di Gianni Barbacetto
Le bugie di Libero e del Giornale
È finita con una condanna la causa civile per diffamazione intentata dal giudice Antonio Esposito contro l’editore e il direttore (Pietro Senaldi) di Libero. Dovranno pagare 30 mila euro più le spese per 12 articoli ritenuti diffamatori, firmati da Vittorio Feltri, Pietro Senaldi, Fabrizio Cicchitto, Cristiana Lodi, Azzurra Barbuto, Fausto Carioti e Renato Farina.
Una campagna di stampa condotta insieme ad altri giornali e tv del fronte berlusconiano, dopo il falso scoop delle parole del giudice Amedeo Franco (deceduto) sulla sentenza che nel 2013 aveva condannato Silvio Berlusconi per frode fiscale, decisa in Cassazione dal collegio presieduto da Esposito.
Nel 2020, il programma Quarta Repubblica di Nicola Porro aveva mandato in onda la voce registrata (a sua insaputa) del giudice Franco, che aveva condiviso e firmato pagina per pagina la sentenza, ma era poi andato a casa del suo condannato a dire che la decisione era ingiusta. Ora la sentenza della giudice Roberta Nocella smonta le accuse di parzialità rivolte ad Esposito e al suo collega Claudio D’Isa.
Questa condanna arriva dopo la pronuncia che ha già giudicato diffamatori anche sei articoli, simili a quelli di Libero, pubblicati nello stesso periodo dal Giornale e firmati da Alessandro Sallusti, Stefano Zurlo e Luca Fazzo. (9 giugno 2024)
Tocca a Sansonetti
Ennesima condanna per chi ha diffamato i giudici che hanno condannato Silvio Berlusconi in Cassazione. Questa volta – dopo Alessandro Sallusti, Vittorio Feltri, Pietro Senaldi, Stefano Zurlo, Luca Fazzo e altri di Libero e del Giornale – tocca a Pietro Sansonetti, come direttore del quotidiano Il Riformista, e alla società Romeo Editore srl.
Condannati a pagare 70 mila euro più gli interessi ad Antonio Esposito, il giudice che presiedeva il collegio che nel 2013 rese definitiva la sentenza di condanna per frode fiscale, e 40 mila a Claudio D’Isa, giudice a latere, oltre alle spese legali. L’editore, Alfredo Romeo, dovrà linkare nel web la sentenza a tutti gli articoli sull’argomento pubblicati dal Riformista (la cui direzione passò nel 2023 da Sansonetti a Matteo Renzi).
In quegli articoli scritti nel 2020, Esposito è definito giudice “in malafede”, “magistratello”, “esponente dichiarato del partito delle manette”, “editorialista del Fatto”.
“La complessiva lettura di tutti articoli allegati in citazione e le dichiarazioni rese da Pietro Sansonetti”, si legge nella sentenza, “ingenerano nel lettore la falsa convinzione del mercimonio delle funzione giudiziaria, asservita a una parte politica rispetto a un’altra, con evidente attacco alla sfera morale dei magistrati; esula, infatti, dal diritto di critica giudiziaria l’accusa di asservimento della funzione giudiziaria a interessi personali, partitici, politici ed ideologici, ovvero accuse di strumentalizzazione di quella funzione per il conseguimento di finalità divergenti da quelle che debbono guidare l’operato di un magistrato”.
Conclude il giudice: “Tutti gli scritti e le dichiarazioni di Pietro Sansonetti fanno apparire la decisione presa dalla Cassazione come evidente frutto di ‘ostilità politica’ del collegio giudicante e in particolare del suo presidente Antonio Esposito, accusati apertamente di parzialità e mancanza di indipendenza”. Accuse false e diffamatorie. Come le affermazioni sul figlio del presidente, Ferdinando Esposito, descritto come un personaggio che “era stato beccato con la droga” a Milano e per questo era diventato un motivo di pressione della Procura di Milano sul padre giudice in Cassazione: una affermazione “falsa e gravemente diffamatoria”.
In definitiva, “tutti gli articoli e le dichiarazioni rese da Pietro Sansonetti in interviste concretano una vera a propria campagna stampa violenta e denigratoria” nei confronti di Esposito e D’Isa, “per ragioni legate all’esercizio della funzione giudicante”. (10 settembre 2024)
Il Fatto quotidiano, 9 giugno e 10 settembre 2024