Il ricordo del giudice ragazzino, Livatino: “I colletti bianchi stringono accordi con politica, imprenditoria e massoneria”
Tracciato un quadro personale e approfondito dell’uomo che sta dietro la figura istituzionale del magistrato. Il postulatore della beatificazione: “Giudicato per la sua vita, non per la sua morte”
Gioacchino Schicchi
Un uomo riservato, rigoroso, di profonda fede ma capace anche di approcciarsi alle alte gerarchie ecclesiastiche con indipendenza e schiena dritta. E’ un quadro molto personale, e molto storicamente inquadrato, quello tracciato durante l’incontro “Rosario Livatino, tra fede e giustizia”, promosso stamattina dal Comune di Agrigento e ospitato presso il cortile del’Accademia di Belle arti di via Bac Bac. A parlare della figura del giudice, ammazzato dalla mafia il 21 settembre del 1990, oltre al sindaco Lillo Firetto (che ha ribadito il valore della memoria soprattutto per le giovani generazioni, alle quali gli anni della guerra di mafia sembrano un ricordo lontano), l’ex presidente di Corte d’Appello, Salvatore Cardinale, il presidente del tribunale di Agrigento Pietro Maria Falcone e padre Giuseppe Livatino, postulatore della causa di canonizzazione del giudice.
Proprio quest’ultimo ha evidenziato come l’attenzione dell’Arcidiocesi non discenda dal fatto che Livatino sia solo una vittima di mafia, ma per come abbia vissuto la propria vita. “Perché – ha detto – oltre ad essere un magistrato integerrimo con un’umanità straordinaria nell’amministrazione della giustizia, ha vissuto una vita nella segno del Vangelo”.
Un altro aspetto evidenziato da chi ha conosciuto Livatino è stato la sua riservatezza. Se padre Giuseppe ha spiegato che nemmeno i genitori sapevano dei rischi che esso correva con il proprio ruolo di magistrato giudicante, è Cardinale, ex collega di Livatino e raccontare un altro episodio abbastanza significativo. “Era una persona perbene – ha raccontato – ancorata a principi di correttezza. Praticava la religione con molto riserbo. Noi ignoravamo che la mattina passasse dalla chiesa di San Giuseppe per un momento di raccoglimento, perché con la sua diligenza gli consentiva di essere in ufficio anche prima di noi. Era però anche un uomo laico perché non sentiva il peso delle gerarchie ecclesiastiche”.
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“La frase, ‘non ci si verrà a chiedere se siamo stati credenti, ma credibili’ – spiega invece Falcone – è una diretta espressione della profonda fede che ha sempre caratterizzato, Livatino, anche se esprime un valore assoluto. Essere credibili significa essere disposti a sostenere i valori a cui si crede ad ogni costo. Spesso – ha detto – mi sono trovato a pensare: chissà cosa sarebbero riusciti a fare se non li avessero fermati. Poi mi rispondo che, forse, il loro sacrifico probabilmente ha avuto un risultato maggiore di qualunque azione giudiziaria, perché ha risvegliato la coscienza civile messa davanti ad una scelta: continuare a fare finta che mafia non esista o prenderne coscienza”.
Cardinale, inoltre, ha lungamente approfondito gli anni in cui Livatino operava, spiegando che era un periodo in cui per molti “il primo imperativo era negare che la mafia esistesse, una negazione intellettuale che anche le alte gerarchie ecclesiastiche sostenevano” e in cui mancava una legislazione adatta, “tanto che i processi si concludevano per mancanza di prove o venivano trasferirti per legittimo sospetto”. Cardinale, inoltre, ha parlato di un “clima di connivenza, anzi, di vera e propria collaborazione di politica e amministrazione dello Stato con la mafia. Gli esponenti politici cercavano i mafiosi per essere eletti e c’era, e c’è ancora, una commistione tra mafia e massoneria”. Proprio sul rapporto ormai certo tra mafia, colletti bianchi e, come ha detto Cardinale “grembiulini”, con chiaro riferimento alla veste da cerimonia dei massoni, è intervenuto don Giuseppe Livatino, il quale ha affermato a gran voce che “la mafia dei Riina non esiste più: oggi è quella dei colletti bianchi che stringe accordi con politica, imprenditoria e massoneria: poteri occulti che decidono della vita di tutti“.
20 settembre 2018