di: Luciano Scateni
E’ bastato il semplice ricorso all’intuito per decidere di citare Salvini come il “Ce l’aveva duro”. Il leghista del Carroccio, nel tentativo di smorzare le contestazioni raccattate qua e là, ha speso una cifra blu nell’acquisto di felpe, giacconi e t-shirt affidati alla sarta di fiducia per adornarle con le scritte Nord, Sud, Roma, Napoli, Palermo, Bari, da indossare nelle rispettive città. Obiettivo? Fingere di essere l’uomo per tutte le stagioni ed evitare contestazioni. Insomma un sotterfugio da timoroso ipocrita. L’evidenza clamorosa che nel petto del vice premier non batte un cuore di leone ha ricevuto conferma nella decisione di scansare la condanna per sequestro di persona, come conseguenza della drammatica vicenda dei 47 profughi della Diciotti. Alla notizia della richiesta del tribunale dei ministri di autorizzare il processo, aveva esibito spavalderia. “Processatemi” ha dichiarato a più riprese e il movimento 5Stelle ha gongolato. Avrebbe mostrato coerenza con la sua linea del sì ai procedimenti giudiziari nei confronti dei politici e per di più, una probabile condanna avrebbe inferto un duro colpo allo scomodo alleato di governo che li sovrasta in termini di consenso popolare. Ma la notte porta consiglio e talvolta anche il giorno. Salvini ha contato fino a cento e ha chiesto il parere dei suoi legali. Responso: “Forte il rischio di condanna”. Terrorizzato dall’idea di soggiornare in una cella del carcere, dove per godere di un trattamento di favore non sarebbe bastato indossare una felpa con la scritta “Viva Rebibbia”, Salvini ha innestato in tutta fretta la marcia indietro. Ha costretto Di Maio e soci a un funambolico passaggio dal giustizialismo al garantismo, fino a coinvolgere nel voltafaccia il flessibile Conte, costretto a dichiararsi colpevole con tutto il governo al pari del suo vice leghista. Salvini, con la complicità di tutti i media sotto controllo, ha strillato un perentorio “No al processo”. Il voltagabbana da vigliacco giustifica la personale intuizione di definirlo “Ce l’aveva duro”. L’esito di questo inciucio interpartitico è l’autorizzazione a un ministro della Repubblica di commettere impunemente il reato di sequestro di migranti, l’esautorazione della magistratura e il nuovo attributo di “voltafaccia”, che in questa circostanza calza a pennello al tandem Di Maio-Salvini. In margine al “fattaccio”: Sibilia, 5Stelle. “Voteremo sì”. Fedriga, Lega: “Così si ridiscute tutto”. Cangini, Forza Italia (e noi con lui): “Se come ha detto Salvini per giustificare la segregazione, a bordo potevano esserci terroristi (‘io difendo l’Italia’), perché ora ha consentito lo sbarco e l’accoglienza?”. Ciliegina sulla torta è la decisione di Gasparri (Forza Italia, contraria al sì), presidente della giunta per le immunità (accidenti, esiste perfino una giunta per salvare i parlamentari dal carcere) di concedere una settimana a Salvini per presentare una memoria difensiva. Manca solo l’assoluzione in confessionale, ma sarà difficile che Salvini l’ottenga se è vero che non è tra gli uomini stimati da Papa Francesco.
Dissento da chi sostiene che la laurea sia il solo sinonimo di cultura e status fondamentale per esercitare ruoli di elevata eccellenza e mi risparmio di elencare i nomi di illustri uomini politici, grandi giornalisti e scrittori che non hanno conseguito il titolo in questione. Sono tanti e noti. Di qui ad assolvere le castronerie che propina la televisione c’è un grande però. Perché accettare i continui insulti alla nostra lingua senza usare la matita blu che un tempo marcava gli errori di grammatica e di sintassi degli studenti? Si è molto ironizzato sugli inciampi di Di Maio nell’imprudente ricorso ai congiuntivi, poco su altre forzature, per esempio di un fantozziano dilagare dell’inesistente verbo attenzionare. Inutilmente continuiamo a bacchettare giornalisti e politici che dicono la Tav e non correttamente il Tav (maschile perché è acronimo di Treno ad alta velocità”) e non meno gli scrittori o i giornalisti, che abusano dell’espressione “alle prime luci dell’alba”, evidente tautologia dal momento che le prime luci sono l’aurora e l’alba è la fase giornaliera subito successiva. Esiste la corretta dizione “prime luci del giorno”, ma lo sappiamo in pochi. L’ultima performance linguistica si deve al sottosegretario all’istruzione, 5Stelle, tale Fioramonti. Sua la storpiatura del termine propensione, geneticamente modificata in propensità. No comment.
30 Gennaio 2019