L’associazione FuoriCircuito,
la Comunità palestinese di Lombardia e il
Consiglio di Zona 1 del Comune di Milano
presentano le prime 4 di una serie di proiezioni sulla situazione nella Palestina storica.
Ogni proiezione sarà presentata da una significativa personalità.
h. 20,30
CAM Garibaldi – C.so Garibaldi 27 ang. Via Strehler – Milano
entrata libera
02 ottobre
Diego Siragusa presenta
This is my land… Hebron
di Giulia Amati, Stephen Natanson.
2010, 72′ Con This is my land… Hebron Giulia Amati e Stephen Natanson si sono confrontati con la realtà del conflitto arabo-israeliano da una prospettiva inedita. Piuttosto che predicare ai già convertiti, hanno affrontato la questione drammatica dei territori occupati dai coloni osservando come questo nodo apparentemente insolubile pesi sulla coscienza israeliana (sia di destra che di sinistra). Pur concentrandosi sulla violenza subita dai palestinesi per mano dei coloni con il beneplacito dell’esercito israeliano, il film evidenzia con grande precisione come a soli trenta chilometri da Gerusalemme si affrontino due visioni dell’ebraismo e due idee diametralmente opposte di Israele. Amati e Natanson osservano come la tragedia degli abitanti palestinesi di uno dei primissimi insediamenti israeliani della West Bank, costretti a subire indicibili violenze quotidiane, si rifletta sulla coscienza degli israeliani di buona volontà. Considerata la città santa da ebrei, cristiani, musulmani, hebron è il luogo dove è sepolto Abramo. Eppure Gideon Levy, giornalista di Haaretz, non può fare a meno di notare: “non esiste un posto dell’occupazione che odio più di Hebron… è veramente il luogo del male”. Adottando uno schema narrativo che oppone frontalmente dichiarazioni provenienti da un campo e dall’altro i due registi sono riusciti di fatto a filmare la coscienza lacerata di un intero paese. Così alla dichiarazione di Noam Arnon che afferma: “la vita non è facile ad Hebron, ma quello che otteniamo vale molto di più. Diamo un senso alle nostre vite, otteniamo la consapevolezza che stiamo facendo qualcosa di importante. Ovviamente per gli ebrei, per la nostra storia e per il mondo di Dio. Ma non solo, perché stiamo facendo qualcosa di molto importante per il mondo intero”, fa da contraltare Uri Avnery che riflette: “in qualsiasi altro paese del mondo sarebbero considerati dei fascisti… se non peggio. Sono un gruppetto di circa 500 persone il cui scopo nella vita è cacciare 160.000 palestinesi… questa gente che è arrivata 30 o 40 anni fa dall’Europa considera gli abitanti di Hebron che sono lì da 5000 anni degli stranieri”. Tra i protagonisti del film figura Yehuda Shaul, ex militare israeliano, fondatore dell’associazione Breaking the Silence che ricorda: “durante le prime due o tre settimane che siamo arrivati a Hebron ci siamo recati nel centro storico siamo rimasti tutti scioccati. Camminando per le strade ci siamo trovati di fronte dei graffiti che probabilmente suonano più familiari in Germania che da noi. Scritte come “arabi nelle camere a gas” o “fuori gli arabi” con la stella di Davide al centro. All’inizio un gruppo del mio plotone ha pensato di rifiutarsi di prestare servizio a Hebron. Eravamo sconvolti. Non potevamo credere a quello che vedevamo”. A fargli da contraltare nel film figura David Wilder, portavoce dei coloni che afferma: “non considero Yehuda Shaul un militare. Yehuda Shaul in qualsiasi paese normale verrebbe processato per tradimento e impiccato. Sfortunatamente Israele non ha ancora raggiunto questo livello di giustizia”. E tutto questo senza mai dimenticare le cifre: 600 coloni, 2000 soldati israeliani in una città di 160.000 palestinesi. Attraverso i materiali forniti, tra l’altro da associazioni come B’tselem, il cui portavoce Oren Yakobovich viene interpellato nel corso del film, emerge dunque il quadro di una situazione insostenibile che non può non invocare soluzioni politiche e diplomatiche inequivocabili. Per il bene dei palestinesi e di Israele. Amati e Natanson con This is my land… Hebron sono riusciti a realizzare un film che senza puntare all’enfasi o alla complicità ideologica possiede il merito indiscutibile di offrire alla riflessione una situazione che torna a occupare le pagine dei quotidiani solo in occasione di tragedie o recrudescenze del conflitto. Attraverso uno stile sobrio e preciso nel mettere in scena una violenza devastante, Amati e Natanson offrono un contributo forte e chiaro alla causa della pace.