Foto: Don Pirlone numero 128
Mancano ancora poche ore e poi lo sventramento della nostra Costituzione più sostanziale della nostra storia, approderà al Senato e farà impallidire tutte le precedenti riforme, da quella del Titolo V, a quella che ha introdotto il pareggio di bilancio.
Dell’impianto democratico costruito nel dopoguerra, quando all’interno della Costituente nei rapporti di forza pesava il Partito comunista, resterà poco, giusto qualche intento che darà una pennellata “etica” all’assetto totalitario del nuovo ordinamento, come i codici etici delle multinazionali dove sembra che la missione aziendale sia il benessere del mondo e non il profitto costi quel che costi.
L’accostamento con le regole che le multinazionali si danno non è casuale e vedremo più avanti perché. Ora guardiamo cosa diventerà il Senato, sempre che non intervengano altre modifiche in aula: salta il bicameralismo perfetto, vale a dire il sistema delle due Camere equipollenti, pensate nella Costituente per contrastare il progetto liberale di una Camera bassa e una alta sul modello inglese, dove la parte bassa è quella occupata dai Comuni e quella alta è occupata dai Lords, i signori per nascita che ancora oggi siedono nel parlamento inglese per diritto.
Il nuovo Senato italiano sarà composto da cento elementi: 95 saranno “eletti dagli eletti”, una formula selettiva quanto il caso di nascere duca, e usciranno da votazioni – queste sì, rigorosamente proporzionali – all’interno dei Consigli regionali e tra i sindaci.
Altri cinque saranno invece designati dal presidente della Repubblica.
Questa “Camerina” eserciterà prevalentemente “la funzione di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica”, ovvero Regioni e Comuni. Non esprimerà più la fiducia o la sfiducia a un governo. Potranno invece esprimere “pareri” sulle nomine governative e nominare commissioni d’inchiesta sulle “autonomie territoriali”.
Il loro numero ridotto e il fatto che non saranno retribuiti, ha fatto gridare di entusiasmo per il risparmio di 500 milioni l’anno i media italiani e anche l’Huffington Post, diretto dalla signora dell’Aspen, Lucia Annunziata. Ma la democrazia ha un costo, per permettere anche a chi non ha nulla, di fare politica: chi potrà permettersi le trasferte a Roma e un appartamento nella capitale, una volta conquistato l’ambito seggio a Palazzo Madama?
Solo chi fa politica con le spalle molto coperte per capitali propri (ovvero estorti dallo sfruttamento del mondo del lavoro) o perché gli vengono conferiti incarichi di lobby. Di rappresentare, cioè, degli interessi molto particolari che insistono sui territori dove sono stati eletti.
Se proviamo a contare quanti sono quelli che in Italia possono esercitare pressioni usando il proprio potere economico, tra industrie, banche e mafia, il conto si ferma molto presto a numeri da prefisso telefonico.
Correttamente il Fatto Quotidiano ha definito le modifiche in corso un “disegno anticostituzionale e piduista”. Che è stato possibile attuare solo quando è stato completamente smantellato il Pci, grazie al lavoro congiunto svolto da forze politiche interne e internazionali, che hanno formato un fronte che va dal terrorismo, alla massoneria, al Vaticano, all’industria, alle banche.
Queste ultime riforme (che non saranno le ultime) sanciscono la fine della democrazia rappresentativa, che viene sostituita da una rappresentazione della democrazia.
Che purtroppo ha anche la solita caratteristica italica di essere “tragica ma non seria” e di concludersi in modo disneyano: i cinque posti attribuibili dalla presidenza della Repubblica sono già occupati dai senatori a vita Ciampi, Rubbia, Monti, Piano e Cattaneo.
Quando Napolitano lascerà il Quirinale sarà il centounesimo senatore, anche se non è un dalmata.
Sezione comunista Gramsci-Berlinguer (Pisa)