Tratto da: Nuovo Politecnico 99 Einaudi 1977 – 26 febbraio 1977
Lettera VII
In cui il mittente affida ai rivoluzionari una missione di fiducia.
Carissimo Antonio, (7)
mi dicono che da qualche tempo hai ripreso a rimestare nel torbido e ne sono ben lieto. Tu sei troppo intelligente per prendere alla lettera gli anatemi che il partito scaglia contro le iniziative avventurose dei giovani che ispiri, i cosiddetti autonomi, perché queste invettive, ormai rituali, vanno intese invece come un incitamento a che le forze vive della società si sentano stimolate ad intervenire con azioni nuove e creative in modo da impedire la sclerosi del paese tutto.
Si sa: i conformisti sono stimolati a ben fare dalla lode e dall’applauso nello stesso modo in cui i ribelli hanno necessità di calunnie e fischi dalla cui intensità ricavano la certezza di essere nel giusto e la forza per tirare avanti.
I nostri insulti perciò vi sono di sprone e, se ve li indirizziamo con insistenza, è perché nel partito abbiamo capito che le istanze e le rivendicazioni, anche le più estreme, sono destinate col tempo a fornire fertile materia di intervento politico positivo agli apparati che esercitano il comando.
L’ostracismo che vi diamo dunque, è del tutto apparente e tu sei fra quanti lo hanno perfettamente inteso.
Come ammoniva il compagno Togliatti, « il potere non crea, ma recupera », imbocca cioè tutte le strade che gli vengono indicate dai rivoluzionari e dai sommovimenti sociali in difetto dei quali si riduce al vacuum ed è costretto all’inazione ed al deperimento. Senza l’imbeccata dei rivoluzionari un potere dinamico come quello del capitale si spegne; è l’opposizione che lo fa vivere, non certo quella parlamentare, mero simulacro, ma quella viva, spontanea, in continuo superamento, propria degli estremisti più accesi.
Un paese senza conflitti del resto non sarebbe nemmeno governabile in termini di capitalismo e, quand’anche lo fosse, non lo meriterebbe; esso si verrebbe a trovare confinato fra quegli Stati, diciamo di serie B, dove nulla accade, più noti attraverso i dépliants di qualche compagnia di viaggi che grazie al dinamismo dei conflitti che li sconvolgono. Paesi siffatti, peraltro sempre più rari, danno ben magre soddisfazioni ai propri governanti. Che senso ha infatti la detenzione del potere se disgiunta dal suo concreto esercizio?
Per fortuna non era questo il nostro caso perché l’Italia godeva invece di un invidiabile primato, quello di costituire uno degli « anelli più deboli della catena imperialista », come si amava dire nei circoli leninisti. Che poi tale fama nazionale fosse meritata od usurpata non ha in fondo molto rilievo; era comunque un primato e tutti gli occhi erano puntati sugli avvenimenti italiani e sulla perizia dei governanti e degli apparati nell’affrontarli. Vedette sulla scena della contestazione internazionale, l’Italia era considerata un paese difficile da governare e, proprio per ciò, assai gratificante per il politico intenzionato a tenerla in briglia. Poi è incominciata la stasi, il cosiddetto riflusso postsessantottesco ed allora le soddisfazioni sono diminuite e l’esercizio del potere è diventato una fastidiosa routine. Ma, grazie al cielo, la pausa è stata breve e sul terreno politico italiano siete comparsi voi, autonomi, ridando così significato alla difficile arte del governare.
Non mi stancherò mai di ripetere che il potere (immagine di comodo alla quale ormai si è avvezzi) non può vivere senza l’antagonismo dei rivoluzionari. Quando questi ultimi tacciono e si prostrano nell’inazione il potere in fondo si riduce ad una ben misera « amministrazione sulle cose », come recita una formula tanto sbandierata quanto malintesa. Invece la logica del combattimento è la vera logica del capitale e quando essa vacilla nelle menti si ricade, nella migliore delle ipotesi, in forme di organizzazione sociale precapitalistiche ovvero, nella peggiore, in forme postcapitalistiche che preferisco non nominare.
Tali rischi però non sono attuali in Italia grazie alla vostra comparsa che ha permesso di colmare il pericoloso vuoto di ideologia combattentistica che si era per un attimo creato. Non voglio annoiarti con notazioni storiche, mio caro Antonio, e perciò mi limito ad osservare che nel secolo presente gli intellettuali ed i politici italiani hanno saputo dare corpo ad un nucleo ideologico, ormai consolidato, a forte intonazione combattentistica, oppositiva, resistenziale. Da Gramsci a voi, attraverso tappe intermedie quali la politica editoriale di Einaudi prima e poi quella di Feltrinelli, l’attività del CLN, la dissidenza dal PCI negli anni ’60, la contestazione studentesca dei Viale e dei Sofri, il FUORI, i movimenti femministi, non c’è soluzione di continuità. Questo filone combattentistico di cui siete gli epigoni, vera e propria ideologia italiana, non è ancora incappato per fortuna nel suo critico, nel Marx in grado di liquidarlo in blocco, e continua quindi a prosperare. Si tratta, malgrado le apparenze oppositive, di un’ideologia di regime, nel senso che essa permette alla condizione presente di alimentarsi con ragioni di vita sempre nuove.
Già Burke notava che « the speculative line of demarcation, where obedience ought to end, and resistance must begin, is faint, obscure, and not easily definable » e, aggiungo io per eccesso, impossibile da determinare. Il singolo non potrà mai sapere se il proprio comportamento è situato nel terreno dell’obbedienza o in quello della ribellione ma, a dispetto di questa insormontabile impossibilità speculativa, la maggioranza del popolo italiano è convinta di agire oppositivamente e, guidata dai suoi ideologi che « conoscono il mondo », è disposta a scendere in piazza per trasformarlo.
Il terrore massimo dell’italiano, ignavo e servile per retaggio storico e quindi, per reazione, un pò fanfarone, è quello di apparire docile e rassegnato; perciò, quando trova dei capi che lo sollecitano al fare, al disubbidire, al mostrarsi, li segue credendo in questo modo di riscattarsi.
Orbene, al capo « nihil magis convenire quam pro omnibus cogitare », come notava Macrobio. Utilizzando questo ragguardevole primato, gli ideologi italiani dell’ultimo mezzo secolo (mi riferisco ovviamente ai progressisti ed ai rivoluzionari) hanno diffuso con ogni mezzo la credenza che il mondo vada trasformato, previa la conoscenza dello stesso. E’ questa un’idea di derivazione cristiana che la Bibbia formula invitando l’uomo a regnare sulla terra in ragione della sua somiglianza con Dio e che sfocia poi nella tracotante pretesa capitalistica secondo cui l’uomo deve padroneggiare il proprio destino e quindi trasformare, con le opere, il mondo: principio quanto mai balzano ma che sempre si ritrova sotteso ad ogni ideologia combattentistica, la vostra non esclusa.
Il capo ha pensato che il mondo vada trasformato ed i subordinati si sono dati da fare per trasformarlo. In ogni collettività agente però, coloro che indirizzano devono in qualche misura essere anche disposti ad accodarsi, rassegnandosi ai gusti, alle capacità ed alle disposizioni della truppa. L’importante è che l’idea forza non venga messa in discussione; perciò, nel caso in esame, è bene che le modalità di trasformazione del mondo vengano lasciate alle inclinazioni degli attori di tale rinnovamento purché a nessuno passi per la testa – dico a mò di esempio – che sia miglior cosa che il mondo putrefi in tutta tranquillità e altre cose financo più allettanti.
E’ inevitabile che nella massa si incontrino attitudini quiete ed altre più accese, l’importante è che tutte siano dirette a rigenerare il presente stato di cose, con o senza rivoluzione.
Voi autonomi, in particolare, siete i più accaniti nel pretendere migliorie immediate. I comportamenti che ponete in essere, ispirati da un’antica tradizione pratica di illegalità di massa e da più recenti suggestioni teoriche volte all’agire criminale, sono le maniere più spicce per ottenere che questa società rifiorisca un poco; assalite i supermercati, questi forni del nostro tempo, come in passato il popolino ricorse a questa forma di lotta esasperata in nome di una sostanziale giustizia distributiva, occupate le case dando stimolo all’imprenditoria edile, pubblica in particolare, chiedete cultura gratuita come la plebe faceva con i circenses e, quando la contestate, ne ottenete un risorgimento di qualità, peraltro supposto.
Tutto ciò, mi chiedo, è opposizione? Né vale addurre gli attributi criminali ed illegali dei vostri comportamenti ché l’infrazione giuridica nulla ha a che vedere con la messa in discussione della società capitalistica. Le leggi non sono che emanazioni transeunti del capitale, che esso è sollecito ad abrogare (per rimpiazzarle naturalmente) quando le forze sociali lo richiedono. Perciò, nè le leggi cattive, violate dai sovversivi, sono la manifestazione giuridica perenne del capitale, nè gli spazi che da tale violazione si aprono per l’operare degli uomini sono l’anticipazione di « pezzetti di socialismo », come talvolta sono costretto a sostenere contro voglia da qualche tribuna; si tratta, più modestamente, di aree pronte a ricevere una legislazione nuova, più consona alle esigenze dello sviluppo capitalista.
Così la tradizionale tesi marxiana secondo cui è il giudice a creare il malfattore e quella integralista cristiana secondo cui è invece il malfattore stesso, con le sue mani, ad innalzare la forca, si completano a vicenda e dicono in fondo una sola cosa: che la negazione delle regole di condotta che il capitale pone sono la sua unica salvezza. Poiché senza l’infrazione il capitale è condannato, il legislatore crea il manigoldo esprimendo alcune norme, che il gaglioffo a sua volta viola al fine di installarsi saldamente sul terreno operativo cui è votato, una vera e propria riserva di caccia che la legge gli ha recintato. Detto in termini a tutti accessibili: il grassatore ruba ciò che gli si lascia rubare e non auspica niente di più.
Intendimi bene: non nutro nessuna animosità nei confronti dei criminali; ladri, saccheggiatori, rapinatori, portoghesi ed invasori di edifici ci sono sempre stati, la scelta di tali professioni dipendendo dalla nascita e dalle inclinazioni di ciascheduno. Non è nemmeno una novità che a tali misfatti si cerchi talvolta di fornire una giustificazione politica al fine, per lo più, di premere per un mutamento di regime. Ciò che invece mi lascia perplesso è che voi giustifichiate le vostre illegalità in nome di un’enormità quale è l’avvento del comunismo. O forse credete che il comunismo si risolva semplicemente nell’instaurazione di una nuova contabilità sociale grazie a cui le mercanzie dei supermercati, gli appartamenti popolari e gli spettacoli culturali saranno resi disponibili anche per i poveracci? Se così la pensate le nostre linee politiche non divergono ed allora fate bene a verniciare di rosso tutti i lazzaroni. Distratti, in nome dell’ideale del comunismo, dalle briciole che il presente offre loro, questi gaglioffi non avranno mai modo di rendersi conto che nella vita c’è qualcosa di meglio e la loro vitalità, del resto presunta, diventerà routine ovvero autodistruzione. E perciò l’immaginazione umana non uscirà più dalla tenaglia dell’assenso e della violazione: una volta per tutte.
Avremo così scongiurato per sempre il tremendo pericolo che ciascuno vada dietro alle proprie elucubrazioni, cercando di dare loro corpo mediante comportamenti talmente estranei rispetto ai modelli correnti da non potere essere classificati né nel lecito, né nell’illecito.
Terrificante sintomo che le cose sono giunte a questo stadio lo mostrerebbe l’imbarazzo di un giudice chiamato a pronunciarsi circa un comportamento talmente fuori luogo e fuori tempo da non essere previsto dalla legislazione vigente.
Ignoro se casi del genere si sono già verificati ma, unicamente allo scopo di meglio conoscere il pericolo e quindi saperlo scongiurare, mi prendo la briga di fornirti alcuni esempi virtuali, rispettivamente nell’ambito morale, in quello ambientale ed infine produttivo.
Chiediamoci perciò in qual modo l’apparato statale potrebbe intervenire per fronteggiare i seguenti ipotetici eventi:
a) La messa in cantiere di questo suggerimento di Sade: « Différents emplacements sains, vastes, proprement meublés et sùrs dans tous les points, seront èrigès dans les villes; là, tous les sexes, tous les àges, toutes les crèatures seront offerts aux caprices des libertins qui viendront jouir, et la plus entière subordination sera la règle des individus présentés… »
I promotori sarebbero forse accusati di sfruttamento della prostituzione? E’ probabile, ma l’imputazione sarebbe una minuzia se raffrontata alla grandiosità del progetto.
b) L’insorgere di un movimento antiedilizio, volto all’abbattimento di ogni bruttura, quali quartieri dormitorio, opifici, edifici religiosi, stadi, musei, etc., alla scomparsa di porte e serramenta ovunque, ed alla creazione di barriere naturali permanenti là dove gli autoveicoli circolano con maggiore fluidità. L’incriminazione sarebbe di danneggiamento e blocco stradale, un’acca per un assunto così pomposo.
c) Un assembramento di lavoratori durante il quale essi si interrogassero sul senso delle rispettive produzioni – a parte quello, ovvio, dì percepire un salario -, formulassero i tradizionali quesiti dei manuali di economia politica – e precisamente: cosa, come e per chi produrre? – e decidessero, una volta accertata l’insignificanza delle produzioni cui sono adibiti, di votarsi alla realizzazione di sensazioni artistiche od altre simili amenità. Costoro sarebbero certamente rei di insubordinazione ed il magistrato del lavoro potrebbe quindi sancire il loro licenziamento per « giusta causa » col beneplacito del sindacato. Ma, c’è da chiedersi avrebbe senso un licenziamento a cose fatte quando in realtà ad essere licenziato è stato il vecchio mondo?
Questi non sono che poveri esempi, frutto dell’immaginazione ormai sterile di un segretario di partito, ma non ignoro che ogni individuo, purtroppo, sarebbe in grado di escogitare macchinazioni ben più sugose. Su tali comportamenti, nè nuovi nè vecchi ed in fondo molto moderatamente illeciti, abnormi potremmo dire, è meglio stendere un pietoso velo, accettando invece che la delinquenza si manifesti nelle sue forme canoniche, meglio, come ho già detto, se giustificata politicamente. Tutti devono convincersi dell’impossibilità del cosiddetto salto e che quindi val meglio adattarsi a guadagnare un salario ovvero a rubarlo.
L’azione politica che voi autonomi state conducendo avrà certo successo. L’idea che il lavoro in ogni sua forma sia nocivo, già patrimonio delle classi proprietarie, si sta popolarizzando ed oggi sono sempre più numerosi i giovani che vivono da parassiti volontari, disoccupati per scelta e non per necessità, chi rubacchiando, chi scroccando, chi riciclando i rifiuti, chi producendo rifiuti artigianali, chi commerciando in tossici.
Le schiere di questo esercito si infittiranno col tempo ma, se anche tutta la popolazione fosse alfine persuasa della nocività del lavoro e quindi si astenesse dal darvisi, non per questo la società capitalista ne sarebbe scalzata. Il capitale non vive di lavoro presente, si accontenta che il lavoro passato venga in qualche modo valorizzato. E quale modo migliore per rivalorizzare il lavoro passato se non il comportamento dei nostri rivoluzionari i quali, rubacchiando merci ed occupando topaie, creano una domanda sociale di generi che sarebbe meglio veder deperire? Senza la domanda sempre crescente dei moderni ceti parassitari, i rivoluzionari contemporanei cui il lavoro non è gradito, l’espansione capitalistica non sarebbe possibile, ciò che del resto Malthus notava a proposito dei parassiti del suo tempo.
Il rivoluzionario contemporaneo, a ben vedere, è colui che vuole qualcosa gratis: è questo il suo chiodo fisso ed ogni suo comportamento è volto all’ottenimento di beni e servizi senza pagare lo scotto della giornata lavorativa, bensì col ricorso alla spoliazione. Ma con o senza l’intermediazione della moneta, il rivoluzionario vuole esattamente ciò che già è; non gli passa assolutamente per la testa di volere qualcosa che ancora non c’è oppure, ciò che significa esattamente la stessa cosa, non auspica affatto che ciò che già esiste scompaia. Egli si limita a volere una diversa contabilità sociale, un diverso modo di appropriazione delle merci e tutto il suo agire è volto monomaniacamente verso questo obiettivo. Ora, come Marx notava, « le merci sono delle cose e di conseguenza non oppongono all’uomo alcuna resistenza. Se esse mancano di buona volontà egli può usare la forza, in altri termini impadronirsene ». Ma, appunto, si tratta sempre di merci, quale che sia il metodo di procacciamento.
La credibilità del rivoluzionario deriva dalla reiterazione del suo operato. Incapace di fare qualunque cosa se non procurarsi i beni ed i servizi che il mercato offre senza pagarli (ed anche ciò con un certo impaccio), si specializza con pertinacia in questa attitudine ed acquista un certo credito per il futuro; riesce così a barcamenarsi, ricevendo decime dai compagni neofiti e pourboire dalla famiglia rassegnata a che egli « sia fatto così ». A questo punto la sua credibilità è costruita e potrà finalmente tirare il fiato, abbandonare l’attivismo continuativo, permettersi qualche periodo di crisi o di riflessione, e magari qualche sbandata in Oriente; non troppo a lungo però, giacché una volubilità troppo protratta nel tempo gli farebbe perdere definitivamente credito, il quale, in questo particolare settore, è molto difficilmente ricostituibile dopo i trent’anni. Perciò ricompare periodicamente in piazza, riproponendo le solite idee riciclate ma ormai putride, con un attaccamento al mestiere degno di un usuraio, offrendo in verità soltanto la propria continuità rivoluzionaria di cui nessuno sa che farsi, tranne il capitale stesso.
Notava Lombroso che il criminale politico, cioè il rivoluzionario, è vittima di una sfrenata attrazione per la novità; perciò lo definiva neofilo, etichetta che si attaglia perfettamente a voi autonomi, alla ricerca perenne di novità in grado di dare ossigeno ad una società che, senza l’apparizione continua di condizioni da superare, non può che crepare. Per buona sorte il rivoluzionario per attitudine non smette mai di chiedersi « che fare? » e dà risposta al quesito con una qualsiasi trovata innovatrice, escludendo a priori la terrorizzante ipotesi della propria sparizione, vero ed unico danno incommensurabile per il capitale, privato così del suo principale agente innovativo. Il reale pericolo per la società presente sorgerà nel momento in cui il rivoluzionario, senza rendere conto a nessuno, darà alla domanda di Lenin formulata fra sé e sé esattamente questa risposta: mi faccio i cazzi miei.
Mi si potrà obiettare che, scegliendo questa via, egli passa dalla padella alla brace e, uscendo dalla follia filoneistica rilevata da Lombroso, approda alla follia come « vollendete Absonderung des Einzelnen von seinen Geschlecht », pericolo che Hegel denunciò. E’ troppo facile rispondere che il Geschlecht, come tutti sanno, non ha più alcuna caratteristica di comunità umana, ridotto com’è a mera comunità del capitale, e che nulla osterebbe ad abbandonarlo, a segregarsi in solitudine o a piccoli drappelli, come fece la combriccola di Boccaccio per scampare alla peste.
Oggi questo esodo dagli appetiti dal volgo per fortuna non ha luogo ed il rivoluzionario, avvertendo la volgarità e l’insignificanza dei propri desideri in tutto e per tutto simili a quelli dell’uomo comune, non esita a proclamare senz’altro che la volgarità degli appetiti è un diritto.
Io, caro Antonio, ormai avanti negli anni ed isolato nelle pratiche burocratiche della segreteria di un partito sempre al limite della sclerosi ove non sia stimolato da ventate di eversione sociale, non posso certo appoggiarvi apertamente ma, con trent’anni in meno sulle spalle, sarei certamente al vostro fianco, se non a far cagnara nelle piazze, almeno a dare il mio contributo intellettuale alla socializzazione di quei desideri di massa che voi volete soddisfare. E nulla mi sarebbe più gradito.
(7) Di Antonio Negri la data di nascita non è certa. Ha frequentato « la scuola del movimento », rimanendo poi sempre « a contatto con la realtà di classe », seppur talvolta « in modo faticoso ed asmatico ». E’ il massimo esponente italiano dell’ « essere contro, essere per ed essere con » e non nutre dubbio alcuno circa « la ricchezza dei suoi bisogni e desideri ». Predilige il « proletario sporco che parla di comunismo » e non gli importa se esso si presenta nella veste tradizionale di « operaio con magliette a strisce » o in quella più aggiornata di freak. Ispiratore teorico dei gruppi cosiddetti autonomi.