Francesco Ciotti
Un militare testimone: “Non c’erano state provocazioni. Non so perché il nostro comandante abbia dato l’ordine di sparare”
Dopo anni di silenzio, mezze verità, contraddizioni e sentenze assolutorie che sembravano aver gettato definitivamente un velo di impunità e mistero sull’assassinio dei reporter Andrea Rocchelli (in foto) e Andrej Mironov, in questi giorni, per la prima volta, un militare ucraino che si trovava sul posto ha accettato di raccontare cosa accadde in quelle drammatiche ore. L’intervista andrà in onda il 4 febbraio nella puntata del programma di inchiesta Spotlight intitolata: “La disciplina del silenzio, inchiesta sulla morte di Andy Rocchelli e Andrej Mironov”.
Ci troviamo a Sloviansk, nel bel mezzo del conflitto tra l’esercito ucraino e le autoproclamate repubbliche indipendenti del Donbass: in quel 24 maggio 2014, la città è ancora in mano alle milizie ribelli, mentre i soldati lealisti sono trincerati sul monte Karachun, un’altura che domina la periferia meridionale della città. Nel pomeriggio i due reporter assieme al collega francese, William Roguelon, raggiungono un passaggio a livello che segna il punto di demarcazione tra i due schieramenti, ma proprio mentre sono in procinto di scattare le prime fotografie vengono subito raggiunti da una raffica di proiettili. Mentre cercano riparo in un fossato nelle vicinanze, una pioggia di 20-30 colpi di mortaio cade su Andy e Andrej, uccidendoli entrambi.
Ma chi era Andrea Rocchelli e chi ha sparato quel giorno con il chiaro intento di uccidere dei semplici cronisti di guerra?
Andrea Rocchelli era un fotoreporter freelance professionista che stava documentando le atrocità commesse dal governo golpista ucraino contro la popolazione civile. È infatti bene precisarlo, dato il complice silenzio degli organi di informazione in questi anni; nel febbraio 2014 il paese subì un colpo di stato organizzato dagli Stati Uniti: non possiamo dimenticare le dichiarazioni dell’ex assistente del segretario di Stato Victoria Nuland che, già nel dicembre 2013, aveva annunciato i “5 miliardi di dollari” spesi dagli Stati uniti per assicurare all’Ucraina “il futuro che meritava”; o le rivelazioni dei cecchini Georgiani che intervistati dalla BBC e dall’agenzia di stampa Interfax dichiararono di essere stati reclutati da un membro del governo Usa per sparare sui manifestanti e sui poliziotti.
Non possiamo infine dimenticare il voto incostituzionale che il parlamento ucraino espresse per considerare vacante la poltrona del presidente eletto Yanukovich, sostituito frettolosamente da Oleksandr Turčynov; fattore che avrebbe posto le fondamenta per la costituzione di una forza di governo composta da ministri dichiaratamente nazisti.
Il partito di estrema destra Svoboda, il cui leader Oleh Tyahnybok aveva affermato limpidamente di voler “estirpare dall’Ucraina tutta la feccia russa, tedesca e giudea”, era entrato nell’esecutivo ottenendo vari ministeri: da quello della Difesa a quello dell’Agricoltura passando poi per la posizione di vice primo ministro, assegnata a Oleksandr Sych e quella di Procuratore Generale.
Sono questi nostalgici di Hitler che hanno imposto immediatamente l’eliminazione del russo come lingua ufficiale mentre si dichiaravano favorevoli all’imposizione del divieto di essere “comunisti”, alla creazione di un arsenale nucleare ucraino, con annessa adesione alla Nato esclusivamente in funzione anti-russa.
Sono stati questi nazisti, assieme alle squadracce di Pravy Sector, ad essere fautori di soprusi e violenze contro oppositori politici e veri e propri pogrom contro la popolazione Russa, come quello avvenuto alla casa dei sindacati di Odessa, dove decine e decine di russi vennero bruciati vivi, strangolati o freddati con un colpo di pistola alla testa.
Furono questi crimini a decretare le rivendicazioni separatiste dei popoli a maggioranza russa di Donec’k, Luhans’k, Dnipropetrovs’k: premessa della sanguinosa guerra nell’est dell’Ucraina, avviata dal governo centrale.
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È esattamente in questo contesto che Andrea e Mironov sono stati trucidati da colpi di mortaio, mentre documentavano i danni dei bombardamenti delle truppe filo-governative ucraine.
Solo 5 giorni prima, il 19 maggio 2014 sulle pagine del giornale russo “Novaya Gazeta” veniva pubblicato l’articolo “Noi non siamo bestie. Non bisogna avvolgerci con il filo spinato!”, firmato da Andrei Mironov e Andy Rocchelli con le foto dei bambini nel seminterrato scattate da Andy che sono diventate subito famose nel paese.
Per l’omicidio nel 2017 viene arrestato un militare ucraino, Vitaly Markiv, che verrà condannato in 1° grado a 24 anni di reclusione nel luglio 2019. Nel maggio 2014, il plotone, di cui Markiv era il vice comandante, aveva assunto posizioni di combattimento sul monte Karachun, poco distante dalla posizione dei due fotoreporter.
Ad incastrarlo, oltre alle foto di svastiche, torture, stupri e sevizie sul suo telefono, a testimonianza dei crimini di guerra delle milizie naziste filo-governative ucraine, c’era il ruolo avuto, come esposto nelle motivazioni della sentenza, di “capo postazione in funzione di avvistamento” che segnalava “i movimenti sospetti di eventuali soggetti in avvicinamento alla collina mediante la ricetrasmittente che aveva in dotazione”. Era dunque l’unico “in grado di monitorare gli spostamenti e fornire le coordinate agli addetti ai mortai per consentire loro l’aggiustamento del tiro”.
Nelle intercettazioni telefoniche Marvik non manca di precisare: “Una persona arriva nella Savana e la guida gli dice: non andare lì c’è il leone, rischi che ti mangi. La persona decide da sola sì ci vado, no non ci vado. Se lei è andata e un leone l’ha mangiata che fate, portate il leone in tribunale?”.
Con la sentenza di condanna è partita una campagna minatoria e di delegittimazione senza precedenti, caratterizzata da insulti e minacce ai danni della Famiglia Rocchelli, della Federazione Nazionale della Stampa, che al processo si era costituita parte civile, e della Magistratura italiana, fino al clamoroso giudizio della Corte d’Appello di Milano che pochi giorni fa ha assolto Markiv dall’accusa dell’omicidio di Andrea Rocchelli, per non aver commesso il fatto.
A contribuire nell’esito della sentenza, oltre al fatto che i suoi superiori, che avevano confermato la posizione del militare sulla collina, avrebbero dovuto essere sentiti non come testimoni, ma come possibili complici, c’è probabilmente la ritrascrizione di un’intercettazione ambientale del 1° luglio 2017 nella quale l’imputato avrebbe dichiarato: “È stato fottuto un reporter ma vogliono cucirmi addosso tutto” anzichè “abbiamo fottuto un reporter”, come era riportato precedentemente.
Particolare inquietante, a questo proposito, è rappresentato dalle minacce ricevute dall’interprete dopo l’udienza dell’8 febbraio 2019 del processo di primo grado a Pavia, trasmesse a verbale dalla Corte fuori udienza: nelle telefonate minatorie l’interprete avrebbe ricevuto pressioni affinché cambiasse la trascrizione fedele delle intercettazioni ambientali. Il 9 dicembre 2021 l’ultimo verdetto sarà confermato dalla Cassazione.
Lo Stato ucraino (che non ha mai collaborato seriamente con le autorità giudiziarie italiane), per bocca del Presidente Volodymyr Zelens’kyj, non ha mancato di complimentarsi in un post su facebook con il Presidente della Repubblica e con il Capo del Governo italiani per l’esito del processo di secondo grado e quindi dell’assoluzione e liberazione della guardia nazionale Vitaly Markiv. Ad aggiungersi a questo sinistro teatrino, hanno contribuito i complimenti da parte dell’allora ministro degli interni Arsen Avakov, il cui consigliere Anton Gerashchenko promuove un sito curato dall’agenzia governativa d’intelligence ucraina (SBU), Myrotvorets, in cui sono schedati tutti coloro che il governo dell’Ucraina considera terroristi, nemici dello Stato. Ebbene in questo portale figurano anche Andrea e Andrej, con i loro dati, e con una scritta in cirillico rossa sopra le loro foto: “Liquidati”.
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Ed ecco le ultime rivelazioni: nel 2014 un soldato della 95a Brigata (che in un recente articolo su l’Espresso viene chiamato Sergej), faceva parte della “rozvedrota”, la squadra delle sentinelle con il compito di osservare il territorio, come dimostrato da alcune foto che lo ritraggono nella sua trincea di Karachun in una posizione esattamente frontale rispetto al luogo dove sono stati uccisi i reporter.
“Non so perché il nostro comandante abbia dato l’ordine di sparare. Non c’erano state provocazioni e quegli uomini erano vestiti in abiti borghesi, non rappresentavano una minaccia per noi” ha affermato davanti alle telecamere.
In seguito entra più nel dettaglio e rivela che per uccidere Andrea e Mironov vennero adoperati i Vasilek, mortai automatici che possono esplodere raffiche di quattro colpi. “Non avevamo mai sparato con tanta intensità in quella esatta direzione”, racconta Sergej.
Una dinamica che coincide perfettamente con le ricostruzioni dei magistrati e con quella del reporter sopravvissuto all’attacco, William Roguelon che ha specificato come Il Vasilek spari proiettili calibro 82, e “i miliziani separatisti accorsi sul posto all’indomani dell’attacco hanno sempre sostenuto che le schegge da loro rinvenute erano proprio di quella misura.”
Tipologia di mortai il cui utilizzo è stato confermato anche dal comandante della Guardia Nazionale Andrej Antonishak, la cui intervista era stata pubblicata nel 2021 in un pamphlet innocentista dal titolo “Vitaly Markiv”.
Curioso come la tesi di fondo del testo sostenga che Andy e Andrej siano stati uccisi dai filorussi con la “Nona”, un cannone da 122 mm che tuttavia non è in grado di sparare raffiche di 4 colpi come il Vasilek. Una verità tutta da riscrivere insomma; una vicenda costellata da contraddizioni, omissioni, depistaggi e silenzi che pongono sul banco degli imputati gli autori di efferati crimini contro la popolazione russa di Ucraina: una guerra che perdura tuttora e che oggi rischia di innescare un conflitto su larga scala in Europa. Un’eventualità che impone oggi più che mai l’esigenza di non “liquidare” dalla nostra memoria martiri come Andrea Rocchelli.