La Repubblica, pagine di Bologna, pubblica oggi 15 marzo ’15 un articolo di Valerio Varesi secondo il quale a Paride Mori è stata conferita l’onorificenza per le vittime delle foibe il 10 febbraio u.s. da parte del vice primo ministro Graziano Delrio, della Presidente della Camera Laura Boldrini, e alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Paride Mori, fascista convinto, a quarant’anni fu militare della Repubblica di Salò col grado di capitano del Battaglione “Mussolini”, reparto fascista di bersaglieri della RSI schierato nei territori del litorale adriatico al comando diretto dei tedeschi, e morì in uno scontro coi partigiani il 18 febbraio 1944 in Val Baccia (zona di Gorizia), non finì affatto nelle foibe, nè nel settembre-ottobre ’43 nè nel maggio (o dopo) ’45.
Sotto, il link per accedere all’articolo sulla Repubblica Bologna on line
<http://bologna.repubblica.it/cronaca/2015/03/15/news/boldrini_e_delrio_onorano_il_repubblichino_per_il_sacrificio_offerto_alla_patria_-109549839/>
L’articolo in rete, per altro, appare ora modificato rispetto all’originario di poco fa, ora contiene una presa di distanza da parte della Boldrini.
“Il caso Paride Mori” scoppiò nell’estate 2010 quando il Comune di Traversetolo (PR), dove Mori era nato e vissuto fino a 42 anni, gli intitolò una via. Il Direttore Minardi dell’Istituto Storico della Resistenza di Parma scrisse in proposito una lettera alla Gazzetta di Parma che una decina di giorni dopo gliela pubblicò. A questa prima denuncia ne seguirono diverse altre. Il Comune di Traversetolo fu costretto a tornare sui suoi passi e il cartello stradale della via dedicata a Mori fu rimosso poco dopo dalle stesse autorità del Comune.
Nondimeno famigliari e amici di Mori hanno insistito ancora, fino all’onorificenza avuta nientemeno che dai capi del Governo e dello Stato. Della Repubblica democratica nata dalla Resistenza. Un falso storico grossolano. Un’offesa profonda alla Resistenza antifascista.
Si alzi ancora più forte la protesta di tutti gli antifascisti! Nessuna medaglia della Repubblica a Mori e fascisti come lui!
Giovanni Caggiati
In allegato le due lettere dell’ISREC di Parma al giornale dell’estate 2010.
lettera 1a di Minardi sulla vicenda di Paride Mori
lettera 2a lettera di Minardi sulla vicenda Paride Mori
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IN ONORE DI PARIDE MORI
Da testimonianza dei sopravvissuti: Campoccia Arturo Salvatore, NA JURIS! , Quando la storia sa di leggenda, Edizioni CEN, Roma 1956, pagina 56
“La mattina del 18 febbraio 1944, mentre Paride Mori quale Comandante della terza Compagnia di stanza a Tolmino si reca a rapporto in motocicletta a Santa Lucia, a metà strada viene ucciso assieme al suo motociclista Caporal-maggiore Costantino Di Marino.
Un quarto d’ora dopo, i due corpi orribilmente crivellati di colpi vengono raccolti con un piccolo carro armato e trasportati al Comando di Battaglione”.
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Da testimonianza dei sopravvissuti: Campoccia Arturo Salvatore, NA JURIS! , Quando la storia sa di leggenda, Edizioni CEN, Roma 1956, pagina 57
“Tutti volevano andare ai suoi funerali, tutti volevano portare a spalle quella gloriosa Salma.
Quel giorno gli slavi non ebbero neppure il coraggio di appoggiare il naso tra le fessure per vedere passare il corteo funebre.
I Bersaglieri avevano tutti gli occhi lucidi di pianto e qualcuno singhiozzava.
Addio Capitano Mori! Addio fratello di tutti. Come lo chiamavano i suoi ragazzi. Vecchio Bersagliere dal cuore ardente che con l’esempio aveva alimentato la fede ed il coraggio in tutti quelli che gli avevano combattuto a fianco.
La sua Salma era appesantita da tanto piombo quanto ne avevano ritenuto necessario i nemici per stroncare quella tempra eccezionale di soldato.
E nel piccolo Cimitero di Guerra sul Monte di Santa Lucia ebbe l’onore che si richiede per un soldato eccezionale: la scarica a salve sembrava non dovesse più terminare, il plotone sparò anziché un colpo, due ed addirittura tre. Poi, quando la pesante scia di proiettili si perse contro le montagne, sul tumulo di terra fu piantata una Croce nera con il suo elmetto piumato”.
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Da: Alberto Zanettini, Paride Mori Capitano dei Bersaglieri, Ed. Donati, Parma 2013, pag. 147
“Nato nel 1902, dotato di solida cultura classica, invece di dedicarsi all’insegnamento come i suoi studi gli permettevano, si è dedicato sin da giovane al movimento sindacale affermandosi in breve per la sua acutezza, il suo raro equilibrio e la sua chiara intelligenza.
Dopo avere ricoperto posti di responsabilità minori, viene nominato Ispettore, e dopo diverse sedi raggiungeva la zona di Verbania dove non tardava ad affermarsi quale ottimo dirigente di masse lavoratrici.
Sindacalista convinto ed amante del popolo lavoratore del quale sapeva difendere con energia ed entusiasmo i diritti, non transigeva sull’adempimento dei doveri.
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Dopo l’onta di tradimento che si abbatté sull’Italia non ebbe un attimo di esitazione nello scegliere la sua via e continuò la lotta che aveva iniziato con tante luminose speranze”.
Le circostanze esatte della morte di Mori sono ininfluenti rispetto alla sua vicenda storica. La storia è l’argomento centrale e discriminante (e non la pietà umana che può essere riconosciuta anche al nemico, e che non è motivo per la concessione di onorificenze da parte dello Stato). E la storia di Mori è quella di un fascista convinto, combattente volontario e non più giovanissimo per la RSI, cioè per la repubblichina italiana al servizio della Germania nazista e sostenuta dalla Germania nazista, e in un reparto militare sotto il comando dei Tedeschi. Questo non è certo “italianità” e “amor patrio” per l’Italia! La Jugoslavia, ovvero la Resistenza Jugoslava con l’Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia guidato da Tito, aveva tutte le ragioni per difendersi e combattere contro l’Italia, non contro l’Italia genericamente ma contro l’Italia fascista che l’aveva aggredita e occupata militarmente e in modo feroce e crudele. Secondo la Commissione per i crimini di guerra delle Nazioni Unite ci sono stati allora in Jugoslavia oltre 700 criminali di guerra italiani dell’esercito fascista (a cominciare dai generali fascisti Roatta e Robotti), nessuno dei quali è stato mai consegnato alle autorità jugoslave che ne avevano fatto richiesta nè condannato o processato in Italia. Questa è la storia. Che ha un fondamentale momento d’inizio il 10 giugno 1940 con l’entrata in guerra dell’Italia di Mussolini al fianco della Germania di Hitler. E’ stata l’Italia fascista ad aggredire la Jugoslavia ed occuparne suoi territori senza che la Jugoslavia avesse fatto alcun male all’Italia, non il contrario! Ben altra “italianità” e amor patrio per l’Italia, per l’Italia democratica antifascista che poi a guerra terminata scelse la Repubblica e scrisse la Costituzione del 1948, hanno dimostrato i 40.000 soldati italiani che l’indomani dell’8 settembre ’43 hanno deciso di combattere, col tricolore italiano, contro il nazifascismo insieme all’Esercito di liberazione jugoslavo.
Giovanni Caggiati