, in marzo, sia tornata ai livelli pre-pandemici nel primo trimestre, Il commercio dell’UE con la Cina ammonta a 159,7 miliardi di euro, fra cui l’export alla Cina pari a 54,7 miliardi e l’importa pari a 105,1 miliardi. Ancor più facile risulta confutare le altre tematiche anti-cinesi sollevate nel corso del G7. Per quanto riguarda le origini del Covid, forse Washington si dimentica che, qualche mese fa, un team dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha indagato, in lungo e in largo, ogni angolo di Wuhan. E che gli stessi uomini dell’Oms non abbiano indagato in nessun altro luogo al di fuori della Cina. Pechino ha inoltre dato vita alla Via della Seta sanitaria, aiutando i Paesi più poveri, distribuendo loro mascherine, kit, medici e vaccini. Inutile nascondersi dietro a un dito: Cina ed Europa sono partner imprescindibili, ed entrambe le parti ne sono consapevoli. Gli Stati Uniti dovranno presto farsene una ragione.
2021-06-16