Ennio Remondino
Verso il millesimo giorno di guerra in Ucraina, Avvenire, sensibilità cattolica, coglie segnali di apertura al dialogo. Come il maggiore scambio di prigionieri tra Est e Ovest dai tempi della Guerra fredda. Un evento possibile solo se «supervisionato e approvato direttamente da Joe Biden e Vladimir Putin, con la mediazione operativa del leader turco Erdogan», rileva Andrea Lavazza.
Mentre, altro fronte e altra fonte di lettura, il discusso leader ungherese Orban non ruolo scomodo presidente di turno Ue, accusa l’Europa di aver rinunciato ai propri interessi, seguendo ciecamente la politica estera americana anche a costo della propria autodistruzione economica. Ed è difficile dare torto alla destra che per prima lo denuncia.
Comunicazione Russia Stati Uniti riallargata
Non molti giorni fa la telefonata del nuovo ministro della Difesa russo Andrei Belousov al collega americano Lloyd J. Austin per chiedere conto di una programmata operazione ucraina molto dentro il territorio russo, svelava il New York Times. Le due superpotenze, quando serve si parlano. E non è detto che a nessuna di loro convenga lasciare andare troppo avanti la guerra su campo, sperando di incassare tutto il ‘monte premi’. Le operazioni sul campo sembrano molto favorevoli a Mosca nella recente avanzata nel Donetsk , dove l’Armata russa sta per tagliare le linee di rifornimento del nemico, ma ad un prezzo spaventoso in uomini e mezzi. Dalle due parti.
Ucraina super armata ma dissanguata
Se il principale problema di Kiev sta diventando la carenza di soldati da schierare al fronte, è anche vero che in queste ore sono operativi i primi caccia F-16, e la possibilità di ridurre i raid ostili. Poca cosa ma ulteriore alto prezzo da pagare sui due fronti. Ed ecco che Zelensky –sottolinea Avvenire- «inizia a mandare segnali di ragionevolezza a terze parti (dalla Cina all’India) per non mostrarsi arroccato su posizioni che sono senza appoggi nel Sud globale e nel sostegno alla sua causa dello stesso Occidente». Questo mentre –poco sottolineato dalla ‘grande stampa’- la Germania, tra le principali finanziatrici dell’Ucraina, si prepara a dimezzare il suo sostegno in soldi ed armamenti, mentre dagli Stati Uniti incombe l’incognita Donald Trump.
Davvero Trump a tutto Putin?
Certo, la coppia presidenziale repubblicana (Vance in particolare) ha dato indicazioni forti di neo isolazionismo Usa. Ma, avvertono gli analisti seri, «Non bisogna, tuttavia, ridurre a macchietta una potenziale seconda Amministrazione Trump». Trump potrebbe imporre a Nato e baltici impauriti concessioni alla Russia per congelare il conflitto, ma non troppo. Considerazione di Lavazza: «Regalare la vittoria a Putin sarebbe molto peggio del ritiro di Biden dall’Afghanistan e avere le truppe di Mosca al confine con la Polonia non è esattamente nell’interesse nazionale americano». Un difficile equilibrio tra dare ad avere. «Ecco allora che qualche spiraglio potrebbe offrirsi alla diplomazia in questo frangente complesso e anche confuso. E anche se i ‘falchi’ sono ancora maggioranza su entrambi i versanti». Ma la prospettiva di un 2025 peggiore di oggi, fa sperare nella ragionevolezza.
E ora il ‘pessimo Orban’
La guerra in Ucraina, secondo Orbán, non è solo un conflitto regionale, ma un evento che ha rivelato la realtà nascosta delle relazioni di potere globali, rileva Giuseppe Gagliano su InsideOver. L’Ucraina che nonostante la corruzione endemica e la fuga di milioni di persone, è diventata la ‘frontiera militare orientale dell’Occidente’. Mentre la Russia ha smentito molte delle aspettative occidentali e Nato, e modernizzandosi si è rivelata resiliente dal punto di vista tecnico ed economico. Mentre resta ferma e perdente l’Unione Europea e alla sua politica di allineamento con gli Stati Uniti.
Orbán come da suo stile esagera, ma non ha tutti i torti, mentre denuncia un nuovo ‘asse di potere’ in Europa, che include Londra, Varsavia, Kiev, i Paesi baltici e gli scandinavi, riducendo la rilevanza politica della Germania e della Francia. L’Italia non risulta citata.
02 Agosto 2024