Paradise Papers: investimenti off-shore anche per la Regina Elisabetta, George Soros, un ministro Usa, Bono e Madonna
Sono documenti – scrive il settimanale italiano sul proprio sito – che mostrano quanto il sistema finanziario offshore sia in grado di gestire enormi ricchezze a livello globale, come una sorta di “economia parallela”, sovrapponendosi al mondo visibile degli uomini d’affari, politici, attori e di colossi come Apple, Nike, Uber e altre multinazionali, che vogliono evitare di pagare le tasse grazie ad artifizi contabili sempre più intricati e fantasiosi. Ecco perché basta la presenza di certi nomi a creare imbarazzi mondiali.
La Regina Elisabetta, a quanto si apprende, avrebbe investito grandi somme di denaro nelle Isole Cayman attraverso il Ducato di Lancaster: si parla di circa 10 milioni di sterline che la Regina ha investito in paradisi fiscali. La sovrana, contattata dal consorzio che ha coordinato l’inchiesta, ha risposto che paga comunque le tasse. Tra i clienti di Appleby compaiono migliaia di uomini d’affari di tutto il mondo. Ma anche stelle dello spettacolo, tra cui due celebrità. Madonna possiede indirettamente azioni in una società di forniture mediche. Bono, al secolo Paul Hewson, detiene quote di una società registrata a Malta che, stando alle carte, ha investito in un centro commerciale in Lituania. Società chiusa nel 2015, secondo una sua portavoce, che ha puntualizzato: il leader degli U2 era «un investitore di minoranza passivo”. Tra i big dell’industria spicca Paul Allen, co-fondatore di Microsoft. I file di Appleby segnalano i suoi investimenti attraverso società offshore in un mega-yacht e alcuni sottomarini. Anche il re dei fondi d’investimento George Soros, grande finanziatore dei democratici americani, è presente negli elenchi. Folta anche la rappresentanza dei politici americani, repubblicani e democratici. Tra i primi spicca Wilbur Ross , attuale segretario al Commercio del presidente americano Donald Trump. Tra i democratici emerge Wesley Clark, generale a quattro stelle dell’esercito Usa, già in corsa per le elezioni presidenziali del 2004. Risulta “director”, cioè amministratore, di una società di gioco d’azzardo legale collegata a strutture offshore. Il segretario al Commercio di Donald Trump, Wilbur Ross, coinvolto nella nuova inchiesta gestisce affari che hanno legami con il genero del presidente russo Vladimir Putin. Si tratta in particolare di una società di navigazione nella quale Ross ha interessi e con la quale ha effettuato una serie di investimenti offshore, secondo le nuove rivelazioni. |
Dalla regina Elisabetta al ministro di Trump: i segreti dei vip offshore dei Paradise PapersCentoventi politici di tutto il pianeta, tra cui il segretario al commercio Usa, il tesoriere del premier canadese, il ministro delle finanze brasiliano. E poi star come Madonna e Bono, le regine d’Inghilterra e Giordania, i big della finanza e delle multinazionali. Ecco la nuova inchiesta giornalistica internazionale che rivela 13,7 milioni di documenti riservati di migliaia di società offshore collegate ai potenti del mondo La regina d’Inghilterra. Il ministro al commercio di Trump. Star della musica come Madonna e Bono. L’ex generale Wesley Clark, già comandante supremo della Nato in Europa. Il co-fondatore della Microsoft, Paul Allen. La regina di Giordania. Il tesoriere del primo ministro canadese Justin Trudeau. Il finanziere George Soros. Sono nomi che compaiono, con moltissimi altri, in una lunga lista di personaggi eccellenti, accomunati da una caratteristica: hanno investito in società offshore. A svelare i loro affari riservati nei paradisi fiscali è un grande “leak”, una gigantesca fuga di notizie, che rende possibile conoscere fatti e misfatti di migliaia di personaggi della categoria dei “ricchi e famosi”, celebrati dalle cronache finanziarie, giudiziarie o mondane. Li raccontano montagne di file ottenuti dal giornale tedesco Suddeutsche Zeitung, che li ha condivisi con l’International Consortium of Investigative Journalists (Icij). Documenti studiati e analizzati da più di 380 giornalisti, attivi in 67 paesi e 96 media di tutto il mondo, tra cui New York Times, Guardian, Le Monde, Bbc, che L’Espresso pubblica in esclusiva per l’Italia insieme con Report, la trasmissione d’inchiesta di Raitre. Il nome in codice della nuova inchiesta giornalistica internazionale è Paradise Papers. Ed è firmata dallo stesso network dei Panama Papers, le carte segrete dello studio Mossack Fonseca che nel 2016 hanno per la prima volta svelato come i potenti del mondo, criminali compresi, occultano i propri patrimoni nei paradisi fiscali e societari. Sono documenti che mostrano quanto il sistema finanziario offshore sia in grado di gestire enormi ricchezze a livello globale, come una sorta di economia parallela, sovrapponendosi al mondo visibile degli uomini d’affari, politici, attori e di colossi come Apple, Nike, Uber e altre multinazionali, che vogliono evitare di pagare le tasse grazie ad artifizi contabili sempre più intricati e fantasiosi. L’ELITE MONDIALE CHE NON PAGA LE TASSE Lo studio Appleby gode di una fama più che centenaria ed è sempre stato attento a non incappare in problemi legali grazie a un mix di discrezione e monitoraggio dei clienti. Eppure, nonostante questa immagine pubblica, si è trovato a trattare non solo con paesi a rischio, come Iran, Libia e Russia, ma anche con paradisi societari contestati a livello internazionale per i buchi nei controlli anti-riciclaggio. E per questo, come rivelano i Paradise Papers, la società Appleby è stata inquisita e multata dall’autorità di controllo monetario delle Bermuda. Appleby non ha risposto alle numerose richieste di spiegazioni, dettagliatissime, inviate dal consorzio Icij. Ha però pubblicato un commento online, limitandosi ad affermare di essere «soddisfatta che non ci siano prove di qualsiasi irregolarità». E ha aggiunto: «Siamo soggetti a frequenti controlli degli enti regolatori e siamo impegnati a raggiungere gli elevati standard da loro imposti». RICCHI, FAMOSI E AL DI SOPRA DELLE TASSE Tra i big dell’industria spicca Paul Allen, co-fondatore di Microsoft. I file di Appleby segnalano i suoi investimenti attraverso società offshore in un mega-yacht e alcuni sottomarini. Anche il re dei fondi d’investimento George Soros, grande finanziatore dei democratici americani, è presente negli elenchi. Le sue strutture di private equity ricorrono a una rete di offshore per operare nel campo delle riassicurazioni (maxi-polizze per altre compagnie assicurative). A Soros fa riferimento anche un’organizzazione filantropica, la Open Society Foundations, che ha sovvenzionato Icij. Ora il consorzio gli ha chiesto un commento sulle sue operazioni finanziarie, ma Soros ha declinato. Altre domande, inviate a Paul Allen e Madonna, non hanno nemmeno avuto risposta. I POLITICI ALL’OMBRA DELL’OFFSHORE Nei file americani spunta anche il predecessore di Wilbur Ross nella carica di segretario al Commercio, Penny Pritzker. L’esponente democratica aveva promesso di vendere i suoi investimenti per evitare conflitti d’interesse, dopo essere entrata nel governo del presidente Barack Obama. Gli archivi di Appleby dimostrano però che, dopo essere stata confermata dal Senato nel giugno 2013, Pritzker ha trasferito i suoi interessi in due entità delle Bermuda a un’impresa che usa lo stesso indirizzo email della sua finanziaria privata di Chicago. Una finanziaria, si apprende sempre da Appleby, «controllata da trust a beneficio dei figli di Penny Pritzker». Il consorzio le ha chiesto se queste scelte siano in linea con i requisiti etici richiesti dalle leggi federali. Ma Pritzker non ha risposto. Per il Canada fa scalpore il nome di Stephen Bronfman, consulente e amico stretto del primo ministro Justin Trudeau. Secondo gli archivi di Appleby, Bronfman, che è miliardario, è in affari con Leo Kolber, una colonna del partito liberale ed ex senatore del Canada, e con il figlio di quest’ultimo. Dai documenti emergono trasferimenti di milioni di dollari in un trust delle isole Cayman. Manovre, via offshore, che potrebbero aver evitato di pagare imposte in Canada e negli Stati Uniti, secondo gli esperti consultati da Icij che hanno esaminato tremila documenti sull’attività del trust. Mano a mano che le ricchezze offshore crescevano, secondo le carte di Appleby, avvocati di Bronfman e dei Kolbers premevano sul Parlamento canadese per bloccare proposte di legge finalizzate a tassare i trust offshore. Bronfman è un tesoriere fondamentale per Trudeau, che pure ha promesso un giro di vite contro l’elusione fiscale internazionale. In settembre Trudeau, all’assemblea generale delle Nazioni Unite, ha dichiarato: «Abbiamo un sistema che permette ai canadesi ricchi di ricorrere a società private per pagare tasse più basse di quelle pagate dalla classe media. Non è corretto, dobbiamo porvi riparo». In una lettera mandata al partner canadese di Icij, la tv Cbc, gli avvocati di Kolber scrivono che «nessuna transazione è stata eseguita o decisa per evadere il fisco». Limitandosi ad aggiungere che «i trust rispettano le leggi applicabili». LE REGINE E I MINISTRI IN PARADISO Tra i 120 politici di tutto il mondo che risultano collegati a società offshore emergono molti nomi eccellenti. Come Sam Kutesa, ex ministro degli esteri dell’Uganda ed ex presidente dell’assemblea generale delle Nazioni Unite; il ministro delle Finanze del Brasile, Henrique de Campos Mireilles, presente nelle liste di Icij con una fondazione costituita nelle Bermude «per scopi caritatevoli»; Anantas Guoga, lituano, parlamentare europeo e giocatore professionista di poker: a lui fa capo una quota di un’offshore nell’Isola di Man, che vede, tra gli altri azionisti, un re del gioco d’azzardo, finito sotto indagine per frode negli Stati Uniti in una vertenza poi chiusa. Alcuni dei tanti politici, sentiti da Icij, hanno risposto dando le loro giustificazioni. Sam Kutesa, tramite il quotidiano dell’Uganda “The Daily Monitor”, partner del consorzio, sostiene di non aver fatto nulla con le offshore: «Ho detto ad Appleby di chiuderle molti anni fa». Campos de Meirelles afferma che la fondazione da lui creata non avvantaggerà lui personalmente e sosterrà attività benefiche per l’istruzione dopo la sua morte. Mentre Guoga dichiara che il suo investimento in una società dell’isola di Man è stato segnalato alle autorità e di aver venduto le ultime azioni nel 2014. La conclusione di questa nuova inchiesta giornalistica internazionale, secondo il consorzio Icij, è ben descritto nelle parole della studiosa Brooke Harrington: «Quando il ricco diventa più ricco, il povero diventa più povero, perché i ricchi non pagano la loro giusta quota di tasse». 5 novembre 2017 |