“Una pericolosità sociale qualificata da parte di Mario Ciancio Sanfilippo, fondata sulla verifica del fatto che vi è stato un apporto costante nel tempo e di grande rilievo nei confronti di Cosa nostra”. Parole del Procuratore Capo di Catania Carmelo Zuccaro a proposito del decreto di sequestro e confisca ai danni dell’editore etneo, imputato per concorso esterno in associazione mafiosa, che coinvolge 31 aziende più altre 7 partecipate, conti correnti e beni immobili, per un valore complessivo di circa 150 milioni di euro. Secondo i pm, già dagli anni 70, Ciancio avrebbe intrattenuto stretti rapporti con la mafia etnea facente capo a Giuseppe Calderone, detto cannarozzu d’argento e già componente della commissione regionale di cosa nostra, carica poi passata in consegna a Nitto Santapaola, legato al rinnovamento dei corleonesi.

Per Ciancio è stata chiesta la sorveglianza speciale, rigettata però dal giudice perché “l’età avanzata e il tempo risalente degli ultimi accertamenti (2013) hanno indotto il Tribunale a escludere l’attualità della pericolosità sociale”. La gestione editoriale de La Sicilia, secondo l’accusa, avrebbe “apportato uno stabile contributo a cosa nostra catanese”.

Nel decreto è citato un episodio del 1993, quando il giornalista Concetto Mannisi in un articolo sui reati ambientali scrisse che Giuseppe Ercolano, cognato di Santapaola, era considerato “massimo esponente della nota famiglia sospettata di mafia”. Ercolano si recò da Ciancio per avere spiegazioni, e l’editore convocò il giornalista davanti al boss. Mannisi spiegò al suo direttore che l’informazione derivava a una nota del Ministero dell’Interno, ma Ciancio ribadì che non era loro compito dire che “Ercolano fosse mafioso”.

Direttore per 51 anni de La Sicilia, Ciancio insieme al figlio Domenico ha deciso di dimettersi, affidando le redini ad Antonello Piraneo. La situazione del quotidiano più diffuso nell’est Sicilia resta però molto critica. “L’obiettivo è mantenere il valore sociale del quotidiano pur partendo da una situazione pessima”, ha spiegato il pm Antonino Fanara, che ha coordinato l’inchiesta, ribadendo che “lo Stato si occuperà degli utili e non della linea editoriale”. Discorso simile per la Gazzetta del Mezzogiorno, confiscata al 70% per le quote di Ciancio ma non coinvolta in vicende di mafia, che si troverebbe in una situazione “molto grave” sotto il profilo economico. In entrambi i casi ci sono state delle assemblee di redazione e sono previsti degli incontri con gli amministratori giudiziari, per confrontarsi sulla vicenda. Se da una parte si segnalano i messaggi di solidarietà dei sindacati di categoria, resta però l’assordante silenzio della politica, soprattutto catanese, che non si è espressa sul caso Ciancio, a eccezione di Claudio Fava, che si auspica che le “testate siano affidate ai giornalisti”.