Di cellulare in cellulare, attraverso la rete di messaggeria WhatsApp, cominciò a circolare una lista di misure che mescolavano quelle presentate ufficialmente con altre false, alcune pensate per provocare stupore, molestia e scomodità
Quando poco più di un mese fa è stata diffusa una lista ufficiale di attività per le quali s’iniziava un ritorno graduale per fasi alla normalità, annunciando che sarebbero state precisate dalle più alte autorità nella trasmissione Mesa Redonda del giorno dopo, un senso di sollievo e d’aspettativa percorse le menti dei cubani, ma con l’avanzare delle ore di quel pomeriggio e di quella notte, un messaggio si diffuse con la velocità di un fulmine.
Di cellulare in cellulare, attraverso la rete di messaggeria WhatsApp, cominciò a circolare una lista di misure che mescolavano quelle presentate ufficialmente con altre false, alcune pensate per provocare stupore, molestia e scomodità.
Tra i gruppi di navigatori ai chats privato e viceversa, la portata della lista falsa si moltiplicava ogni minuto. Non si saprà mai esattamente quante persone l’hanno letta e quanti hanno creduto al suo contenuto o hanno potuto riconoscere il linguaggio sospetto, distante dai termini abitualmente utilizzati negli ambiti di governo e di comunicazione con la popolazione, nel quale si notavano le stonature.
Rapidamente diversi giornalisti di media ufficiali, per iniziativa personale, hanno allertato dal loro muro di Facebook sulla circolazione della falsa lista di misure. Ma a mezzanotte probabilmente la maggior parte dei cubani che hanno internet nel cellulare e utilizzano WhatsApp l’aveva letta. Il giorno dopo, con la Mesa Redonda è stata dimostrata la sua falsità, ma gia la lista aveva realizzato il suo fine.
Come si trattasse di antibiotici che perdono effettività, nella risposta di fronte all’uso delle reti sociali per la guerra mediatica contro Cuba alla quale partecipano molti attori sociali con ruoli diversi, non è sufficiente contrapporre la vera informazione. Non basta aspettare l’emissione della notte del NTV o il quotidiano del giorno dopo. Ma non si tratta già dell’immediatezza del digitale contro il ritmo proprio dei media tradizionali.
Si tratta, principalmente, dell’intenzione.
L’evoluzione della guerra mediatica finanziata dagli Stati Uniti si è mossa dal terreno informativo all’emotivo. E non si tratta di una dinamica di disinformazione contro informazione, ma di emotività contro la razionalità.
Il proposito dela lista non era l’effimero di disinformare, ma mantenere attive in segmenti della società cubana, le spinte di molestia, mancanza di fiducia, risentimento e avversione verso tutto quello che provenga dalla direzione politica dell’Isola. Non importa che dopo risulti falsa, se al momento realizza l’obiettivo permanente.
Non è una guerra di contenuto, ma di spinte emozionali.
Quando le persone fanno scivolare il dito sul loro cellulare e aprono la grafica del loro muro di Facebook, in pochi istanti passano davanti ai loro occhi immagini e titoli che captano, o meno, la sua attenzione. Un crescente numero di pagine webbs controrivoluzionarie basano la loro portata mediatica nella semplice combinazione d immagini e titoli, con l’effetto della manipolazione che questa produce.
Anche se la persona non apre il contenuto, questa basta per piazzare il tema che gli interessa.
Il semplice uso di titoli e contenuti di lettura rapida si combina con gli scherzi e la produzione di video per YouTube, o la trasmissione in diretta vía Facebook.
Gli studi di traffico o lettura, che beneficiano i siti digitali dei grandi media non sono capaci di misurare l’effetto soggettivo che produce emotivamente questo tipo di guerra della comunicazione.
Questa influenza sulle emozioni nelle reti sociali è stata efficace per usare a loro favore il desiderio di prezzi più bassi per l’accesso a internet, l’inquietudine provocata dalla scarsità e dalle code nei negozi, il disgusto di fronte alla cattiva qualità di vari servizi.
Costantemente pone come «leaders d’opinione», musicisti, umoristi, attori e ogni tipo di figure pubbliche, sempre e quando le loro pubblicazioni siano sufficientemente superficiali per essere utili a questi propositi.
Ottenere la decomposizione di dibattiti legittimi e critiche necessarie è una missione permanente. Quello che è sorto con ragione come una recente critica urbanistica e architettonica o forse estetica, partendo da alcune sfortunate azioni di costruzione nella capitale, è stato redatto a forza d’induzione nelle reti per cercare di trasformarlo in uno spazio d’espressione contro il governo.
La segmentazione delle zone del pubblico digitale cubano implica per queste intenzioni sia lo sfruttamento di temi d’interesse generale o nazionale, come quelli propri di settori specifici: mentre l’apertura di mercati in dollari può captare interesse della maggior parte della popolazione.
Il patrimonio architettonico nel Vedado è molto più sensibile solo per una parte, minore, ma con un inserimento sociale strategico dentro questa.
Le azioni mediatiche che risvegliano emozioni e inibiscono la razionalità di ogni segmento si modificano e s’amplificano da spazi comuni o differenti. L’azione delle pagine webs e youtubers orientate alla popolazione più ampia, si combina con spazi digitali «alternativi» pensati per un settore con sviluppo sociale e professionale nelle arti, le università e lo stesso mondo giornalistico o del sistema della cultura.
Sequestrare cause sociali e temi come il razzismo, i diritti sessuali e i ruoli di genere, le cui conquiste educative e legislative sono state portate avanti precisamente per la loro integrazione con le istituzioni come parte dell’agenda di governo e della trasformazioni che la Rivoluzione ha prodotto, è un altro obiettivo. Trasformare la sensibilità in fanatismi irrazionali, per ottenere quello che
Coloro che prima sono stati discriminati ora si mostrano tanto e più intolleranti contro le stesse istituzioni che difendono questi diritti.
Ma importano davvero i nostri diritti sessuali come cubani a coloro che stanno nelle reti dietro a questi media digitali e che si beneficiano del denaro che ricevono per versare veleno contro il loro stesso popolo?
Chi lotta di più per questi diritti? Quelli che perseguitano insultando ed esigendo rinunce, o un’istituzione come il ICRT, che per politica dello Stato produce telenovelas ed emette ore di televisione per educare sul tema?
Quello che abbiamo visto fabbricare contro la Polizia Nazionale Rivoluzionaria diventa un fattore comune in questa guerra mediatica di emozioni contro la razionalità, che non rispetta nemmeno la morte di un giovane e popolare cantante, per usarla contro lo stesso Sistema di Salute Pubblica che non hanno potuto vedere fallito di fronte alla COVID-19.
Si tratta di costruire una specie di «festa virtuale» nella quale vediamo i mercenari al servizio della strategia degli Stati Uniti contro Cuba, come i nostri «amici di Facebook», come si trattasse dell’attività sociale più naturale del mondo.
Mai come adesso siamo stati tanto esposti al finanziamento degli Stati Uniti alla comunicazione contro Cuba, con la differenza che se nei decenni precedenti all’uso della diffusione radiofonica e televisiva, le emissioni d Radio e TV Martí iniziarono di colpo, la penetrazione d’internet è stata graduale, alla pari di necessaria o imprescindibile.
Oggi 3,9 milioni di cellulari a Cuba hanno la connessione per dati mobili a internet e si stima che alla fine di quest’anno saranno 4.2 milioni e questo equivale alla metà della popolazione adulta. Significa che già il paese ha più cellulari con connessione che televisori.
Sommando i cubani che si connettono per altre vie, la cifra si eleva a più di sette milioni e continuerà a crescere.
Alcuni temi necessitano una risposta diretta, altri si potrebbero inglobare in una risposta sistematica che allerti sulle intenzioni nelle quali s’inseriscono.
A proposito di questo, il Presidente ha affermato davanti al Consiglio dei Ministri: «Non possiamo continuare ancorati con forme di comunicazione precedenti all’era digitale e non possiamo burocratizzare i processi ideologici».
Dobbiamo, per ottenerlo, superare completamente l’indebolimento sofferto dal termine «reti sociali» in alcune zone del dibattito rivoluzionario nella base, a volte con una connotazione peggiorativa, che non smette di mostrate una mancanza di conoscenza.
Sarebbe imprescindibile che le strutture di base delle organizzazioni politiche integrassero alla loro agenda principale la continuazione del funzionamento mediatico e sociale delle reti.
Anche quando fattori d’età economici e d’integrazione tecnologica lo rendono difficile, sarebbe necessaria, in molti casi, una riforma della gerarchizzazione tematica negli spazi di discussione.
Il peso del paradosso fa risultare che coloro con più esperienza e conoscenza accumulate sul tema non sono quelli di maggior età; questo necessita che tutti si sia ricettivi di fronte al fatto di vivere non solo un’epoca di cambio, ma anche un cambio d’epoca. (GM – Granma Int. )