Piero Orteca
La Germania ha tirato fuori l’enormità di 200 miliardi di euro per consentire ai tedeschi di comprare gas a sufficienza e a qualsiasi prezzo. Molti altri Paesi europei, che non hanno una tale montagna di soldi, temono che ciò farà impennare i costi fino a cifre inaffrontabili per aziende e famiglie.
A Praga l’Ue litiga sulla ipotesi italiana di un tetto (price cap) al prezzo del gas, ma tutti sanno che la Germania sta barando. E la tedesca Von der Leyan?
Ed ecco il monito di Draghi alla presidente della Commissione europea: «È ora di decidere».
Grosse Deutschland alla prussiana
La decisione del governo rosso-verde tedesco, di tirare dritto per la sua strada e di finanziare un gigantesco piano di “ristori” energetici per cittadini e imprese è, probabilmente, una delle scelte più antieuropee finora fatte da uno Stato membro nella storia dell’Unione. Una mossa cinica? No, chiamiamo i fatti col loro nome e cognome, che sempre tutte le cose possiedono in politica internazionale. Questo è rustico nazionalismo ottocentesco (ora lo chiamano “populismo” gli intellettuali à la page). Quello che arroventava le piazze della Prussia, ma anche diversi pensatori tedeschi, dopo che la Germania era stata strapazzata da Napoleone. Oggi, più prosaicamente, Grosse Deutschland le guerre le fa a colpi di export, colonizzazioni bancarie e spietati cartelli industriali. Ogni tanto, però, le scappa qualche colpo basso, come quello dei 200 miliardi per il “Piano d’emergenza energetica”, che, in effetti, sono niente altro che uno sfacciato aiuto di Stato, offerto alle imprese tedesche mentre le concorrenti italiane, francesi o spagnole sprofondano a catena.
Aiuto di Stato col trucco
Il Ministro delle Finanze, Christian Lindner, subissato di critiche, si è difeso dicendo che la Germania è un grande Paese e ha una grande economia, “per cui lo scudo di protezione globale è proporzionato”. Lindner, però, mette una pezza peggio del buco che ha creato. Infatti, andando ai numeri, si scopre che l’impegno di spesa equivale al 5,6% del Prodotto interno lordo, somma fin troppo consistente. Che diventa da capogiro se si aggiunge una cosa che i tedeschi fanno finta di dimenticare: loro hanno già elergito altri 100 miliardi di ristori. Quindi il conto va fatto su 300 miliardi, per cui la percentuale di ricchezza nazionale assorbita da questa operazione di “protezionismo mascherato” arriva all’8,4%. In pratica, più del doppio di quanto stanziato da Francia e Italia messe insieme. Insomma, ci vuole faccia tosta a sostenere che un intervento del genere sia fatto solo “per alleviare le sofferenze”.
I due obiettivi tedeschi
Il Piano ha sostanzialmente due obiettivi: “comprarsi” la pace sociale, evitando pericolose manifestazioni di dissenso nelle piazze e, soprattutto, sfruttare la possibile “finestra di opportunità” offerta all’industria tedesca dalla guerra in Ucraina. In che senso? Le crisi, spesso, se ben affrontate da chi è già forte, finiscono per avvantaggiarlo ulteriormente.
Paesi energivori per la sopravvivenza
Il Financial Times ha presentato il ranking dei Paesi europei che fanno leva sull’industria manifatturiera. Perché’? Si tratta di un settore di trasformazione, particolarmente “energivoto”, dove l’elettricità concorre in maniera decisiva alla determinazione finale dei prezzi dei beni prodotti. La classifica è guidata dalla Germania, seguita da Italia e Francia. Nell’ordine, vengono poi Irlanda, Spagna, Polonia e Olanda. Tutti questi Paesi attraversano una crisi energetica acuta e il loro tessuto industriale è in grave sofferenza. Rischiano di chiudere o, comunque, di perdere in modo esponenziale quote di mercato. Indovinate a favore di chi? Di chi sarà capace di tenere la testa fuori dall’acqua, mentre passa lo tsunami, per poi soddisfare (di corsa) la domanda dei nuovi “clientes”.
‘Mors tua vita mea’
I tedeschi non amavano molto i romani che parlavano latino, ma qualche espressione l’hanno presa in prestito. Una, in particolare, gli calza a pennello: “Mors tua vita mea”. Pensate, per gli “aiuti pandemici” alle imprese hanno stanziato la cifra “monstre” di 600 miliardi di euro. Ne hanno spesi appena 50 e non è chiaro come (o se) intendano stornare il resto. Le critiche: sono piovute come una grandinata con chicchi quanto meloni. Hanno cominciato i polacchi, seguiti da Orban (che di populismi se ne intende), proseguendo con Mario Draghi, col francese Le Maire, con l’irlandese Donohoe, con lo slovacco Hirmann e persino con Ursula Von der Leyen che, un colpo al cerchio e uno alla botte, ha chiesto un tetto massimo al prezzo del gas. Misura che i tedeschi non vogliono perché, al di là di tutte le contorsioni mercantilistiche enunciate da Scholz, hanno le loro intese sottobanco che non vogliono certo rivelare.
Se Deutschland è un po’ troppo über Alles
Tra le altre cose, abbassando il costo del gas per le imprese tedesche, favorirà un aumento della domanda a Berlino, e un rincaro generalizzato per gli altri Paesi UE (per la diminuita offerta). Nick Andrews, di Gaveckal Research, mette in guardia anche da una possibile ricaduta della manovra tedesca sulla politica monetaria della BCE. Berlino tende a ridurre la sua inflazione con i sussidi, ma potrebbe avere un effetto domino negativo su quella degli altri.
L’epitaffio di tutto il discorso, da cui non si può scappare, comunque, resta quello ribadito al Financial Times dal professor Antonio Fatas (Insead Business School): Il Piano energetico tedesco è un vero e proprio aiuto di Stato.
8 Ottobre 2022