di Danilo Di Lorenzo
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E’ questo il quadro emerso dalle carte depositate giovedì 2 marzo alla prima udienza preliminare del processo “Gotha” con cui la Procura della Repubblica di Reggio Calabria, retta da Federico Cafiero de Raho, intende portare alla sbarra la masso-‘ndrangheta della provincia di Reggio Calabria. Il procedimento è figlio dell’unione di vari tronconi d’indagine in cui sono coinvolti, tra gli altri, gli avvocati Paolo Romeo e Giorgio De Stefano, ma anche i politici Antonio Caridi e Alberto Sarra, nonché altri soggetti istituzionali o magistrati in pensione come Giuseppe Tuccio e, ovviamente, importanti esponenti della ‘ndrangheta, come Dimitri De Stefano, figlio di don Paolino e fratello del “Crimine”, Giuseppe De Stefano e, ancora, l’ex presidente della Provincia di Reggio Calabria, Giuseppe Raffa, il sacerdote Giuseppe Strangio e la giornalista Teresa Munari. Affari sporchi che si intrecciano con massoni della P2 e istituzioni. Tra i documenti portati in aula bunker dai pm della Direzione distrettuale antimafia anche gli interrogatori di alcuni collaboratori di giustizia che rischiano di provocare in Calabria un terremoto che, seppur con epicentro nel sud Italia, si farà percepire lungo tutto lo stivale. Da quei verbali, infatti, emergono nomi importanti: sottosegretari di Stato, parlamentari, politici regionali e mafiosi di rango. Ma anche magistrati e uomini delle forze dell’ordine che avrebbero partecipato a riti massonici.Fatti e circostanze ovviamente da dimostrare ma intanto il 9 Marzo, Caridi, Sarra, Romeo e tutti gli altri imputati sono stati rinviati a giudizio. |
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Le rivelazioni del collaboratore di giustizia Russo “Dottore, quando parliamo dei Piromalli stiamo parlando di un’istituzione, stiamo parlando di un secondo Stato, sono di Piromalli. Vi parlo del processo ‘Tirreno’, tre fratelli coinvolti, due assolti, risarcimento dallo Stato e uno condannato. Su tre ha pagato solo uno. Hanno rapporti con i giudici dappertutto. Loro arrivano dappertutto dottore”. Grembiulini quindi al servizio delle cosche che, per ottenere favori, secondo quanto ritiene il pentito, non hanno bisogno di esporsi tanto c’è chi lo fa per loro. “Non è che vanno direttamente dai giudici, ma per interposta persona. Loro hanno la chiave per arrivare al giudice, per aprire la porta, io su questo posso riferire, posso riferire su alcuni giudici. I Piromalli sono tutti massoni, Gioacchino Piromalli è massone, don Peppino Piromalli era massone”. Cosi il collaboratore riferisce al pm Musolino che lo interroga.Russo fa anche il nome del commendatore “Carmelo Cortese di Catanzaro” che “aveva i rapporti con Licio Gelli”. Stando all’interrogatorio, Cortese e don Gioacchino Piromalli erano iscritti alla stessa loggia: “Erano tutti con lui. C’era Paolo De Stefano, tutta la ‘ndrangheta c’era iscritta con il commendatore Cortese, colui il quale comandava l’ospedale militare di Catanzaro. Facevano questi riti di inizializzazione con la spada, tutti vestiti con i cappucci, avevano invitato anche a me ma non ci sono voluto entrare. A queste riunioni – secondo il racconto messo a verbale – dei templari era presente Stillitano Rocco Ivan, era presente Saverio Saltalamacchia (che era stato arrestato per droga mi pare questo ragazzo)… c’era il principe Romanov, è un pezzo grosso questo”. Ma anche “generali della Guardia di finanza, dei carabinieri, della polizia di stato, dei vigili del fuoco… tutti in alte uniformi”. |
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Le dichiarazioni di Fondacaro “Ho riferito appunto come dicevo di essere stato membro della massoneria, delle loggia Giustinianea già dal… fine ‘8O, inizio 90 … su Roma, quindi ho avuto molti rapporti con la loggia di Piazza del Gesù di cui faceva parte anche Andreotti e altri uomini importanti”. Così il dottor Marcello Fondacaro, in passato medico vicino alle cosche calabresi e massone, oggi collaboratore di giustizia, riferisce ai pm della Dda di Reggio Calabria.Molte informazioni riportate, Fondacaro le riceve da Luigi Emilio Sorridente, massone e uomo dei Piromalli, cui gli inquirenti ritroveranno materiale riconducibile alla P2 di Licio Gelli: “Sorridente… mi dissero che dovevano (inc.) riunione presso l’Hotel Plaza, dove albergavano In quel periodo unitamente a Don Stilo, con Pietro Aranlti, che allora era onorevole nazionale, anche lui fratello massone … e dovevano incontrare Matacena Amedeo. In quella occasione mi disse … Luigi mi Invitò se volevo partecipare a questo convivio, in pratica avevano organizzato una cena sempre su Roma, al centro di Roma “Al faciolaro” si chiama così il ristorante, alla quale partecipai…”. “Si, allora in riferimento all’Incontro con l’onorevole Pietro Araniti in quell’occasione quando venne su a Roma, volevo precisare che il Pietro Araniti in quel periodo era onorevole del PSI quindi Partito Socialista Italiano e io frequentavo il Partito Socialista, la sede centrale, quindi con … all’epoca di Craxi, il Martelli, Giacomo Mancini, Gaetano Mancini, i fratelli Gentile di Cosenza per cui Pietro mi invitò, prima di tutto dicendomi che era un Invito politico, con … unitamente al placet del Gentile, dei fratelli Gentile con i quali io avevo rapporti in quel periodo e successivamente mi invitò da questo “Faciolaro”, parlandomi poi del suo rapporto massonico come il mio in quel periodo, nella stessa occasione volevo puntualizzare che quando ci siamo incontrati su dal Barone Placido sulla Ionica era presente anche Don Stilo che non avevo precisato, Don Stilo, il prete di Africo, parente dei Morabito in parole… che poi era molto amico di Luigi Sorridenti, della famiglia Sorridenti e oltretutto era anche lui massone”. Don Stilo, chiacchierato prete di Africo, oggi deceduto, non sarebbe l’unico prete massone: “Don Stilo lasciò la sua eredità a Don Strangio di San Luca, la sua eredità intesa eredità di rapporti, di rapporti politici, di rapporti massonici e da quello che so io anche Don Strangio fa parte di questa massoneria, di questa loggia massonica, anche lui…”. E anche lui è imputato nel procedimento “Gotha”, proprio per associazione segreta. Un ambiente in cui sarebbero aggirati politici, preti e uomini di potere. Fondacaro prosegue: “[…] si, sapevo che lo ero uno dei fratelli e lo disse a Luigi Sorridente, e Luigi Sorridente mi avvicina dicendo “so che tu sei un fratello, se vuoi stasera abbiamo una cena con corregionali, conterranei, se vuoi partecipare ci farebbe piacere che ci fossi anche tu”, io dico “va bene, perché no ..:’. A questa cena venne poi l’onorevole Meduri, non mi ricordo il nome, è di Reggio Calabria, basta vedere… anche lui mi fu presentato come fratello, questa è la prima volta che io incontro dei soggetti massoni che … di altra loggia … della stessa loggia ma di altra regione … mi ricordo perché… Luigi Meduri… quindi dicevo che è stata la prima volta … prima che io scendessi giù in Calabria ad iniziare ad aprire quella struttura “Villa Bianca” di Gioia Tauro, come casa di riposo inizialmente, in cui incontro dei soggetti che mi furono presentati come fratelli massoni. Successivamente incontro Luigi Sorridente … quindi scendendo giù in Calabria, mi stabilisco nella mia struttura, vado e vengo da Catanzaro per pratiche riferite alla mia struttura, quindi l’apertura dal punto di vista amministrativo, ed in un successivo incontro sempre che ho fatto, come sempre, quando… venendomi a trovare questo Luigi Sorridente, mi invitava ad andare in questo tempio che si trovava tra Siderno e Gioiosa Ionica, più nel comune di Gioiosa Ionica, perché è sulla superstrada Ionica, diciamo la 106, superato l’albergo … il “Parco dei Principi” mi pare che si chiami l’albergo dei Coluccio, sullo stesso lato andando in direzione nord, verso Gioiosa, c’era questo tempio di un certo barone Placido, il tempio•.. c’era una loggia coperta, per quello che mi fu accennato dallo stesso Luigi Sorridente. Ci siamo recati in questo tempio pomeriggio, insieme ci siamo incontrati li con…”. Inizialmente confuso sui nomi, Fondacaro chiarisce ben presto le idee, identificando la loggia coperta con quella di Pino Strangi e Luigi Emilio Sorridente, appunto: “Nella stessa occasione veniva pure Pino Strangi, ex sindaco di Gioia Tauro, unitamente al cugino Salvatore Strangi, di Gioia Tauro, ex dipendente Cassa di Risparmio, c’era anche Carlo De Luca di Cosenza…”. Una loggia che sarebbe stata una deviazione della Loggia Giustinianea: “Ho saputo che era la P2, la ex P2 di Licio Gelli, perché Pino Strangi mi parlò proprio di questo, che lui era il gran maestro, diciamo a Gioia, e per il circondario, perché non era solo Gioia Tauro, rientrava anche Palmi, rientrava sotto la sua giurisdizione in questo senso … della P2 … si, anzi lui mi disse che fu pubblicato In quell’elenco di tutti quelli che appartenevano alla loggia P2, quando furono scoperti I registri del famoso Gelli, il gran maestro Gelli … c’era anche il nome di Pino Strangi. So che si rivolgevano spesso anche … di questa ne fa parte anche Vincenzo Ruggiero, il commercialista, man mano che parliamo mi vengono In mente… il figlio di Gianni Ruggiero .. che lui con … anche lui con l’onorevole .. è stato sottosegretario all’ambiente … adesso lui tramite questo ha avuto l’incarico prima in provincia di Reggio Calabria, alla provincia, è stato assessore… consigliere provinciale…”. Un sottosegretario che Fondacaro identifica come “vicino a Paolo Romeo” e che, con il passare del confronto con il pm Stefano Musolino riconosce in Elio Belcastro. Tutti uniti, a prescindere dalla formale appartenenza politica: “[…] e disse “no, diceva è tutta una cosa Marcello …., non gli Interessava il colore politico … io sapevo che non gli interessava il colore politico, nel senso che poteva anche essere anche di un partito di estrema destra o estrema sinistra, se sei fratello sei fratello … fratello massone, in questo senso”. E tra i fratelli massoni vi sarebbe stato anche il giudice Giuseppe Tuccio, imputato nel procedimento “Gotha” per i suoi rapporti con Paolo Romeo. Ma non sarebbe stato l’unico togato: e allora … si… ìo ho sentito parlare anche di magistrati, mi meravigliai tanto quando ne sentii parlare”. Nomi fin qui coperti dagli “omissis”. |
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La lettera di Furfaro Il nome del giudice Tuccio, rispunta a distanza di anni dalla lettera depositata al processo, da Furfaro risalente al 2010.Furfaro originario della Piana di Gioia Tauro, racconta dapprima l’esilio forzato in Francia: “Il 31 luglio del 1981 Piromalli ha ordinato l’uccisione di due miei figli, Vincenzo di 26 anni e Giuseppe di 22. Siccome io conoscevo le abitudini di Piromalli, che una volta che decideva di uccidere qualcuno non si fermava fino a quando non avesse distrutto l’intera famiglia, pensai di svendere tutto quello che avevo e scappare in Francia”. Da li prosegue raccontando di aver denunciato i responsabili dell’uccisione dei figli, ma anche di altre persone. Il dato inquietante, che l’anziano consegna al CSM, riguarda però il magistrato Tuccio definito “angelo custode e protettore dei Piromalli”. Tuccio, per anni in servizio a Palmi, viene definito da Furfaro “un magistrato corrotto”, che non avrebbe denunciato, fino a quel momento, per paura di ritorsioni da parte dello storico casato di Gioia Tauro: “Ero a conoscenza dell’amicizia con i Piromalli perché nel 1973 sono stato in carcere a Palmi e ho conosciuto un tale sig. Zito Giuseppe, di Gioia Tauro, che le forze dell’ordine avevano arrestato e trovato con armi, rivelatisi del boss Piromalli. Tale Zito, ho appreso essere un killer a disposizione dei Piromalli. Don Mommo Piromalli si mise subito all’opera per ottenere la liberazione del suo “beniamino” grazie all’intervento dell’allora pubblico ministero del Tribunale di Palmi, dott. Giuseppe Tuccio, uomo disonesto che si è lasciato convincere a fare il gioco dei potenti a discapito di giovani innocenti”. Nella lettera, Furfaro indica i nominativi di almeno una decina di omicidi di cui potrebbe individuare la paternità: “Tutti questi omicidi sono stati da me denunciati sia al magistrato Tuccio, sia a un certo magistrato Pennisi, che venne da me assieme all’ispettore di Polizia di Gioia Tauro, Pasqualino Loiacono. Però, mentre Pennisi si rivelò contento della mia deposizione, Tuccio non volle mai verbalizzare alcunché e durante un processo celebrato a Catanzaro si adoperò per dimostrarsi favorevole al clan Piromalli, facendo assolvere gli imputati”. Una vita di drammi, quella di Furfaro, che l’anziano attribuisce ai Piromalli, ma anche al magistrato Tuccio, non visto come un presidio dello Stato su un territorio difficile come quello della Piana di Gioia Tauro, ma, anzi, come un alleato dei clan: “Il magistrato Giuseppe Tuccio provvedeva in ogni occasione ad avvertire preventivamente i Piromalli di ogni e qualsiasi operazione di polizia che li potesse interessare”. |
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Il vero potere gestito dai calabresi. Parola a Virgiglio Il collaboratore di giustizia Virgiglio svela i retroscena della loggia massonica coperta e tira in ballo esponenti di primo piano della Chiesa e delle cosche. Spuntano anchei nomi di Licio Gelli e Franco Sensi.«Dato che dovevo rimanere riservato, vengo sacrato cavaliere all’interno della chiesa di Sant’Anna, all’interno delle Mura del Vaticano. (…) Su di me avevano altri progetti, cioè Franco, non avendo figli maschi, aveva deciso… Franco chi? Franco Sensi, l’ex presidente della Roma». Ha avuto frequentazioni molto “alte” il collaboratore di giustizia Cosimo Virgiglio e lo mette nero su bianco nel suo interrogatorio del 16 febbraio scorso, alla presenza dei pubblici ministeri Giuseppe Lombardo e Stefano Musolino. «Vengo iniziato la prima volta agli inizi degli anni ’90 a Messina, presso il “Grande Oriente d’Italia”. Il tempio si trovava nella zona alta di Messina, precisamente nella zona Papardo. I miei presentatori, definiamoli così – spiega il pentito delle cosche della Piana di Gioia Tauro – l’allora preside della Facoltà di Economia e Commercio, Caratozzolo, e il figlio Marcello, quest’ultimo era colui che aveva, all’epoca, i principali agganci a livello nazionale, sia con la parte buona che con la parte non buona». Virgiglio racconta di essere entrato prima in un “Rotary club” e poi nel “Sacro Sepolcro”, meglio individuato come “Ordine equestre del Sacro Sepolcro” di Messina. «All’interno del Rotary Club – chiarisce – figuravano le più importanti figure cattedratiche, quindi tutti i professori universitari sia della mia facoltà che principalmente della facoltà di Giurisprudenza, ed anche medicina». Virgilio, dunque, arriva nella sede di via Nino Bixio, a Messina, dove incontra Mimmo Borgese «all’epoca proprietario dell’hotel Mediterraneo” sulla Statale 18, l’oggi defunto Mimmo Piromalli, meglio conosciuto come il padre “dell’orbo”. Si chiamavano “compari” con Marcello Caratozzolo, e la presenza di questo Piromalli, che arrivò a bordo di un’Alfa 164 verde». «Vengo ad essere preso nelle grazie di Franco Sensi, che all’epoca in Calabria lui aveva un grande interesse, quello di sezionare quelli che erano i suoi depositi di idrocarburi sul porto di Vibo e portarseli su Gioia Tauro, che poi, su mia insistenza, gli dissi io di non venire perché doveva passare tramite l’avallo della criminalità organizzata, ma lui mi sembrava determinato, anche perché già aveva trovato un avallo a Vibo, con altre famiglie… e da lì lui mi disse: “Ti devo portare a Roma”, cioè il “Sacro Sepolcro” a Roma, perché Messina era come “Sacro sepolcro”, ma il vero ordine, “L’ordine equestre del Sacro Sepolcro” era a Roma, il “core business” diciamo, di tutta la struttura». «Li conosco il mondo sotterraneo, il vero potere, la persona chiave che era Nino Gangemi che voi conoscete di sicuro perché era il nipote di Nino Molè. A Roma vengo a scoprire che lui era stato sempre il catalizzatore di quel mondo perverso a Roma ed il suo riferimento era proprio il figlio di… del presidente Leone, Mario Leone, che era avvocato all’epoca… ma anche lui in quel periodo era in subbuglio». Il pm Lombardo, allora, chiede un chiarimento a Virgiglio: ma cosa intende per mondo perverso? Il pentito non ha dubbi: «’Ndrangheta, intendo la ‘ndrangheta». E poi la precisazione: «Quando io parlo di massoneria non parlo di Goi o di Gran Loggia o di Garibaldini, o delle varie obbedienze, parliamo di massoneria per parlare del mondo di potere, quindi… in questo mondo di potere, all’epoca, faceva parte una fascia dell’Ordine equestre del Sacro Sepolcro, dove a capo c’era il vescovo Montezemolo, che era amico del grande Ugolini, Giacomo Mario Ugolini di San Marino, nonché gran maestro della “Loggia di San Marino”, nonché grande capo della loggia “Titano”, la discussa “Montecarlo”, ed il vescovo, che poi diventò cardinale, Montezemolo, era stato nunzio apostolico in Nicaragua, dove c’era Robelo, un altro nostro gran maestro, che era pure lui ambasciatore presso la Santa Sede, e poi fu anche nunzio apostolico a San Marino, quindi era una persona molto importante, questo Montezemolo. Quindi decidono di fare questa tornata, tornata lontana da occhi indiscreti, perché nel ’93 il mondo qui in Italia si stava un poco sconvolgendo, e cioè c’erano stati i cambiamenti con le stragi, cambiamenti con la grande attività investigativa di Milano, “Mani pulite”, il Goi era saltato per via di quella vicenda… tanti soldi…». Qui arrivano i primi lunghi omissis dell’interrogatorio, dove probabilmente Virgiglio fa i nomi di personaggi assai importanti che entrano nelle vicende da lui narrate e su cui la Dda vuole mantenere riserbo massimo per le indagini in corso. Virgiglio si sofferma anche sui riti che afferiscono l’ingresso in questa “loggia coperta”. «Per fare una sintesi, voi lo sapete meglio di me, ma tutto ci si lega, in questi sistemi, ad una forma di giuramento, ma non è un giuramento come lo si pensa, è una forma di timore, perché nella ritualità si dice… si viene prima bendati, poi si toglie la benda, dopo due ore di riflessione e gli si dice: “tutti quelli che ora sono bendati, ti hanno conosciuto, ora tu ti bendi e loro tolgono le buffe, e sappi che loro daranno la loro vita per proteggerti, aiutarti ed esserti fratello, allo stesso modo diventeranno cattivi contro di te”. Quindi è quella forma… un po’ diciamo è come quel senso d’iniziazione che viene fatta nelle attività criminali, ok? Quando c’è il santino che si brucia, alla fine è questo, se sbagli… e la massoneria aveva lo stesso sistema». Virgiglio sottolinea come Vibo Valentia fosse una delle logge più pesanti, «una che ha il rito più antico, integralista», la cosiddetta “morte profana”. Che cos’è? Sentite il pentito: «Viene fatta in un gabinetto di riflessione dove tu rimani seminudo per diverse ore, come lo stesso era quello che facevamo a San Marino con ugolini… addirittura lì sì… avevano la facoltà di farli morire al mondo profano nella rocca di San Leo, sono le massonerie più integraliste, rispetto al Goi, che il Goi invece è una struttura per lo più economica, basti pensare che un gran maestro arriva a prendere anche 20mila euro al mese». Virgilio prosegue il suo racconto introducendo la nascita dei Templari di Calabria e citando il medico Franco Labate, il quale avrebbe avuto un ruolo importante per la nascita degli stessi, i “Poveri cavalieri di Cristo”,, di cui Labate era gran maestro a livello centrale. Il collaboratore di giustizia racconta come Labate «aveva ricevuto, quando quasi morante, diciamo, un fee di ingresso a Villa Wanda dal vecchio defunto Peppino Piromalli, tramite il nipote di Piromalli, Luigi Sorridente». I pm chiedono se Villa Wanda sia la residenza di Licio Gelli, la risposta è positiva. «Gelli – spiega il pentito – non ha mai smesso, neanche oggi ha mai smesso, con tutto che è morto, di gestire una bella parte di potere occulto del nostro bel paese, al di là di quelle che sono le pubblicità che si dicono in giro. Al di là della P2, quando questo Franco Labate scalpitava, era sponsorizzato anche dai Barbaro della costa jonica, tra le altre cose, scalpitava per entrare in questo sistema di potere. Lui (Labate, ndr) era intimo amico di Nino Molè, perché lo curava, era intimo amico di Peppino Piromalli perché lo curava, era intimo amico di questi Barbaro perché lo curavano, al “Circolo velico” si muoveva bene”». Il riferimento è al circolo velico che il pentito definisce «quello del medico, del dermatologo Colella». L’ambizione di Labate era enorme: «Voleva prendere il posto di Gelli». Labate riesce ad ottenere l’incontro con Gelli, sempre tramite Luigi Sorridente, e il “venerabile”, racconta Virgiglio, dice: “Sì, facciamo questo… dobbiamo arrivare al Vaticano”. Era il periodo in cui Giovanni Paolo II stava per terminare la sua vita terrena. «Dice: “Arriviamo al Vaticano perché una volta che arriviamo al Vaticano legalizziamo tante cose che loro volevano…». Anche qui una pagina di omissis infarcita di nomi e circostanze. Di certo c’è che quel progetto di far entrare all’interno della Chiesa quell’ordine dei Templari, riesce perfettamente. Ma cosa voleva la ‘ndrangheta in tutto ciò, partendo dal ruolo di Sorridente e poi da quello dei Piromalli? Virgiglio è schietto: «Dai templari? Soldi… riciclare soldi. (…) Tanti soldi erano andati a finire negli Stati Uniti e questi soldi dagli Stati Uniti li doveva portare in Italia un certo De Nofa, che era un imprenditore che era negli Stati Uniti. I soldi erano già lì, i soldi della mafia, dovevano essere riciclati qui in Italia, e quindi li volevano fare canalizzare attraverso questo gruppo di templari». Ugolini aveva in mano i servizi. Sono parole pesantissima quelle di Virgiglio, condite da ovvi omissis della Dda, perché il suo narrato coinvolge personaggi di spessore. Il pentito ricorda inoltre di aver conosciuto Licio Gelli, però «alla fine ultimamente si era… aveva il suo piccolo gruppetto, ma non aveva il gruppo grosso che aveva invece Ugolini, il gruppo grosso era Ugolini, perché aveva in mano il Sismi, il Sisde… “omissis”». Campana, l’uomo che ottenne potere da Gelli. «L’unica persona a cui Gelli onestamente dava riferimento, cioè aveva dato potere, parlo ai tempi di Franco Sensi, era Antonio Campana di Cosenza. (…) Calabria, tutta la Calabria, Antonio Campana all’epoca arrivava dappertutto». |
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Dai verbali di Sarra: “Lamberti è un uomo dei Romeo” Sarra non è un collaboratore di giustizia ma esclusivamente un imputato del procedimento Gotha e per questo è detenuto in regime di isolamento. Ma Alberto Sarra, un tempo sottosegretario della giunta regionale e fedelissimo dell’ex governatore Giuseppe Scopelliti, sta parlando. Alcuni stralci delle sue dichiarazioni – rilasciate sotto interrogatorio nel settembre 2016 e nel febbraio 2017 – sono state depositate durante udienza preliminare del processo Gotha e sono destinate a fare parecchio rumore. L’ex sottosegretario infatti non solo «conferma – si legge nel verbale riassuntivo di settembre – che senza il Romeo le carriere politiche di Giuseppe Valentino, Giuseppe Scopelliti, Pietro Fuda, Antonio Caridi e Umberto Pirilli, non si sarebbero sviluppate o non si sarebbero sviluppate allo stesso modo» ma parla – in maniera approfondita – «della rete relazionale di Paolo Romeo».«Il primo nome che le segnalo – dice al pm Lombardo che lo interroga – è quello di Eduardo Lamberti Castronuovo, molto vicino politicamente all’onorevole Belcastro, assessore provinciale nella giunta presieduta da Giuseppe Raffa». Ex candidato sindaco del centrosinistra contro Scopelliti, Lamberti deve la sua notorietà non solo alle variegate attività imprenditoriali – è proprietario di un noto istituto clinico e di una rete televisiva – ma anche ad alla folgorante carriera politica. Divenuto assessore dopo il passaggio al centrodestra, pochi anni dopo è stato eletto sindaco di San Procopio. Un incarico che alla morte della Provincia gli ha permesso di aspirare all’ingresso in Consiglio metropolitano. Cosa puntualmente avvenuta. Sarra lo conosce bene. E conosce bene anche le trattative che hanno portato al suo ingresso nella giunta provinciale di centrodestra guidata da Peppe Raffa. «Prima della sua designazione incontrai Lamberti Castronuovo in Cannitello, presso il ristorante Chiringuito. Per tali ragioni parlai anche con Raffa. Le modalità della designazione provocarono alcune mie lamentele rivolte a Raffa, che portarono ad una riunione nella sede della Provincia». Sebbene Lamberti fosse entrato in giunta in quota Grande Sud, quella nomina a Sarra e ai suoi non era piaciuta. Ma, a detta dell’ex sottosegretario, a volerla era stato qualcuno ben più potente di lui. «Rappresentai in quella sede che quale movimento Grande Sud non ci erano piaciute le modalità di nomina, in quanto non ero stato informato che il prescelto era Lamberti Castronuovo. Noi preferivamo infatti il D’Agostino». Per capire come mai fosse stato scelto, spiega Sarra, ci è voluto un po’, ma il quadro poi si è chiarito. «Formalmente indicato dall’onorevole Belcastro», all’epoca sottosegretario all’Ambiente del governo Berlusconi e testa di ponte romana di Grande Sud, la nomina di Lamberti – spiega Sarra – «era in realtà voluta dal Paolo Romeo e dal suo gruppo. Non sono in grado di dire in che modo si possa ipotizzare la consapevolezza del Raffa o la sua adesione alla scelta». Per gli inquirenti, quelle che arrivano da Sarra sono conferme. Agli atti, ben documentate da numerose intercettazioni, ci sono infatti innumerevoli conversazioni fra Romeo e Lamberti, registrate proprio nel periodo di formazione della giunta Raffa. Un processo in cui Paolo Romeo avrebbe avuto un peso, se è vero, come sostiene Sarra, che «anche in questo caso la nomina di Lamberti quale assessore con delega alla Cultura e alla Legalità va inquadrata a mio avviso nell’interesse di Romeo di inserirsi in tali ambiti». Ma questo non è l’unico incarico – continua il sottosegretario – per il quale Lamberti abbia potuto contare sull’endorsement di Romeo. «La successiva candidatura a sindaco di San Procopio dello stesso Lamberti è da leggersi in una più ampia strategia diretta a collocarlo nel consiglio della città metropolitana». Un obiettivo antico per Romeo, che anche pubblicamente – tramite il forum Reggio 2020 – ha sempre predicato la necessità di costruire quella città-Stato metropolitana, che strizza l’occhio ai progetti secessionisti della ‘ndrangheta reggina degli anni Novanta. Ma quelle dell’ex deputato Psdi non erano solo parole. Per mettere le mani sul nuovo ente e soprattutto sulla pioggia di denari arrivati per agevolarne la nascita, Romeo ha costruito una ragnatela fitta di contatti, destinati a collocarsi in posti chiave. Fra loro – spiega Sarra – c’era anche Lamberti Castronuovo. Non più tardi di qualche mese fa entrato nel Consiglio metropolitano di Reggio Calabria. Per Romeo – è emerso tanto dalle precedenti dichiarazioni di Sarra, come da diversi atti di indagine – Grande Sud non era che uno degli strumenti partitici a sua disposizione. Del resto, nel corso della sua storia personale, l’ex deputato del Psdi ha cambiato diverse casacche e secondo diversi collaboratori ne ha anche vestite diverse contemporaneamente. Uomo di destra, per po’ gravita attorno all’Msi, mentre briga con i fascisti di Ordine Nuovo e Avanguardia nazionale, ma in Parlamento Romeo ci entra sotto le bandiere del Psdi. Quando la condanna definitiva per associazione mafiosa, derubricata dalla Cassazione in concorso esterno, lo obbliga a lasciare la politica attiva, sono diversi i canali attraverso cui fa pesare la propria influenza. “Voglio sottolineare” afferma Sarra “che Paolo Romeo negli incontri con me esprimeva la volontà politica di An, non un suo punto di vista. Questo avveniva alla presenza di Peppe Valentino, come dimostrano le intercettazioni in vostro possesso». Ma nello stesso periodo è sempre lui a sponsorizzare il poliziotto Seby Vecchio. «Per capire le ragioni di tale nomina è significativo valutare il fatto che lo Scopelliti non chiami direttamente Vecchio per comunicargli la sua nomina ad assessore, ma a mio parere questo avvenne per celare il suo rapporto con questi, in quanto legato a persone di altri schieramenti politici che Scopelliti non poteva rendere pubblici». All’epoca, Vecchio era infatti uno dei recordman di preferenze di Forza Italia. Nel 2011 invece, quando viene nominato presidente del Consiglio comunale, è uno degli uomini di punta del Pdl. Per Sarra, anche tale nomina è strumentale ad una strategia di Romeo. «Mi pare seguire – afferma Sarra – la medesima strategia che il Romeo aveva utilizzato per la designazione dell’avvocato Chizzoniti nel 2001. Propendo però per una causale che inquadra il Vecchio in una logica di politica trasversale». Nella rete di Romeo ovviamente non c’erano soltanto i politici. Anche il giudice Giuseppe Tuccio ne faceva parte. Ed era sempre ben informato sulle mosse delle amministrazioni legate a Scopelliti. A riprova di ciò, l’ex sottosegretario ricorda un episodio di cui è stato direttamente protagonista. «Siamo nel periodo in cui il Sole 24 Ore dava notizia di un mio imminente arresto. Il quel periodo, il dott. Boemi firmo una serie di protocolli di intesa con il sindaco Scopelliti». Ex capo della Dda reggina, all’epoca Boemi era a capo della Suap. Qualche anno dopo, al termine del suo mandato, tocca proprio a Scopelliti, nel frattempo diventato governatore, decidere se confermarlo o meno. «In quel periodo – ricorda l’ex sottosegretario – venni chiamato da Tuccio, il quale mi disse che era molto interessato a tale incarico. In quella sede mi disse che aveva saputo che Scopelliti avrebbe confermato Boemi. Mi disse anche che la conferma del Boemi era incompatibile con l’incarico dato a me, per le pregresse vicende giudiziarie che mi avevano riguardato nel 2008. Rimasi infastidito e non parlai di tale incontro a Scopelliti». A nome di chi il giudice Tuccio avrebbe neanche troppo sottilmente consigliato a Sarra di farsi da parte? Non è dato sapere. Allo stato, vistosi omissis coprono le dichiarazioni dell’ex sottosegretario, che spiega solo «chiesi poi a Giuseppe Scopelliti il motivo per cui avrebbe confermato Boemi. Mi spiegò che era stato il Boemi a chiederlo per ragioni strettamente pensionistiche». |
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I rinviati a giudizio Il senatore Antonio Stefano Caridi dovrà rispondere dell’accusa di associazione mafiosa e di altri reati. Il gup Laganà, infatti, lo ha rinviato a giudizio insieme agli altri 38 imputati del procedimento Gotha che hanno optato per il rito ordinario. Insieme a Caridi anche l’ex deputato Psdi, Paolo Romeo, considerato al vertice della direzione strategica della ‘ndrangheta reggina ed il suo braccio destro, Antonio Marra. Dovranno affrontare il dibattimento anche Don Pino Strangio, il giudice Giuseppe Tuccio, il dirigente comunale Marcello Cammera, il marchese Saverio Genoese Zerbi e l’ex sottosegretario regionale Alberto Sarra. Per i magistrati, hanno fatto parte della rete di potere costruita dalla cupola delle ‘ndrine per governare la Calabria. Ma non è tutto. Per gli inquirenti, infatti, la cupola riservata della ‘ndrangheta è solo parte di un organismo più grande – e ancora sconosciuto – che rappresenta tutte le mafie. I pentiti la definiscono “commissione nazionale”, “Cosa unita” o “Cosa nuova”. E secondo quanto messo a verbale nell’ultimo anno da diversi collaboratori di giustizia calabresi, siciliani, pugliesi e milanesi da decenni coordina le strategie criminali delle mafie in tutta Italia e non solo, grazie a “riservati” come il senatore Antonio Caridi.I magistrati li ritengono tutti uomini di cui questa nuova struttura della ‘ndrangheta si è servita per governare la Calabria e in parte l’intera nazione, anche grazie alla progressiva contaminazione della massoneria. Un processo che, secondo l’ex Gran maestro Antonio Di Bernardo ed alcuni pentiti, è iniziato circa quarant’anni fa ed è servito per creare una camera di intermediazione e incontro fra il potere mafioso e chi gestisce le leve istituzionali, economiche, politiche e finanziarie dell’Italia. |
10 Marzo 2017