R.C.- L’eco dell’esplosione di Ciaculli, di quella Giulietta imbottita di tritolo che dilaniò i corpi di sette tra carabinieri, poliziotti e militari, scosse il secolare silenzio dei palazzi vaticani.
La curia palermitana era guidata dal cardinale Ernesto Ruffini, una delle menti clericali della Democrazia Cristiana.
Ruffini, mantovano di origine, aveva capito tutto del sentire comune siciliano, interpretando alla perfezione gli argomenti classici della Sicilia offesa.
In un’omelia, pietra miliare di una certa ecclesia, tuonò che l’ipotesi che la mentalità mafiosa fosse associata a quella religiosa era “gentaglia che accusava “la Democrazia Cristiana di essere appoggiata dalla mafia, mentre difendono solamente i propri interessi economici, che sono in concorrenza proprio con organizzatori mafiosi o ritenuti tali”.
Fu Cosa Nostra stessa a smentirlo, a suon di omicidi, quando gli interessi di democristiani perbene, con la schiena dritta, non collimarono con quelli dell’onorata società, se ne sbarazzarono a colpi di kalashnikov; Piersanti Mattarella, Rosario Nicoletti, Giuseppe Insalaco, politici cattolici che intendevano cambiare lo stato delle cose.
Quindi la mafia non era un’invenzione dei comunisti, come urlava la macchina della propaganda politico-clericale.mafiosa, il fango della contro-informazione, gestita dai boss che individuavano il nemico avvolto da una bandiera rossa.
Boss che eleggevano comunista ad honorem personaggi di ben altra matrice e di grande statura, un esempio su tutti il cardinale Salvatore Pappalardo.
Ricordiamo l’invettiva di Totò Riina nell’aula bunker di Reggio Calabria “Il signor Violante, il signor Caselli da Palermo, il signor Arlacchi. Sono i comunisti che portano avanti queste cose, c’è tutta una combriccola e il governo si deve guardare da questi attacchi comunisti”.
E il Paese fece tesoro di queste perle di saggezza, era il 25 maggio 1994, 15 giorni dopo affidò il suo destino nelle mani di un anticomunista viscerale: Silvio Berlusconi.
12 gennaio 2018