Una volta superato il confine nessuno conosce la destinazione degli aiuti. Nemmeno gli Usa. In un Paese noto, già prima della guerra, per i traffici militari illeciti. Così queste forniture rischiano di armare la criminalità o alimentare nuovi conflitti
di Futura D’Aprile *
A un anno dall’avvio dell’invasione russa in Ucraina nel Paese continuano ad arrivare armi, munizioni e armamenti di vario tipo, in attesa di una nuova offensiva su larga scala da parte di Mosca. Gli Stati Uniti hanno annunciato a metà febbraio un ulteriore pacchetto di aiuti di 2 miliardi di dollari che comprende anche l’invio di nuovo materiale bellico, tra cui anche i missili Glsdb con una gittata di 150 chilometri. Ma in Ucraina stanno iniziando ad arrivare anche i primi carri armati tedeschi, i Leopard 2, in attesa dei più avanzati M1 Abrams americani.
La questione in realtà era stata sollevata già ad aprile dai funzionari americani, che avevano ammesso di non avere dati precisi sulla rotta seguita dagli armamenti una volta superato il confine ucraino a causa dell’assenza di militari stranieri sul terreno. Questo gap informativo – comune anche ai Paesi europei e aggravato dalla mancanza di trasparenza di alcuni governi – avrà delle ripercussioni sulla capacità di tracciare il materiale bellico ceduto a Kiev principalmente nella fase post-conflitto, soprattutto da parte di organismi indipendenti.
Gli Stati Uniti invece hanno implementato un piano di monitoraggio e contrasto solo a ottobre, prevedendo operazioni da portare avanti nel breve, medio e lungo periodo a partire dall’uso di dispositivi di tracciamento e dalla creazione di registri digitali utili soprattutto nella fase post-conflitto, ossia quella che desta maggiore preoccupazione. Se nel breve periodo infatti il rischio è che i russi riescano a impossessarsi di parte del materiale inviato, nel lungo termine le armi potrebbero finire sul mercato nero, contribuendo così ad alimentare guerre e conflitti in corso in altre parti del mondo, principalmente in Africa e in Medio Oriente.
Tracciare il materiale ceduto a Kiev è certamente un’operazione complessa vista la situazione sul campo e l’impossibilità per gli Stati che inviano le armi di schierare operatori propri in loco, ma il piano degli Usa dimostra che gli strumenti per limitare il problema esistono. Usarli è fondamentale per evitare l’ennesima proliferazione di armi – in alcuni casi particolarmente sofisticate – in aree già alle prese con conflitti decennali ma troppo lontane per ricevere la stessa attenzione data all’est dell’Europa.
Ma quanto costa al nostro Paese aiutare Kiev? Secondo i dati del Kiel Institute for theWorld Economy l’Italia ha ceduto a Kiev armi e munizioni per un valore di circa 300 milioni di euro, ma stando a una rivelazione del Corriere della Sera la cifra sarebbe invece pari a oltre un miliardo di euro. Roma si posizionerebbe quindi al secondo posto in Europa dopo la Germania, che ha inviato materiale militare per 2,3 miliardi di euro.
* Nata a Taranto il 13 dicembre 1993. Laureata in Giornalismo presso l’università La Sapienza di Roma. Ha collaborato con giornali cartacei e online. Si occupa di produzione news e Medio Oriente.